La ricostruzione di Amatrice (Ri)
Amatrice – “Le macerie stanno ancora in giro, il cimitero è messo male e gli abitanti sono sparsi tutti qua e là. Tranne che qui, dove un tempo stavano”. “Nessuno se ne accorge, ma qui l’abitato non c’è più. Non si vede più perché la ricostruzione ha sparpagliato le persone sul territorio”. Suor Maria e suor Giuseppina sono le ultime due suore rimaste sul territorio dopo il 24 agosto 2016.
Amatrice, cinque anni dopo il terremoto che l’ha distrutta, e con essa un pezzo di centro Italia. Amatrice non c’è più, e quello che resta è nelle parole di suor Maria e in una città della provincia di Rieti in mezzo alle montagne che dopo il 2016 è stata spacchettata e chiusa in più scatole distanti l’una dall’altra su un territorio dove Amatrice, con le sue 70 frazioni di una volta, esiste solo sulla carta.
Le macerie di Amatrice (Ri)
“Un po’ di più ci si aspettava – ribadisce suor Maria -. Le macerie stanno ancora in giro, il cimitero è ancora messo male. Meno male che c’è stato il vescovo che di suo ha costruito tutta una serie di fornetti. Fino a poco tempo fa c’erano le casse da morto in giro”.
Cinque anni dopo il 24 agosto 2016, con il presidente del consiglio Mario Draghi che fa visita alle macerie. E ai familiari delle 299 vittime delle terremoto ad Amatrice, sollecitando una norma che preveda, al di là del risarcimento economico, anche un sostegno nella ricerca di un lavoro per le vittime del terremoto. Presentato nel Conte 1 e inserito nel programma di governo del Conte 2, la proposta non è stata mai portata in aula.
“Un territorio – prosegue suor Maria – che ha subito pesantemente gli ultimi due anni di urgenza Covid. Un disastro, con la gente che, cosa che non era successa neanche con il terremoto, ha smesso pure di parlarsi, iniziando invece ad avere paura gli uni degli altri”.
Le macerie di Amatrice
Suor Maria fa parte delle Ancelle del Signore. Assieme a suor Giuseppina, sono le uniche due suore rimaste ad Amatrice dopo il terremoto. Con loro anche padre Adolfo, il sacerdote della parrocchia. I soli religiosi. A custodire la chiesa, il primo edificio ad essere ricostruito dopo il terremoto.
Suor Maria è arrivata ad Amatrice nel 1965. Da Potenza, dove aveva conosciuto le Ancelle del Signore in un orfanotrofio. Ad Amatrice ha visto trasformarsi l’istituto Minozzi, nato nel primo dopoguerra per assistere i figli dei militari uccisi. Fino al crollo del 2016, da cui si è salvata per miracolo.
“Noi avevamo un istituto in fondo al paese, dove adesso c’è il supermercato Tigre – racconta suor Maria -. Adesso c’è rimasto un muro con una pittura messa in sicurezza. La sera del terremoto, quando mi sono sentita crollare il tetto addosso, la prima cosa che ho detto è stata: ‘ma che lavoro ha fatto il muratore?!’. Questo è stato il primo pensiero. Poi ho sentito la seconda scossa e mi sono trovata subito con le mani bloccate e il polso destro rotto. Avevo anche un taglio sul viso. Potevo muovere soltanto i piedi, ma non ce la facevo a liberarmi dalla macerie”.
Amatrice prima del terremoto
Suor Maria era stata sommersa dalle macerie. Ma quando il tetto le è crollato addosso, le tubature dell’acqua, nascoste dietro al controsoffitto dell’istituto che una volta era un monastero e prima ancora una roccaforte, le hanno salvato la vita. Impedendo che le macerie la schiacciassero sotto il loro peso. “La provvidenza – dice sorridendo suor Maria – fa delle cose senza volerlo”.
Amatrice non c’è più. Quel che resta è soltanto una parvenza. Ed è la prima sensazione che si prova attraversando rovine e cantieri che si dispongono lungo la strada principale. La sola in evidenza. Tutto il resto si perde verso boschi e campagne oppure è impacchettato e delimitato all’interno delle aree del gusto e quelle commerciali.
