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Droga in centro - Valerio De Nardo: "Ha ragione Antoniozzi. Se un trentenne si infila nel braccio una siringa di eroina, la sua è una richiesta di aiuto e quel braccio è anche il mio"

“C’è un mondo che puzza, ce ne vogliamo disinteressare dopo averlo messo all’indice?”

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Viterbo – Riceviamo e pubblichiamo – Più o meno un decennio fa, Alfonso teneva su Tusciaweb la sua rubrica “L’alambicco di Antoniozzi” ed io, in contemporanea, quella de “L’opinione di uno sporco comunista”. Coincidenze temporali, ma forse pure sensibilità affini che trovavano uno spazio nel quale esprimersi.


Viterbo - Valerio De Nardo

Valerio De Nardo


Fatto sta che il suo intervento di venerdì scorso ha suscitato in me un’impellente necessità di ripassare con l’evidenziatore le sue considerazioni.

Kamala Harris, che non è certamente una sporca comunista, denuncia le diseguaglianze negli Stati Uniti d’America parlando di chi la doccia se la possa fare prima di andare al lavoro e chi, invece, se la debba fare dopo. Ma una questione ulteriore e urgente, a mio avviso, è: e chi la doccia non se la può fare proprio?

Alfonso Antoniozzi coglie un punto fondamentale del nostro vivere sociale: c’è un mondo che puzza, ce ne vogliamo disinteressare dopo averlo messo all’indice? La povertà puzza. Per chi attraversa normalmente gli ambiti metropolitani, come capita a me, la puzza della miseria si distingue immediatamente dagli elaborati profumi e dai sofisticati deodoranti della nostra garbata olfattività sociale.

Dunque, ci tappiamo il naso? Passiamo oltre? Chiamiamo la polizia e basta? È ovvio che esistono problemi di sicurezza, ordine pubblico e decoro che devono essere compresi e affrontati in quanto tali, su questo non si discute; ma una volta affrontati in quanto tali deve sapersi guardare oltre, occorre capire che essi esistono in quanto sono anche problemi di disagio, di sofferenza, di marginalità, che richiedono impegno politico e responsabilità sociale.

Se un trentenne senza lavoro, con una famiglia spiantata, una casa malmessa (la doccia l’avrà?) si buca in piazza del Sacrario, mi posso sentire sollevato dopo aver chiamato i carabinieri per denunciarlo? Non me ne devo curare oltre la composizione sullo smartphone del 112, numero unico di emergenza europeo? La foto dell’ago nel braccio mi deve suscitare soltanto sdegno?

A mio parere, Alfonso Antoniozzi è stato capace, al di là del suo ruolo contingente di consigliere comunale, di richiamare ognuno di noi a guardare con lenti differenti quella persona che si buca di eroina, che sfugge alla realtà perché incapace di affrontarla con gli strumenti di cui dispone.

Fabrizio De Andrè ci ha insegnato che anche se noi ci crediamo assolti siamo lo stesso coinvolti. Vogliamo occuparci di quanti soffrono e capire cosa possiamo concretamente fare per loro, sapendo che lo stiamo facendo anche per noi? Quelli meno giovani certamente non ricorderanno il “furto dell’autoradio”, un grande classico degli anni ‘70/’80, normalmente interpretato dagli eroinomani. La propria sicurezza si costruisce facendosi carico dei problemi degli altri, non fuggendo da essi: anche per questo Luca Bottura ha intitolato “Buonisti un cazzo!” un suo libro uscito subito prima dello scoppio dell’emergenza pandemica in Italia.

Viterbo è animata da una grande capacità di intervento sociale. Il comune o la Asl, per quanto è nelle loro limitate possibilità, ci mettono qualche pezza, ma è evidente che solo una grande rete fatta di esperienze laiche e religiose, provi a entrare in profondità dentro quei territori per tentare di reggere l’urto di una fase durissima, di una feroce aggressione ad ogni fragilità, ad ogni vulnerabilità, di cui la crisi scatenata dalla pandemia rischia di moltiplicare enormemente i numeri.

Pertanto mi sento di ringraziare sinceramente Alfonso Antoniozzi: perché alla polemicuccia politica ha preferito il richiamo alla necessità di portare uno sguardo attento e partecipe a questi fenomeni sociali. Perché se devo amare il mio prossimo come me stesso, in primo luogo devo amare me stesso e la mia immagine riflessa nell’altro: foss’anche il giovane uomo che si infila una siringa di eroina nel braccio, mentre a milioni ci facciamo bucare il braccio per cercare la salvezza nel vaccino. Ha ragione Alfonso, quel buco è una disperata richiesta d’aiuto e quel braccio è il mio.

C’è da rinsaldare il legame sociale, da alimentare esperienze culturali diffuse, da fare una politica che non si dimentichi delle periferie esistenziali, anzi che parta da quelle: non per fare la doccia alla propria coscienza, ma per ricostruire il senso di una comunità che sappia offrire speranze invece che spacciare paure.

So che il direttore di Tusciaweb gradirà una conclusione con un paio di citazioni di Don Lorenzo: in primo luogo domandandosi a che serva avere le mani pulite se le si tiene in tasca e poi ricordandosi che sortirne insieme è politica, sortirne da soli è avarizia.

Valerio De Nardo


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28 giugno, 2021

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