Roma – (sil.co.) – Maxinchiesta della guardia di finanza su un gruppo della grande distribuzione, tra gli indagati c’è anche un avvocato 59enne romano amante delle auto di lusso mentre tra le presunte frodi ce n’è una legata al bonus facciate.
Secondo l’accusa, il legale avrebbe messo a disposizione le proprie competenze professionali allo scopo di far ottenere finanziamenti alle società gestite dal sodalizio, pur essendo del tutto consapevole del meccanismo fraudolento posto in essere dai gestori, in cambio di una percentuale nonché dell’uso di una Porsche Macan intestata a una delle società del sodalizio. La supercar, assieme a 15 orologi preziosi, è tra i beni per oltre sette milioni di euro che sono stati sequestrati.
È l’inchiesta è partita da un controllo della guardia di finanza di Viterbo su un supermercato di Civita Castellana. coinvolgendo decine di persone e società. Le accuse comprendono, a vario titolo, associazione per delinquere, frode fiscale, trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio.
Agli arresti domiciliari sono finiti i tre presunti vertici del sodalizio, indicati come promotori e organizzatori. Sono l’imprenditore settantenne Rosario Timpani, originario della provincia di Catanzaro e residente a Roma e i figli Massimiliano e Manuel, di 48 e 39 anni. A due professionisti è stato impedito d’esercitare per un anno.
C’è inoltre il nome di Ercole Mattiussi, 73enne, residente a Montefiascone, nel decreto di perquisizione personale, locale e informatica e sequestro firmato dal pubblico ministero Gianfranco Gallo della procura di Roma nell’ambito di un presunto sistema di frodi fiscali nella grande distribuzione organizzata.
Una delle società sarebbe stata utilizzata per appaltare tramite ingente sovrafatturazione, l’esecuzione di opere edili rientranti nel cosiddetto “bonus facciate”. Sempre secondo l’accusa, il gruppo dei Timpani ed altre persone a loro collegate, avrebbero elaborato una specifica strategia che, per il tramite di una strumentale, oltre che fittizia, sponsorizzazione da parte di una società anch’essa riconducibile allo stesso gruppo criminale, avrebbe consentito ai committenti di non corrispondere la propria quota del residuale 10% dell’importo dei lavori sul 100% dell’investimento (finanziabile dallo stato fino al 90%).
Tali modalità, avrebbero quindi consentito al cliente di non versare alcun corrispettivo, in quanto la propria parte di costo avrebbe dovuto essere assorbita dalla sponsorizzazione, consentendo così al gruppo criminale, quale appaltatore, di decidere liberamente sull’importo dei lavori, senza alcuna resistenza della controparte committente. L’importo della sovrafatturazione, secondo le indagini della finanza, sarebbe stato evidenziato dal conseguente sub-appalto dei lavori edili da eseguire ad altre imprese per importi di gran lunga inferiori.
I tre Timpani, sempre secondo la procura, avrebbero diretto una rete di società e cooperative di comodo, utilizzate per fornire manodopera a punti vendita da loro riconducibili, evitando il pagamento di imposte e contributi e generando profitti illeciti tramite fatturazioni per operazioni inesistenti.
Viterbo – Guardia di finanza
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Presunzione di innocenza
Nel sistema penale italiano vige la presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva. Presunzione di innocenza che si basa sull’articolo 27 della costituzione italiana secondo il quale una persona “non è considerata colpevole sino alla condanna definitiva”.
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