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L’Irriverente

Il ritiro degli Usa dall’Afghanistan? Una questione di soldi…

di Renzo Trappolini
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Viterbo – Un antico maestro mi compendiava le regole bancarie in tre parole e un punto interrogativo: “Sono soldi suoi?” e la domanda era diretta sia al banchiere che, quando presta, non dà soldi suoi ma quelli dei risparmiatori, sia ai clienti, tenuti a non dimenticare mai che quanto incassano è prima di tutto dei creditori. Agire diversamente significa default, fallimento, pressoché certi.


Renzo Trappolini

Renzo Trappolini


Il ritiro degli Usa dall’Afghanistan – scontato che le belle parole come impianto della democrazia non sono e non erano sincere – andrebbe letto tenendo presente anche questo. Le guerre costano e, specie se a vuoto o sotto la spinta dei costruttori di armi e degli aspiranti alla ricostruzione dopo le macerie, urtano contro le casse pubbliche che i soldi devono improntarli.

Non va sottovalutata perciò la coincidenza tra il ritiro militare e il richiamo, a fine luglio, del ministro del tesoro americano Yellen al livello raggiunto dal debito pubblico e sul bisogno di “misure straordinarie per evitare che gli Stati Uniti non adempiano ai propri obblighi”, quelli  contratti con chi gli ha prestato i soldi, necessari anche alle guerre, e che sono soprattutto Giappone e Cina.

Sono soldi suoi? avrebbe chiesto alla Federal Reserve il mio maestro d’un tempo. I cinesi, da grandi mercanti quali sono, l’avrebbero però prevenuto perché da un anno ormai fanno importanti svendite di titoli emessi da Washington, rendendo così concrete le preoccupazioni governative per la resistenza dell’economia americana e, a caduta, dell’Occidente

I due fatti, quelli dello stato dell’economia Usa, ma in genere mondiale – aggravato dal maggior ricorso all’indebitamento per far fronte alla pandemia – ed il ritiro dall’Afghanistan sono forse più interconnessi di quanto la coincidenza temporale evidenzi.

E non a caso, proprio i cinesi son subito corsi a tendere la mano al governo talebano, per affondarle poi nel sottosuolo ricco di preziose materie prime, attenti come sempre ai loro soldi e, per essi, ancorando gli aiuti alla garanzia reale di una terra promettente anche politicamente, come passaggio importante per superare quella mezza luna che va dai Balcani all’Egitto e meglio congiungerli all’Europa e all’Africa.

Seguire l’odore dei soldi, chi li dà e chi dovrà restituirli, rimane quindi la strada maestra per comprendere cosa potrà succedere dopo che gli ultimi aerei avranno portato via da Kabul i resti di un esercito sconfitto. lI vento dell’est in pochi anni ha già stravolto gran parte dell’economia mondiale ed un nuovo terrorismo, dopo che il vecchio non è stato vinto con la guerra afghana, potrebbe farlo soffiare più forte.

Henry Kissinger, il politico americano con più accortezza ed esperienza, ha ricordato gli interessi che si muovono intorno a quella terra, “India, Cina, Russia Pakistan spesso contrastanti tra loro” e chiesto il ritorno ad una “diplomazia creativa”, perché l’occidente, col ritiro “incondizionato” dei soldati, rischia di dimenticare che “le democrazie si evolvono nello scontro tra fazioni e siglano il successo con la riconciliazione”.

Auguri, perciò, alle iniziative diplomatiche a tutto campo che il presidente Draghi ha decisamente intrapreso.

Renzo Trappolini


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30 agosto, 2021

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