Viterbo – “In questa fase così difficile, la preoccupazione sono i lavoratori. E dispiace dirgli di andare fuori dal bar per il caffè, quando invece avrebbero bisogno di riposarsi e di farlo al caldo”. Rimini Miah fa la barista al Coffee Corner di viale Trieste a Viterbo. Subito dopo i binari di Porta Fiorentina. Di fronte alla stazione dei treni per Roma Nord, Flaminio. Ieri, primo giorno in arancione, dopo un paio di settimane in zona rossa, che tornerà ad essere tale per il fine settimana di Pasqua. La seconda dopo un anno di emergenza Covid. La pandemia che ha cambiato i connotati al mondo e sospeso democrazie e libertà un po’ ovunque.
Viterbo – Il ritorno in zona arancione
Ieri il passaggio in arancione della regione. E ad emergere dal sottosuolo della zona rossa appena trascorsa, sembrano essere preoccupazione e depressione, che né il cambio di colore né una zona rossa tutto sommato vellutata danno l’impressione di attenuare. Nemmeno un po’. Nel frattempo diventano sempre più coscienti ed evidenti in chiunque le ansie in vista di prospettive future che sul piano sociale, tra valanga di licenziamenti annunciati e ammortizzatori sociali che si stanno prosciugando, rischiano di essere piuttosto cupe.
“Questa situazione non sta giovando a bar e ristoranti. Il danno che stanno facendo è molto grande e stanno creando una situazione generale a livello di vivibilità che è molto strana. Ci troviamo in una situazione fuori da ogni concezione”. Francesco Fallica lavora nel campo della ristorazione da quando aveva 17 anni. Adesso ne ha 39. E’ di Roma, ma vive da lungo tempo a Viterbo. “Ho subito delle conseguenze a livello lavorativo – aggiunge Fallica – perché sono diminuiti i posti di lavoro e ci sono meno opportunità. Si è acuita la situazione che stavamo già vivendo prima del Covid. Prima il lavoro era poco. Ora sta diventando quasi una chimera”.
Via Mazzini, cinque del pomeriggio. Una delle poche strade del centro che durante il primo anno di Covid non ha subito sostanzialmente chiusure. Ma i contraccolpi della crisi sì. E cominciano anche da queste parti a farsi sentire.
Viterbo – Rimini Miah del Coffee Corner
“Non mi aspetto più niente da nessuno – commenta Federico Biscetti dell’Amaris Caffè -. Quello che è, è. Sono quasi rassegnato. Contiamo poco, quasi niente. La zona rossa è finita – prosegue -, adesso siamo in zona arancione e per quanto mi riguarda non cambia nulla. Dobbiamo sperare di passare, a un certo punto, in zona bianca. Questa situazione sembra quasi una presa in giro”.
Le difficoltà economiche sono molte. La clientela è diminuita un po’ dappertutto. E il caffè da asporto, in un paese abituato ad andare al bar appena si alza la mattina, pare proprio non aver funzionato. A mala pena, e probabilmente non più, ha contribuito a coprire i costi. “Stiamo arrancando per arrivare a fine mese con tutta una serie di problemi in testa – sottolinea infatti Biscetti -. Arrancare significa lottare. Una lotta continua e difficile. Una lotta senza soldati. E per lottare servono soldati. Invece siamo soli. Il problema dell’asporto – ha poi evidenziato il titolare dell’Amaris in piazza Dante – c’ha un costo superiore rispetto a quando si sta aperti. E alla fine con l’asporto il caffè viene a costare anche di più”.
Viterbo – Il Coffee Corner
Davanti alla fontana medievale a due passi dalla chiesa di San Giovanni in zoccoli, un gruppo d’amici, quasi tutti in pensione, si ritrova a fare due chiacchiere tutte le sere. Casa e piazza, piazza e casa. A pochi metri da casa. Un anno passato così, con l’eccezione della spesa e qualche sporadica boccata d’aria la scorsa estate.
