Viterbo – Ponte di Cetti – La lapide in ricordo dell’uccisione di Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa
Viterbo – “Ho partecipato con Bignami, Segio e un romano di cui non conosco il nome, alla rapina con duplice omicidio di Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa a Viterbo. Intimammo l’alt, ma non si arresero”. 11 agosto 1980. Prima linea spara e uccide due carabinieri. A Ponte di Cetti. In pieno giorno, dopo una rapina in uno sportello bancario al Pilastro, quartiere popolare di Viterbo dove il partito comunista è molto forte.
Viterbo – Ponte di Cetti
A parlare è Michele Viscardi. Di fronte ha il pm Avella della Procura di Bergamo, città dove Viscardi, esponente di spicco di Prima linea, è nato nel 1956. E’ il verbale in cui si dissocia dalla lotta armata e parla delle operazioni di cui ha preso parte. Dall’omicidio del giudice Alessandrini allo scontro a fuoco dove hanno perso la vita Cuzzoli e Cortellessa. Un documento conservato oggi presso l’archivio del Senato della Repubblica a Roma. Il verbale d’interrogatorio è del 19 ottobre 1980. Un paio di mesi dopo i fatti di Ponte di Cetti.
Ponte di Cetti – Uccisione di Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa – Una foto d’epoca
Sono gli anni di piombo e della lotta armata, delle stragi e della strategia della tensione, del lungo ’68 con le sue importanti conquiste e dei tentati colpi di stato. Il 1980 è uno degli anni peggiori. Due anni dopo il rapimento del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro e della strage di via Fani. Poco dopo il terrorismo sarebbe stato sconfitto, ma nel 1980 era ancora nel pieno. Le formazioni più pericolose e militarmente preparate erano appunto le Brigate rosse, che nel 1978 rapirono Moro e uccisero la scorta, e Prima linea che dal 1976 al 1983 mise in campo un’organizzazione inedita e profondamente diversa da quella verticistica e clandestinamente compartimentata delle Br. Prima linea tentò invece di intrecciare la lotta armata con le dinamiche più radicali dei movimenti della seconda metà degli anni ’70 tentando di trasformarla in una sorta di guerriglia urbana permanente. Avendo come referente privilegiato non più l’operaio massa della fabbrica, in fase di smantellamento già da allora, ma l’operaio sociale dei quartieri periferici. 101 azioni rivendicate e 16 morti.
I carabinieri Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa
Una storia finita nel sangue prima e nel pentitismo poi. In un quadro di contrasto al terrorismo profondamente cambiato con l’arrivo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che distrusse le organizzazioni in poco tempo. Prima di essere ucciso a Palermo dalla mafia il 3 settembre 1982. Negli anni ’80 il terrorismo si manifestò nuovamente con altre uccisioni di giudici, magistrati, forze dell’ordine. Il testimone del terrorismo e della violenza passò però in mano alle organizzazioni criminali che con i corleonesi finirono per praticare gli stessi metodi del terrorismo politico degli anni ’70 e ’80, portandoli fin dentro i ’90 in quella sfida con lo stato andata avanti per quasi tutta la metà del decennio a colpi di bombe e morti ammazzati.
In quegli anni Prima linea stava cercando di radicarsi nella capitale. E Viscardi, Bignami e Segio erano esponenti di spicco di Prima linea. Dell’organizzazione faceva parte anche Marco Donat Cattin, figlio del vice segretario della Dc, Carlo.
“Dopo la rapina e il primo defilamento – racconta Viscardi al magistrato – ci trovammo in un bar in attesa del pullman di linea per andare a Roma”.
Senato della Repubblica – La parte del verbale di interrogatorio in cui Michele Viscardi parla dell’uccisione dei carabinieri Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa
11 agosto 1980. La rapina è il primo passaggio. “La banca rapinata – continua Viscardi – fu scelta da noi personalmente, dopo un lavoro di ricerca durato una settimana. In altre parole non vi fu nessun basista locale tanto che alla sera rientravamo regolarmente a Roma in autobus. Non mi risulta che nel viterbese vi fossero elementi, anche solo di appoggio di Prima linea”. Un racconto che diventa ancor più ricco di particolari se si prende un testo scritto da un altro carabiniere e rintracciabile in rete. Il titolo: “Ippolito Cortellessa e Giuseppe Cerini. Due vivaresi, due carabinieri”. Cortellessa era infatti di Vivaro Romano in provincia di Roma. La pubblicazione è del 2010 e l’autore si chiama Alberto Pulicani, maresciallo capo in servizio presso il comando generale dell’Arma. La sua è anche una raccolta, accompagnata da foto dell’epoca e ritagli di giornale.
