Pirati-della-Bellezza-2025-presentazione-560-int

    Condividi: Queste icone linkano i siti di social bookmarking sui quali i lettori possono condividere e trovare nuove pagine web.
    • Facebook
    • Twitter
    • LinkedIn
    • Google Bookmarks
    • Webnews
    • YahooMyWeb
    • MySpace
  • Stampa Articolo
  • Email This Post

Tar del Lazio - I giudici amministrativi danno ragione alla famiglia - Vittima un sottufficiale sanitario

“Innumerevoli missioni in teatri bellici, maresciallo ucciso dall’amianto”

Condividi la notizia:

Roma -Tar del Lazio

Roma – Tar del Lazio


Viterbo – (sil.co) – Maresciallo capo dell’esercito muore di tumore il 26 febbraio 2013, secondo i familiari a causa della prolungata esposizione all’amianto. A distanza di otto anni il Tar del Lazio accoglie la richiesta di annullamento del diniego del ministero della difesa, secondo cui l’infermità non era dipendente da causa di servizio. I giudici amministrativi hanno però bocciato la richiesta di risarcimento del danno fatta al ministero della finanza.

Vittima un militare che si è arruolato nell’esercito italiano il 5 settembre 1988, frequentando la scuola allievi sottufficiali di Viterbo e successivamente la scuola infermieri professionali di Roma, trascorrendo gli ultimi due anni di corso a Bologna.

Conclude il Tar: “Sussistono tutti gli elementi per affermare che l’infermità che ha determinato la morte del maresciallo capo è stata causata dall’esposizione lavorativa ad amianto”.

Nel 1992, dopo essere passato in servizio permanente, il maresciallo capo è stato assegnato all’ospedale militare di Chieti, quale sottufficiale di sanità militare nel laboratorio di analisi, prestando servizio fino al 2010, quando è stato trasferito alla Cmo, dove è rimasto in attività fino al momento in cui, nel novembre del 2011, ha avuto esordio la malattia che ne ha causato il decesso.

I familiari hanno impugnato il decreto del ministero della difesa del 6 dicembre 2013, chiedendo anche il risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimità degli atti impugnati. Il procedimento che ne è scaturito si è concluso il 9 aprile 2021 e adesso è stata anche pubblicata la sentenza. 


Innumerevoli missioni in teatri bellici

L’esposizione si sarebbe verificata sia nel corso dell’attività lavorativa svolta nel laboratorio di analisi dell’ospedale militare di Chieti, sia nel corso delle missioni all’estero e in teatri bellici.

Il maresciallo capo è stato impiegato: dal 18 agosto 2000 al 18 ottobre 2000 nell’operazione “Joint Guardian” in Kosovo; dal 26 febbraio 2003 al 15 maggio 2003 nell’operazione “Nibbio-Enduring Freedom” in Afganistan; dal 16 luglio 2004 al 31 agosto 2004 nell’operazione “Decisive Endeavour” in Kosovo; dal 2 giugno 2005 al 14 luglio 2005 nell’operazione “Eufor” in Bosnia; dal 29 dicembre 2005 al 7 marzo 2006 nell’operazione “Althea” in Bosnia; dal 23 ottobre 2006 al 29 dicembre 2006 nell’operazione “Joint Enterprice” in Kosovo; dal 28 giugno 2007 all’11 settembre 2007 nell’operazione “Althea” in Bosnia; dal 18 aprile 2008 al 5 settembre 2008 nell’operazione “Leonte 4” in Libano.

Nel corso delle missioni, il militare sarebbe stato impiegato quale supporto infermieristico ai team Eod (explosive ordnance disposal), ossia agli artificieri che intervengono sugli ordigni inesplosi, e si sarebbe spostato pertanto di frequente con mezzi corazzati, nei quali sarebbe stato presente amianto, che raggiungevano aree contaminate da uranio impoverito e da polveri e fibre di amianto.


Amianto nelle cucine da campo e sui mezzi corazzati

Con riferimento alla prima missione in Kosovo del 2000, il militare, oltre a operare come supporto infermieristico ai team Eod, sarebbe stato esposto anche all’amianto presente nelle cucine da campo e nei mezzi corazzati utilizzati per gli spostamenti.

Inoltre, muovendosi nei teatri operativi al seguito degli artificieri, il militare sarebbe stato esposto all’amianto, all’uranio impoverito e ai metalli pesanti polverizzati nell’aria a seguito della distruzione, mediante ordigni e proiettili contenenti uranio impoverito, delle strutture presenti in loco, di armamenti o di carri armati, contenenti amianto e altre sostanze nocive.

In tutte queste situazioni, il militare avrebbe operato privo di dispositivi di protezione e, inoltre, non sarebbe stato informato della presenza di agenti patogeni. Al rientro in Italia, sarebbe stata rilevata la presenza nelle urine del militare di valori di U-238 non inferiori ai Lid relativi.


Elicotteri dell’esercito a rischio

Anche nel corso della missione in Afganistan “Enduring Freedom” il militare si sarebbe servito per la propria attività di mezzi contenenti amianto per recarsi nelle aree da bonificare da ordigni inesplosi.

