Viterbo – Riceviamo e pubblichiamo – Ho aderito all’appello lanciato da Tusciaweb perché è come se avesse rotto una cappa di aria stagnante, di afoso e opprimente scirocco che spinge le persone in uno stato di indolente acquiescenza.
Si avverte la necessità di cambiare il vento assistendo all’avvitarsi di una spirale continua e apparentemente inarrestabile di degrado politico e amministrativo, nella quale trionfano i cambi di casacca, i giochetti di potere, l’autoreferenzialità dei protagonisti, le micro-conflittualità finalizzate a ritagliare piccole porzioni di potere per sé, il proprio gruppo, la propria clientela.
Nel momento in cui la società vive il dramma forte e profondo della pandemia, Viterbo ha bisogno di una visione diversa, obliqua, sfuggente da quelle logiche di cancrena politica. Ha bisogno di vivacità democratica per contribuire allo slancio che richiama tutti all’uscita dalla crisi economica scatenata dall’emergenza sanitaria ma già da prima iscritta nell’orizzonte di un modello di sviluppo economico e sociale non più sostenibile. C’è bisogno insomma di cambiare il vento, di far tornare a spirare quella bella tramontana capace di pulire l’aria, di restituire luce piena allo sguardo sul futuro.
Sono d’accordo con Carlo Galeotti: non serve personalizzare. Anzi, se proprio devo farlo, mi sento persino di essere in qualche modo solidale con Giovanni Arena, che è forse il primo prigioniero di quelle logiche, ma appare ormai evidentemente non più in grado di liberarsene. In tanti abbiamo vissuto la nomina di un assessore esterno, estraneo alla storia ed alle dinamiche viterbesi, come un’umiliazione per l’amministrazione e per tutta la città.
In questo contesto, pur fuori da esperienze organizzate di partito o di movimento, separati fisicamente dalla lotta contro il virus, è il momento che molte persone, spesso rintanatesi per anni in un distacco individualistico e disincantato, recuperino il senso
dell’iniziativa comune, mobilitandosi per far vivere un progetto di rilancio di Viterbo. Il Borgo della Cultura voluto dalla regione Lazio e dal Mic potrà esserne uno dei cardini, ma non esaurirne il senso complessivo, che deve estendersi a tutto il territorio ed alle sue vocazioni, producendo nuova e buona occupazione in connessione con la transizione ecologica e digitale.
Al di là del fatto se questa consiliatura in sala d’Ercole riesca ad arrivare o meno alla sua scadenza naturale, occorre comunque ricostruire legami e ricucire rapporti per riprendere parola, provando anche a esplorare nuovi sentieri di partecipazione civica lungo cammini capaci di andare oltre i vecchi confini politici, per slegare le migliori energie della città dai lacci che la costringono ormai da troppo tempo nella stasi e nell’immobilismo.
Valerio De Nardo
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