“La zona rossa è stata un dramma – dice Massimo Fiani -. Le limitazioni sono insopportabili e con il passaggio in zona arancione non cambia nulla. Se vuoi andare a prendere il caffè, sei costretto a prenderlo di fuori. Non puoi nemmeno fare colazione al bar. La gente è triste, non sorride più e non sa cosa fare. Ci vorrà ancora del tempo. Speriamo bene”.
Viterbo – Federico Biscetti dell’Amaris Caffè
Una vita cambiata. In qualche modo intrappolata, là dove s’è trovata ad essere un anno fa, nel marzo del 2020 quando tutto è cominciato. Con le restrizioni alle libertà personali che si sono fatte sempre più stringenti e una quotidianità improvvisamente stravolta e poi stabilizzata, e stabilizzatasi, su questo stravolgimento. Mentre rabbia mista ad alienazione cominciano mano mano a serpeggiare e a coinvolgere settori sempre più ampi di popolazione. Non solo piccoli imprenditori, ma anche lavoratori da mesi in cassa integrazione e con l’incubo dei licenziamenti, quando questi saranno di nuovo ammessi dal governo. Nel frattempo chi non è riuscito a trovare un lavoro e a rinnovare il permesso di soggiorno passa la vita nei quartieri con problemi di sopravvivenza quotidiana e il rischio di prendersi multe, per aver violato la normativa anti Covid, che avrà poi serie difficoltà a pagare.
Viterbo – Massimo Fiani
“Dopo un anno di Covid la vita è cambiata tanto – commenta Fiani -. I negozi che chiudono, i ristori che non arrivano, la cassa integrazione. Non voglio dire che il governo sia incapace ma non ha la spinta giusta. Ma così è impossibile andare avanti”.
“In un anno la vita mi è cambiata del tutto – interviene Francesco Reinkardt -. Sono stufo, come tutti. Prima uno era più libero, ora non puoi andare da nessuna parte. A Pasqua e pasquetta sarò solo. Sono vedovo e mi devo accontentare”.
Viterbo – Francesco Reinkardt
La zona al di là del passaggio a livello di Porta Fiorentina davanti alla Roma nord è uno dei quadranti urbani di Viterbo meno noti. Tra i più sottovalutati. Forse perché di passaggio. Eppure è uno snodo fondamentale. Qui si incrociano operai, braccianti, stranieri, studenti, pendolari, avvocati. Qui la gente prende l’autobus e il treno. Per andare a scuola o a lavorare. Attorno i palazzi degli anni ’60. Medio borghesi prima, popolari adesso. Poco più avanti, ai lati della strada che porta alla Quercia, le ville liberty degli anni ’20. Da queste parti vengono a prendere il loro primo caffè in libertà anche gli e detenuti appena usciti da Mammagialla. Un indotto economico cittadino importante e al tempo stesso un porto senza mare attraversato da un fiume di macchine che va e viene lungo la Teverina.
Viterbo – Francesco Reinkardt e Massimo Fiani
“L’asporto in zona rossa è stato difficile – spiega Rimini Miah che lavora al Coffee Corner da un paio di anni -. Non ci si abitua mai ad entrare nel bar per portarsi via il caffè senza fermarsi, come si faceva una volta. Il punto principale è questo. Una persona viene al bar anche per un saluto e passare un po’ di tempo. Soprattutto per i lavoratori che hanno un’ora di pausa e non sanno dove andare. Adesso che è bel tempo uno si può mettere su una panchina. Ma quando è freddo no. E ci sono tanti che viaggiano con il treno qui di fronte. Ci sono anche tanti anziani che si spostano con l’autobus. Ed è brutto dire a un anziano che è in difficoltà di uscire dal bar. Come è altrettanto brutto dirlo a una donna incinta o a un lavoratore”.
Viterbo – Il ritorno in zona arancione
Chi era il cliente del bar in zona rossa? “Lavoratori, anziani che vanno a fare delle visite mediche o la spesa – risponde Miah -. Anche i negozi qui vicino. Le persone sono queste”. Così come le richieste per l’asporto. “le solite cose che si prendono al bar – conclude Miah -. Caffè, tramezzini, bibite e panini”.
Daniele Camilli
Multimedia: Fotogallery: Il ritorno in zona arancione – Video: Baristi, lavoratori e cittadini
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