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Tribunale - Al setaccio lo smartphone usato per chiamare i carabinieri - Ricorre al riesame la difesa

Mamma 19enne segregata in casa da suoceri e marito, perizia sul cellulare

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Arlena di Castro – (sil.co.) – “Segregata in casa dai suoceri e dal marito? Non per divorziare di nascosto, perché in Marocco chi vuole divorziare deve dare una somma in contanti all’ex coniuge davanti al giudice”, spiega l’avvocato Luigi Mancini, difensore dei tre indagati.

Nel frattempo sono stati disposti dalla procura accertamenti tecnici sul cellulare della presunta vittima, che lo ha anche usato per dare l’allarme ai carabinieri. “Le avrebbero tolto i documenti ma lasciato il telefonino”, commenta il legale, immaginando il perché degli accertamenti. 

“Ci sono delle contraddizioni nel racconto della donna, che secondo me è stato tradotto male. Ad esempio, avrebbe detto che la tenevano segregata per non farla tornare in Marocco ma anche che le hanno tolto i documenti per rispedirla in Marocco”, prosegue Mancini, che ieri ha discusso il suo ricorso al tribunale della libertà. 

Il pubblico ministero Chiara Capezzuto, sempre ieri, ha intanto conferito l’incarico a un perito di esaminare lo smartphone della mamma 19enne marocchina che lo scorso 26 giugno ha fatto arrestare il marito trentenne e fatto allontanare dalla loro abitazione di proprietà, ad Arlena di Castro, i suoceri di 56 e 44 anni, accettando di trasferirsi in un alloggio protetto assieme alla figlioletta che nel frattempo ha ora undici mesi.


La pm Chiara Capezzuto

La pm Chiara Capezzuto


“Avrebbe anche detto che il marito e i suoceri volevano divorziare di nascosto da lei – ha spiegato il legale ai giudici capitolini – ma in Marocco è impossibile divorziare di nascosto dal coniuge, perché al momento delle nozze di stabilisce una cauzione, solitamente di 5mila euro, e chi vuole il divorzio deve versarla in contanti alla controparte davanti al giudice, o anche prima, purché sia presente la controparte per dire che ha già ricevuto effettivamente i soldi”.

Non parlando italiano, la diciannovenne chiamò il 112 dicendo solo “Farmacia Arlena”, ma facendo capire che si trattava di una disperata richiesta di aiuto. Sul posto si sono precipitati i carabinieri della compagnia di Tuscania, che per l’appunto hanno trovato ad aspettarli, nei pressi della farmacia, la donna con la piccina in braccio, a detta sua segregata in casa dal marito e dai suoceri, che per impedirle la fuga l’avrebbero privata dei documenti, minacciando di rispedirla in patria.

Il 2 luglio, dopo un’indagine lampo, il marito è stato arrestato e condotto nel carcere di Perugia con l’accusa di maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona in concorso con i genitori, mentre per i suoceri è scattato l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento alla vittima.

L’avvocato Luigi Mancini, secondo cui la vicenda è stata travisata e amplificata, anche per le differenze di costumi e lingua, ha chiesto la revoca della misura o quanto meno gli arresti domiciliari per il marito, anche col braccialetto, nonché la revoca dei divieti e la possibilità di rientrare a casa porpria per i genitori. I giudici si sono riservati. 


L'avvocato Luigi Mancini

L’avvocato Luigi Mancini


La vicenda

Un inferno che sarebbe iniziato a ottobre 2019, quando la giovane sposa sarebbe giunta daMarocco a Arlena di Castro, nel cui piccolo centro storico vive una comunità araba di una trentina di persone, tra cui donne e bambini, provenienti tutti dalla stessa località del paese nordafricano e per lo più imparentati tra loro. La diciannovenne, dopo la nascita della piccola, ad agosto dell’anno scorso, sarebbe stata tenuta segregata in casa, potendo uscire solo in compagnia della suocera per portare la figlia dal pediatra e a fare le vaccinazioni. Le avrebbero inoltre tolto i documenti, lasciandole solo il permesso di soggiorno in Italia. 

Si legge nell’ordinanza che l’avrebbero costretta “ad attendere da sola a tutte le faccende di casa, a cucinare, oltre che per il nucleo familiare, per numerosi parenti che frequentavano abitualmente l’abitazione, ingiuriandola quotidianamente con espressioni quali ‘ somara, puttana, figlia di puttana e percuotendola”.

“Credo che molto abbia influito la vicenda di Saman, ma qui non siamo in Pakistan siamo in Marocco, dove c’è una cultura molto diversa”, dice l’avvocato Luigi Mancini, che per motivi personali conosce molto bene gli usi e i costumi del paese nordafricano. 

“Anche la mancata conoscenza della lingua può avere influito, senza contare che le persone coinvolte sono totalmente analfabete. Nessuno di loro, ad esempio, sapeva con esattezza la sua data di nascita, l’abbiamo dovuta cercare sui documenti. Le donne, oltre ad essere analfabete, non sanno nemmeno contare i soldi”. 

“La parte offesa, secondo l’accusa, avrebbe dovuto preparare da sola anche 16 pagnotte di pane, ma il pane arabo non sono ‘pagnotte’, ma semmai delle piadine, che non hanno bisogno di lievitazione, per farne 16 ci vuole al massimo un’ora e mezza”, spiega il legale.

Secondo lui la verità è che la 19enne, dopo la nascita della bambina, avrebbe voluto mettere su casa da sola con il marito e di fronte al suo diniego avrebbe provato a emanciparsi alla sua maniera. 


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22 luglio, 2021

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