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Lettere - Viterbo - Scrive Barbara Cozzolino

“Mi offro per lavorare al ristorante di Bianchini, ma voglio garanzie sul contratto…”

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Barbara Cozzolino

Barbara Cozzolino

Viterbo – Riceviamo e pubblichiamo – È dell’altro ieri l’ennesimo comunicato stampa del noto ristoratore viterbese ed ex consigliere comunale Paolo Bianchini.

Per mesi e mesi l’ex consigliere fratelliniano ha inviato alle testate giornalistiche locali in media un articolo al giorno, lamentando la crisi che, a causa della pandemia, a partire dal marzo 2020 ha colpito il settore della ristorazione. E, in alcune occasioni, anche con affermazioni che potevano suonare al limite della minaccia, invitando gli esercenti ad aprire i locali nonostante le restrizioni Covid lo impedissero. O, in seguito alle parziali riaperture,  sostenendo che avrebbe tenuto tavoli anche al coperto, nonostante le nuove misure prevedano che i tavoli siano solo all’aperto.

Ora, se da un lato comprendo il disagio in cui si trova questa categoria, comprendo perfettamente (e forse anche di più) il disagio che stanno vivendo tutti, poiché quello della ristorazione non è l’unico settore ad aver sofferto durante l’ultimo anno e mezzo.

La crisi lavorativa esisteva già da molto tempo prima della pandemia, il Covid ha “semplicemente” contribuito a peggiorarla e allargarla su vasta scala.

Ormai quasi non presto più attenzione ai comunicati del signor Bianchini. Quello di ieri, tuttavia, ha avuto l’effetto di lasciarmi indignata. Indignata e offesa.

In data 1 gennaio 2021 avevo avuto anch’io l’ardire di inviare un comunicato stampa ai quotidiani locali, spiegando la mia situazione: disoccupata, marito disoccupato, tre figli minorenni.

Non solo il mio appello è rimasto pressoché inascoltato, se si esclude un unico posto di lavoro che mi fu offerto a Vetralla, per il quale tuttavia era requisito necessario essere in possesso di un mezzo di trasporto proprio (che non ho e che, ovviamente, nelle mie condizioni non posso permettermi), ma fu oggetto anche di critiche, insulti e offese. Come se chiedere il rispetto dell’articolo 1 della Costituzione italiana fosse una colpa.

Ma neppure dopo un anno e mezzo di attesa e continui solleciti all’assessorato servizi sociali e al Col, riesco a ottenere il tirocinio formativo che mi spetterebbe, essendo arrivata terza nella graduatoria per il bando di concorso per borse di lavoro.

In questi anni, spesso mettendo da parte l’orgoglio e dimenticando di aver ottenuto, faticosamente, una laurea, ho bussato a tantissime porte, ottenendo sempre rifiuti: sono troppo vecchia, sono una madre che potrebbe avere esigenze familiari (domanda: ma ai fratelliniani come Bianchini non dovrebbe essere caro questo concetto?), non ho esperienza, non sono qualificata per quella mansione, sono troppo qualificata perché ho una laurea. Di sicuro anche il mio pensiero ideologico-politico, tendente al marxismo-leninismo, non giova a mio favore. E questo nonostante, cito sempre la nostra Costituzione, “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

In un’occasione, alcuni anni fa, mi presentai anche a un ristorante che cercava personale per il periodo estivo. Il proprietario mi prospettò circa mille euro al mese per almeno 14 ore al giorno. E avevo talmente bisogno di lavorare che accettai. Egli mi disse che nel frattempo avrebbe valutato altri candidati e che poi mi avrebbe fatto sapere. Non mi fece sapere più nulla.

In un periodo come questo, dove, come ripeto, la crisi l’hanno vissuta tutti e non solo i ristoratori, dove tantissimi, già prima del Covid, eravamo alla disperata ricerca di un lavoro, stento fortemente a credere che i ristoratori non trovino personale. Così come trovo assurdo si incolpi di questa presunta mancanza di personale il reddito di cittadinanza. E non soltanto perché il Rdc ha durata di soli due anni, ma anche perché non permette che si rifiutino più di due lavori offerti.

Pertanto, qualcosa non mi torna nelle parole del signor Bianchini.

Mi piacerebbe illustrasse più specificatamente quali condizioni lui e i suoi colleghi offrono: quant’è la paga mensile e per quante ore giornaliere; se è previsto un contratto e di quale tipo; se sono previste le più elementari norme sindacali; se i turni di lavoro sono stabiliti con largo anticipo e non, piuttosto, giorno per giorno, elemento quest’ultimo che impedirebbe anche di organizzare la propria vita personale. Altrimenti rimane fin troppo facile sostenere che non si trovi personale, se non si specificano tali modalità. O addirittura accusare giovani e meno giovani di non avere voglia di lavorare.

Se il signor Bianchini o qualsiasi dei suoi colleghi ristoratori fossero disposti ad assumere una come me, cinquantenne, madre, non esperta del lavoro ma dispostissima ad apprenderlo (non so se è possibile ma il famoso tirocinio formativo di cui beneficerei, essendo arrivata terza al famoso bando di concorso per borse di lavoro, non potrebbero metterlo in atto i ristoratori?), con possibili idee diverse dalle loro ma non vietate dalla Costituzione e, naturalmente, con un contratto regolare,  uno stipendio adeguato e tutte le basilari norme sindacali, non esiterei un solo istante ad accettare.

Non mi vergognerei ad adeguarmi a un lavoro più umile rispetto ai miei trascorsi accademici e a quelle che un tempo furono le mie aspirazioni. Poiché si tratterebbe comunque di un lavoro, della possibilità di offrire di più ai miei figli, magari anche permettermi una vacanza con loro, essendo dal 2014 che non abbiamo la possibilità di concedere loro neppure questo.

Tuttavia, se quel che mi offrite è un lavoro di 10 ore al giorno per 3-4 euro l’ora e che non consente a una donna e madre non solo di passare un po’ di tempo con la propria famiglia (lo sottolineo nuovamente, essendo concetti tanto cari a voi fratelliniani), ma anche di non offrire loro un adeguato sostegno, continuate a lamentarvi con un articolo al giorno. Noi che abbiamo seriamente bisogno di lavorare, seguiteremo a cercare altrove.

Ma non permettetevi più di offendere chi cerca la dignità attraverso un lavoro, accusandolo di non aver voglia di lavorare. La differenza tra non voler lavorare e non voler essere schiavizzati è abissale e una simile affermazione suona come un insulto.

Barbara Cozzolino


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26 maggio, 2021

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