Viterbo – I funerali di Cuzzoli e Cortellessa
“Quel tragico 11 agosto 1980 – scrive il maresciallo dei carabinieri Pulicani – per reperire risorse economiche (il cosiddetto autofinanziamento), un gruppo di sei militanti prende di mira la filiale Pilastro della Banca del Cimino per compiervi una rapina. Tre dei componenti del gruppo entrano nell’Istituto bancario a volto scoperto, con molta calma e le armi in pugno; uno di loro dice ‘E’ una rapina, siamo professionisti, se nessuno si muove non succederà nulla’; prendono il denaro e fuggono su una Renault sulla quale un quarto complice è in attesa, al volante. Tutte le forze di polizia vengono allertate ed inizia la caccia ai rapinatori, dei quali in quel momento ancora non è noto se siano criminali comuni o terroristi. La Renault utilizzata per fuggire viene abbandonata poco dopo. Il gruppo si divide e tre dei rapinatori raggiungono Ponte dei Cetti, una località alla periferia di Viterbo, sulla via Cassia, per salire su un autobus di linea del Cotral allo scopo di sfuggire ai numerosi posti di blocco istituiti dopo la rapina”.
Viterbo – Ponte di Cetti
Ponte di Cetti. E’ qui che avviene tutto. Un piccolo borgo contadino di pochi abitanti nato da pochi anni. Il 9 agosto 1920, come riporta l’epigrafe incastonata in cima a uno dei lati della chiesetta del “villaggio Cetti”. E’ dedicata a “Virgilio Bontà”, il proprietario terriero della zona, “nato il 17 luglio 1889, che disegnò e pose il primo sasso” del borgo che l’11 agosto del 1980 si ritrovò al centro degli anni di piombo. Nel pieno di quella che, anni più tardi, il presidente della commissione stragi, il senatore Giovanni Pellegrino, definì come una vera e propria “guerra civile a bassa intensità”. Con oltre cinquecento morti e stragi che trasformarono per sempre la coscienza civile e politica del Paese.
Viterbo – Ponte di Cetti
Poco prima dell’arrivo dell’autobus diretto a Roma “giunse una pattuglia di carabinieri, che controllò il Bignami”. A parlare è sempre Viscardi, e il verbale è sempre quello dell’interrogatorio del 1980, due mesi dopo l’uccisione di Cuzzoli e Cortellessa.
Bignami mostrò ai carabinieri “dei documenti francesi, parlando francese e i carabinieri, che nel frattempo avevano fatto fermare il pullman, non ebbero niente da obiettare. ‘Passato’ Bignami, uscimmo anche noi tre dal bar diretti al pullman: a questo punto i carabinieri ci chiesero i documenti, nonché di vedere il contenuto della borsa del ‘romano'”. A questo punto lo scenario cambia improvvisamente. “Tirammo fuori le armi – prosegue Viscardi – e ci trovammo così Segio ed il romano sul carabiniere ed io sull’altro carabiniere (Bignami era praticamente sul pullman)”. Quattro contro due.
Dentro la borsa “del romano” c’era probabilmente il contante della rapina in banca fatta qualche ora prima al Pilastro. I terroristi puntano subito le pistole contro Cuzzoli e Cortellessa, che, dal verbale della procura di Bergamo, sembrerebbero essere disarmati. Inizialmente è un vero e proprio stallo. Tant’è che un testimone dei fatti di allora, che vuole restare anonimo, racconta che uno dei due carabinieri avrebbe invitato i terroristi ad abbassare le armi e a consegnarsi. “Lascia stare e abbassa le armi”, disse.
Viterbo – Ponte di Cetti
Ponte di Cetti è un piccolo borgo contadino dedicato, pare per volontà stessa di Bontà, a un operaio che faceva di cognome Cetti morto durante i lavori del ponte che si trova poco più avanti in direzione Viterbo. Villaggio Cetti, Ponte di Cetti. Attorno le campagne a ridosso degli impianti termali di Paliano e delle masse. Campagne povere e braccianti che in passato hanno conosciuto anche la miseria, in mezzo a terre completamente prive di servizi fino agli anni ’70. A Ponte di Cetti anche una delle prime scuole elementari che, assieme a quella del “callaio”, perché vicina alla “callara” delle masse, ha insegnato a leggere e a scrivere a decine e decine di figli e figlie di operai agricoli. Oltre al bar e agli alimentari, e allo storico ristorante da Olivera poco oltre, a Ponte di Cetti nel 1980 c’era ben poco rispetto alla zona industriale che è poi diventato negli anni successivi. Poche cose, negli anni ’80, ma vissute da tutti e tutti quanti i giorni. Adesso ci sono ancora la fontana e la fermata dell’autobus. Lo spiazzo dove i due carabinieri furono uccisi e in fondo l’epigrafe che li ricorda e dove ogni anno carabinieri, familiari e istituzioni ne commemorano la memoria di quello che per Ponte di Cetti è stato un trauma drammatico che ha inoltre attraversato una comunità dove la figura del carabiniere era familiare non solo perché ben vista, ma anche perché era anche il mestiere che facevano molti dei loro figli. Una figura la cui autorevolezza non veniva mai messa in discussione ed era particolarmente stimata per il rapporto di vicinanza che sapeva stabilire con la popolazione. “All’improvviso – confida ancora la persona incontrata a Ponte di Cetti – quello che avevamo visto fino ad allora in televisione era arrivato sotto le nostre finestre. A colpi d’arma da fuoco e con i morti. E’ stato devastante e ancora oggi se ne parla con molta fatica e molto dolore”.
