Viterbo – Riceviamo e pubblichiamo – Scrivo da cittadino al quale viene richiesto di guardare un pannello raffigurante, dicono, santa Rosa. Non credo di uscire dai binari consentiti al rispetto se oltre al guardare condivido ora le sensazioni, poi pensate, generate dal “mural” di cui è autore un viterbese (mi dicono autore di altri murales interessanti in giro per l’Italia) e commissionato dalle istituzioni pubbliche, quindi anche con il nostro contributo.
Viterbo – Via Baracca – Il murale “La tua Rosa”
Cosa volevano “dire” a noi cittadini con questo linguaggio sempre più presente nelle nostre città e paesi? Vicino Viterbo c’è Sant’Angelo di Roccalvecce con le sue fiabe raccontate a colori sui muri del paese. A Milano, in corso di Porta Romana, sembra di visitare Gaudi a Barcellona. Ne ho visti a Rio de Janeiro creati da Eduardo Cobra.
A Roma (zona Ostiense) con Lena Cruz. A Catania con Saldo Ligama. Poi a Vancouver island (isola di Chemainus) con i volti dei primi abitanti e i suoi 39 murales. Interessante a Seul l’uso della vernice idrocromatica… Osservare molti di questi murales è come un bagno nella storia e spesso nell’anima di un popolo. Quando questo avviene siamo nell’ambito che io chiamerei “arte”.
Perché “arte” non è solo mettere insieme dei colori o alcune note sul pentagramma o aggruppare vocaboli in rima su un foglio. Non tutto è poesia, non tutto è musica o pittura… Uno dei testi più profondi che io abbia avuto tra le mani a riguardo è “Scolpire il tempo” di Andrej Tarkovskij. L’arte, parafrasando il suo non facile pensiero, è il tentativo di stabilire un equilibrio tra infinito e l’immaginazione. Davanti a un lavoro d’arte, se tale, dovremmo sentire emergere una emozione, qualcosa che tocca il profondo delle nostre sensazioni e le conduce a purificarsi, a capirsi, a sentirsi bene.
E’ come sentirci rinnovati e più capaci di intuire il bene, per poi cercare di viverlo, che diventi parte del nostre essere e esistere. Per vendere un dentifricio non serve arte. Basta un po’ di umorismo a colori. Scriveva Tarkovskij: “Con la mia arte voglio mettere il dito nell’infinito dell’uomo”. Di fronte alle opere d’arte, non quelle che vengono vendute come tali dai media e dal commercio, a volte sento la presenza di questo “dito” di cui parla il grande Tarkovskij. Altre volte non lo sento e non lo vedo.
Don Gianni Carparelli
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