Le macerie di Amatrice (Ri)
La vita economica e sociale qui ad Amatrice, con le macerie del terremoto ancora in giro, è ripresa così. Da una parte gli abitati di chi ha perso la casa. Un paio si vedono lungo l’arteria principale che taglia in due quello che resta. La parte periferica. Perché quella storica è stata rasa al suolo. Restano qualcosa e alcuni simulacri che si attraversano passandoci in mezzo, con una strada dove è severamente vietato fermarsi.
“Le case costruite per dare ospitalità a chi ne aveva persa una – spiega suor Maria – sono piccole, strette. Una quarantina di metri quadrati dove non si possono ospitare nemmeno i parenti. E quando si ospitano, dormono per terra con materassini che vanno sgonfiati all’alba altrimenti la mattina non si passa. D’estate poi, all’interno, si muore di caldo. D’inverno, di freddo”.
Amatrice (Ri) – Suor Maria
Quella che ancora si chiama Amatrice, “la città degli italiani”, come riporta il cartello, presenta, a prima vista, un nucleo abitato spezzato in quattro tronconi consecutivi. Il primo, le macerie del terremoto del 2016. Con i cantieri e le impalcature. Dove è vietato ogni accesso. Il secondo troncone è quello dove si trova il bar Rinascimento, con il piccolo giardino a ricordo della tragedia del 2016 e le fotografie, all’interno del bar, che fanno vedere come le cose stavano una volta. Qui i turisti trovano le informazioni più importanti per capire come procedere oltre. Un po’ dalla signora al banco. Un po’ dai vecchi abitanti di Amatrice al tavolo. Tutt’intorno i primi cantieri, con gli altri che proseguono lungo la via principale che porta agli abitati e alle abitazioni rimaste in piedi. Una zona, questa, che ruota anche attorno a due aree commerciali costruite all’interno di edifici prefabbricati. Al loro interno negozi di ogni genere che costeggiano i corridoi laterali. All’ingresso qualche panchina dove si siede qualche persona.
Cinquecento metri più avanti, l’area del gusto dove c’è tutta l’offerta enogastronomia della città concentrata in un unico punto. Turistico e col menu turistico. Si fa la fila e si aspetta. Poi si pranza e si aspetta. Chi vuole fa una camminata nel giardinetto di fronte. Infine si va via. Perché qui si mangia e basta.
Amatrice (Ri)
“La chiesa – riprende la parola suor Maria – è stata la prima ed essere ricostruita, e questo grazie al vescovo Domenico Pompili. Amatrice era un comune che stava al centro di un territorio con 70 frazioni attorno. Adesso le frazioni sono quasi tutte crollate e Amatrice è stata divisa in varie parti. In realtà distinte e distanti. A pochi metri metri da qui c’è un primo agglomerato di case, più avanti ce ne sta un altro, al campo sportivo un altro ancora, campo zero. A tre chilometri verso l’Aquila c’è poi il grosso di quelli che una volta erano gli abitanti della città di Amatrice. Persone che sono state suddivise in tre gruppi di casette. La gente è stata divisa e le persone che adesso abitano in quella che una volta era Amatrice sono rimaste veramente poche”.
La chiesa è stato il primo edificio ad essere rimesso in piedi. “Una sala di preghiera”, precisano sia suor Maria che suor Giuseppina che nel frattempo sta seduta sulla porta cercando di far funzionare il cellulare che le hanno regalato. “Quando la sala di preghiera è stata inaugurata – prosegue suor Maria – era l’unico locale che le persone avevano a disposizione. E c’era di tutto. Dormitorio, studio medico, palestra. Era una sala fondamentale. Adesso, con gli abitanti sparpagliati sul territorio, la chiesa rimane lontana da tutti. E le persone che abitano qui vicino sono poche, sempre di meno e quasi tutte anziane”.
Infine la solidarietà. “Quella non è mai mancata – conclude suor Maria -. Amatrice è veramente la città degli italiani. Adesso è rallentata un po’, soprattutto col Covid. Ma se la gente continua a venire qui, è anche per questo. Per solidarietà. Anche soltanto venirci a fare la spesa”.
Daniele Camilli
Fotocronaca: La ricostruzione – Le macerie – Amatrice prima del terremoto
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