Vetralla – (sil.co.) – Vuole tutto per sé il cortile condominiale, dovrà risarcire con cinquemila euro ciascuno sei vicini di casa. Prima lo hanno denunciato, poi si sono costituiti parte civile al processo per stalking e interferenze illecite nella vita privata. Oltre che al pagamento dei danni è stato condannato anche a dieci mesi di reclusione.
Una persecuzione che gli costerà cara. In totale la bella somma di 30mila euro alle parti offese più le spese legali. Vittime una famiglia di quattro persone – marito, moglie e due figli – e una coppia.
Imputato un 45enne, difeso dall’avvocato Marina Bernini, condannato lunedì dal giudice Elisabetta Massini a 10 mesi in primo grado per “stalking di vicinato”, pena che si prescriverà in appello.
Il magistrato ha però condannato l’uomo anche a un risarcimento di ben cinquemila euro a ciascuna delle vittime, assistite dagli avvocati Andrea Gasbarri e Samuele De Santis, che non dovranno quindi ricorrere in sede civile per la quantificazione e liquidazione del danno.
Il difensore Marina Bernini e l’avvocato di parte civile Samuele De Santis
Tutti contro uno. L’imputato avrebbe preteso, con le cattive secondo l’accusa, di essere nei fatti l’unico proprietario di un cortile comune a tutte le abitazioni, posizionando vasi, fontane, anfore e gazebi come se fosse roba sua, dicendone di tutti i colori ai vicini e cercando in tutti i modi di impedirne il legittimo passaggio.
“E’ forse una delle prime condanne per stalking di vicinato – sottolinea l’avvocato De Santis – una sentenza molto interessante in quanto, essendo tra le prime, potrebbe fare da precedente per altri casi analoghi”.
Il 45enne avrebbe preso di mira in particolare una mamma e i suoi figli, coinvolgendo indirettamente anche il marito, tanto che a suo tempo il giudice Eugenio Turco, su richiesta del difensore De Santis, ammise tra le parti civili anche lui, riconoscendo anche il padre come parte offesa.
“Vasi, gazebo, anfore, tutto pur di cacciarci”
A farne le spese sei vicini, tra i quali per l’appunto l’intera famiglia di un carabiniere che il 6 luglio2017, alla prima udienza del processo, ha raccontato in aula il calvario vissuto tra dicembre 2012 e novembre 2013. “Una persecuzione: “Nella corte ha messo di tutto… anfore, vasi, gazebo, piante, tutto pur di cacciarci”.
“Siccome reclamava per sé l’uso della piazzetta, una volta mi ha circondato la macchina di tufi -ha spiegato – mia moglie soffriva di attacchi di panico, perché ogni volta che la incontrava le dava della puttana, ha pure avuto un malore ed è finita in ospedale”. Se la sarebbe presa pure con i figli. “Metteva i vasi in modo che il passeggino non passasse, per cui dovevo chiuderlo e prendere il bambino in braccio. Mio figlio di 8 anni è stato insultato e minacciato, gli ha detto ‘brutto stronzo’ solo perché ha osato inciampare in una fioriera”.
Nel 2014 il militare ha cambiato casa: “Il caso ha voluto che me lo sia ritrovato nuovamente come vicino. E ha ripreso a fare quello che faceva prima. Ci seguiva in banca, al supermercato, ovunque. Dovevamo venire a fare la spesa a Viterbo per evitarlo”.
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