La presenza di amianto sarebbe stata accertata pure negli elicotteri impiegati dall’esercito italiano, come emerso nell’ambito delle indagini condotte dalla procura della repubblica presso il tribunale di Torino. Inoltre, l’amianto sarebbe stato presente nelle cucine da campo, dove non sarebbe stato esposto all’epoca il cartello – apposto invece successivamente – volto a segnalare il rischio dovuto alla presenza di amianto.

A Rajlovac, in Bosnia, il militare avrebbe lavorato nella base adiacente all’area utilizzata dalle forze di coalizione come pista per gli elicotteri. Nelle ulteriori due missioni in Kosovo, il maresciallo capo sarebbe stato nuovamente impiegato a supporto dei team Eod e avrebbe operato presso il laboratorio di analisi di Belo Polie. Nell’operazione “Leonte 4”, in Libano, sarebbe stato impegnato con gli artificieri della Brigata Garibaldi, in un’area nella quale sarebbe stato esposto anche al piombo e alle sostanze nocive presenti negli esplosivi e nella polvere da sparo.


Fisico debilitato dalle vaccinazioni

Il fisico del militare sarebbe stato inoltre debilitato dalle numerose vaccinazioni, effettuate spesso senza tenere conto di quelle già eseguite in precedenza, che avrebbero depresso il suo sistema immunitario.

Nel corso del procedimento, la famiglia ha depositato, tra le altre cose, anche la sentenza con cui il tribunale di Pescara ha riconosciuto lo status di “vittima del dovere” del maresciallo capo.

Due “verificazioni” sono state affidate all’istituto dei tumori Regina Elena e all’Inail di Roma.

Ad esempio per accertare se nel laboratorio analisi dell’ospedale militare di Chieti presso il quale il militare ha prestato servizio dal 16 settembre 1992 al 18 luglio 2012, svolgendo le mansioni di infermiere professionale addetto al laboratorio di analisi cliniche e di tecnico sanitario di laboratorio biomedico, fossero in dotazione attrezzature contenenti amianto, in particolare becchi di Bunsen utilizzati con reticelle spargifiamma contenenti amianto, guanti di amianto, forni coibentati con amianto, reti idrauliche parimenti coibentate con amianto.


Le conclusioni 

“Discende da quanto sin qui esposto che la patologia che ha causato il decesso del maresciallo capo è stata ragionevolmente causata dall’esposizione all’amianto e che qualunque esposizione a tale sostanza ha effetto causale nell’insorgenza della malattia o nella riduzione del periodo di latenza. Andava accertato se l’esposizione all’amianto potesse ritenersi provata”, si legge nella sentenza.

“Per fare soltanto qualche esempio, sono state depositate le fotografie relative alla prima missione in Kosovo del maresciallo capo, che ne attestano la presenza in teatri di guerra, nonché le immagini che dimostrano, ancora nel 2013 (e quindi persino dopo il decesso del militare), l’impiego di amianto nelle cucine militari da campo”. 

Relativamente all’attività svolta dal militare presso il laboratorio analisi dell’ospedale di Chieti, viene sottolineato come i verificatori riconoscano che “il settore della difesa non possa certo essere considerato, nell’ambito sanitario, tra quelli tecnologicamente più avanzati nel periodo 1992-2012”, nonostante risalga al 1992 la messa al bando dell’amianto, “non potendosi però escludere la presenza di amianto nel laboratorio di analisi nei primi anni immediatamente successivi alla data di entrata in vigore della legge”.

“La seconda verificazione – si legge – ricostruisce puntualmente le mansioni svolte dal militare, periodo per periodo, comprovando anche il fatto che, durante le missioni all’estero è stato impiegato principalmente quale ‘addetto supporto sanitario team Eod’, ‘addetto aviosgomberi’ e ‘addetto supporto plotone Eod e team Iedd’, questi ultimi (improvised explosive detection and disposal) deputati allo svolgimento di attività di rilevazione, controllo e bonifica di ordigni esplosivi”.


No risarcimento a familiari

I familiari del militare, chiedendo un risarcimento, hanno lamentato in particolare di aver sofferto di un danno morale, consistente in “perturbamenti dell’animo derivanti dal provvedimento di diniego e dalle relative motivazioni”.

“Al riguardo – si legge nella sentenza – deve osservarsi che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, il principio generale dell’onere della prova previsto nell’art. 2697 c.c., si applica anche all’azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al giudice amministrativo, con la conseguenza che spetta al danneggiato dare in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria e quindi del danno di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario, con la conseguenza che, laddove la domanda di risarcimento danni manchi dalla prova del danno da risarcire, la stessa deve essere respinta”.


Condividi la notizia:
12 settembre, 2021

    • Pirati-della-Bellezza-2025-presentazione-160-SKY

                               Copyright Tusciaweb srl - 01100 Viterbo - P.I. 01994200564PRIVACY POLICY

Test nuovo sito su aruba container https://www.tusciaweb.it/tag/renzo-trappolini/