Viterbo – Caro direttore, Viterbo “città d’arte e cultura” non perde l’occasione per negare le proprie vocazioni. Che siano i singoli cittadini, a volte distratti, a volte ignari, a volte incompetenti, a volte consapevoli ma travolti da altri interessi, è purtroppo da mettere in conto. Come sono da mettere in conto gli errori degli amministratori, coinvolti in troppe beghe di partito per riuscire a governare la città.
Quel che preoccupa sono gli sbandamenti dei tecnici, dei competenti.
Viterbo – La chiesa della Crocetta
Qualche decennio addietro, come lontana provincia dell’impero, Viterbo era pressoché ignorata dagli organi centrali dello stato, siti a Roma e solo su Roma attenti. Poi, con l’istituzione di una facoltà di Beni culturali e a partire dall’insediamento alla Rocca Albornoz di una delegazione della Sovrintendenza, vi fu qualche segnale di una maggiore attenzione al patrimonio storico, artistico e culturale dell’Etruria meridionale, cioè sostanzialmente della Tuscia. L’insediamento definitivo della sovrintendenza a Viterbo sembrava il coronamento di lunghi anni di speranze e di insistenze.
Ma la verità è diversa. Troppi errori, troppe dimenticanze, troppa burocrazia, troppa politica conservativa.
Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti; anzi, in verità, in alcuni casi sono scomparsi agli occhi di tutti.
Affreschi e tecniche a graffito sulle antiche facciate scomparsi: tanto per dire, vedere certe lunette delle porte urbiche, o via Annio, o semplicemente lo scandalo di palazzo della Pace a piazza delle Erbe.
Lo stato delle antiche fontane viterbesi.
La ricostruzione delle mura crollate presso porta Fiorita con pietre nuove, tal che quel tratto sembra oggi più un muraglione autostradale che una cinta urbica.
L’abbandono al suo destino di Castel Firenze, un esempio di incuria per ciò che è bello o singolare a prescindere dall’età (ma aveva un secolo, ed è quasi coevo del celeberrimo e paradossale quartiere Coppedé di Roma).
Ora, le colonnine alla cosiddetta “Chiesa della Crocetta”…
Perfino l’atteggiamento verso gli investimenti nell’area termale sembra ambiguo, perché se è vero che quella zona va preservata da un sfruttamento edilizio per la sua vocazione archeologica e agricola, è altresì vero che andrebbe comunque ampiamente sfruttata per confermare e ampliare la vocazione termale, foriera di proficui sviluppi socioeconomici per la città. Ricordo che esiste un principio di sviluppo sostenibile che lì può trovare ampia applicazione.
C’è oggi una strategia d’uso del bene culturale che ne nega la mera conservazione a fini scientifici. Vorrei ricordare il concetto di “giacimento culturale” elaborato negli anni ’80, che fece storcere il naso ai puristi ma dette avvio ad un avvicinamento di massa alla cultura, ai musei, ai luoghi dell’arte e della storia. La cultura è condivisione, conoscenza, e va “usata”.
Tempo fa, quando ero assessore provinciale alla cultura (come tecnico, non come politico…), convenni con un esperto di restauri, il quale sosteneva che se è vero che un antico vaso andrebbe scientificamente restaurato distinguendo nettamente tra parti originali e risarcimenti (ad esempio con il famoso sottosquadro), è altresì importante considerare che quel vaso è una testimonianza culturale che va condivisa con un pubblico, che ne è in definitiva il vero e unico proprietario, e il pubblico ha “bisogno” di cogliere l’interezza delle forme. Questo varrebbe anche per certi restauri architettonici, che devono dare continuità e non discontinuità al bene, mantenere il suo profilo, il suo appeal culturale e storico, ma anche socioeconomico. Tanto per dire, se mancano dei merli ad un muro urbico, si possono reintegrare, restituendo identità a quello che altrimenti sembrerebbe una mera opera di edilizia moderna.
Non sono queste solo opinioni personali, vi sono fior di studiosi e di interpreti dello sviluppo che condividono queste considerazioni, anche perché il turismo culturale porta soldi e questi servono anche per conservare e salvaguardare il bene culturale.
Certi atteggiamenti autoreferenziali di una istituzione votata solo alla conservazione del bene culturale rischiano di rivelarsi aristocratici, esclusivi, selettivi e, in definitiva, antidemocratici.
Non tutti i turisti graffitano sui muri antichi o fanno il bagno nelle fontane rinascimentali; molti amano ciò che vedono e lo rispettano, ma vorrebbero vederlo oggi e anche domani, senza che vada in malora.
Caro direttore, concordo con te: al di là dei veti più o meno giustificati in termini paesaggistici, dove stava la sovrintendenza quando sono capitate tutte le disgrazie al patrimonio artistico, culturale e storico di Viterbo? Comprese le colonnine storte della Crocetta?
Francesco Mattioli
Fotogallery: Il “restauro” della Crocetta
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