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Rimini - Racconta gli anni di controversa gestione del centro di recupero per tossicodipendenti da parte di Vincenzo Muccioli

La comunità di San Patrignano si dissocia dalla serie Netflix: “Sommaria e parziale”

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Rimini – “La comunità San Patrignano si dissocia completamente dalla docu-serie messa in onda da Netflix”. Così la comunità di recupero per tossicodipendenti commenta “SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano”, docu-serie originale italiana Netflix da pochi giorni disponibile, definita versione “unilaterale”.


Netflix - Sanpa: luci e tenebre di San Patrignano


“Il racconto che emerge – spiega in una nota – è sommario e parziale, con una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonianze di detrattori, per di più, qualcuno con trascorsi di tipo giudiziario in cause civili e penali conclusesi con sentenze favorevoli alla comunità stessa, senza che venga evidenziata allo spettatore in modo chiaro la natura di codeste fonti”.

La serie, disponibile sul portale Netflix dallo scorso 30 dicembre, racconta gli anni di controversa gestione del centro di recupero per tossicodipendenti a Coriano, in provincia di Rimini, da parte di Vincenzo Muccioli, tra il 1978 e il 1995. 

25 testimonianze, 180 ore di interviste e immagini tratte da 51 differenti archivi, racchiusi in cinque episodi della durata di un’ora ciascuno. 

Creata e scritta da Gianluca Neri, con Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli, con la regia di Cosima Spender, “Sanpa” propone una riflessione sulla controversa comunità di recupero dalle tossicodipendenze che fin dagli esordi ha spaccato l’Italia, vista da molti come un paradiso e da altri come un cupo inferno pieno di nefandezze. Il racconto dedica molto spazio alla figura di Muccioli, morto nel 1995, ma anche alla comunità da lui fondata e guidata, a quello che ci succedeva all’interno e alle complicate vicende legali che la riguardarono, in particolar modo per i drastici modi che almeno in certe occasioni sarebbero stati usati per evitare che i suoi ospiti potessero scappare e tornare a fare uso di droghe. Il riferimento è soprattutto alle vicende di quello che fu noto come “il processo delle catene” che iniziò nel 1983 e in cui si parlò appunto delle catene messe a polsi e piedi di alcuni ospiti della comunità. Un processo che portò a un’iniziale condanna a 20 mesi di carcere per Muccioli, a cui seguì però un’assoluzione con formula piena.

“Per trasparenza e correttezza – spiega la comunità di San Patrignano a Repubblica – abbiamo ospitato per diversi giorni la regista della serie la quale è stata libera di parlare con chiunque all’interno della comunità, e abbiamo inoltre fornito l’elenco di un ampio ventaglio di persone che hanno vissuto e o tuttora vivono a San Patrignano e della quale conoscono bene storia passata e presente, in modo da poterle dare gli strumenti necessari per una ricostruzione oggettiva e informata. Tale elenco è stato totalmente disatteso, ad eccezione del nostro responsabile terapeutico Antonio Boschini, preferendo lasciare spazio ad un resoconto unilaterale che paia voler soddisfare la forzata dimostrazione di tesi preconcette. Avevamo espresso fin dall’inizio la preoccupazione per gli effetti che un prodotto televisivo di ricostruzione delle vicende trascorse all’interno della comunità, se non ricostruite e presentate in maniera equilibrata e adeguatamente contestualizzate, poteva avere sulla odierna realtà di San Patrignano, con i suoi oltre mille ospiti. Purtroppo, ci troviamo a constatare che i timori erano assolutamente fondati”.

La comunità si dice inoltre preoccupata “per gli effetti negativi e destabilizzanti che potrebbero ricadere sull’oneroso lavoro di recupero, reinserimento e prevenzione” sui quali è impegnata.


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2 gennaio, 2021

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