“Stavamo casa – racconta un altro testimone – e arrivò una telefonata in cui alcuni parenti ci dissero che a Ponte di Cetti i terroristi avevano ammazzato due carabinieri. Le prime sensazioni provate sono state di panico, rabbia e poi dolore e sconforto per i carabinieri uccisi”. Ancora oggi, nel corso di un recente fatto di cronaca che ha visto i presunti responsabili scappare per le campagne di Ponte di Cetti, gli abitanti del posto commentavano ricordando la drammatica giornata dell’11 agosto 1980.
Un articolo dell’epoca
Ponte di Cetti, 11 agosto 1980. Segio, Viscardi e un romano puntano le pistole contro Cuzzoli e Cortellessa. Bignami nel frattempo è salito sul pullman alle loro spalle.
Maurice Bignami è nato in Franci nel 1951, figlio di un antifascista scappato oltralpe per sfuggire al fascismo. Entra in clandestinità nel 1978. L’anno dopo è uno dei vertici di Prima linea. Verrà catturato nel 1981 dopo una rapina, diventando poco dopo uno dei promotori della dissociazione politica. Sergio Segio era invece il “comandante militare” dell’organizzazione terroristica e il principale animatore. Nato nel 1955, verrà arrestato a Milano il 15 gennaio 1983. Viscardi, ferito nello scontro a fuoco a Ponte di Cetti, verrà arrestato a Sorrento il 13 ottobre 1980 e inizierà a parlare pochissimi giorni dopo. Tutti, oggi, hanno scontato la pena. Una storia, quella di Pl, raccontata anche nel film del 2009 diretto da Renato De Maria, “La Prima linea”.
Una foto di Ippolito Cortellessa
“Intimammo l’alt ai carabinieri – continua Viscardi il racconto dell’11 agosto a Ponte di Cetti -, non si arresero. Ci fu una colluttazione con il carabiniere, nel corso della quale partì un colpo e mi ferì la gamba. Spararono poi un po’ tutti, e fuggimmo verso il casolare (noto anche alle cronache) sequestrando l’autovettura di una persona presente. Preciso che non fu usata nessuna delle armi trovate poi a Sorrento, o meglio preciso che a Viterbo fu usata la Beretta 925 trovata a Sorrento (e che non è quella sottratta ai carabinieri in quella occasione). Ci portammo poi nel casolare isolato, scelto casualmente, dove trovammo dapprima padre, madre e due bambini e dove poi sequestrammo in casa altre dodici, tredici persone, ma mano che arrivavano sul posto”.
Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa in quel momento erano di pattuglia nell’ambito dei posti di blocco successivi alla rapina compiuta poco prima da Prima linea a Viterbo. Cuzzoli era nato a Caprarola nel 1949. Sposato con Luisa D’Ambrosio, aveva una figlia, Piera, e un bambino in arrivo. Domenico. Ippolito Cortellessa era invece di Vivaro Romano e lì era nato il 10 ottobre 1930. Una moglie e due figli adolescenti.
Entrambi, il vice brigadiere Cuzzoli e l’appuntato Cortellessa, erano al nucleo redimibile di Viterbo dal 1979. Nella Tuscia, li conoscevano tutti. Il primo si era arruolato nell’Arma nel 1967, il secondo nel 1951. Battaglioni Campania ed Emilia Romagna e compagnia di Foligno Cuzzoli. Nucleo autocarro di Arezzo, battaglione mobile di Firenze, Nuoro e infine Tuscania e Viterbo, Cortellessa.
I funerali di Cuzzoli e Cortellessa
“Nella rete dei posti di blocco – prosegue il suo racconto il maresciallo Pulicani – Ponte dei Cetti è affidato alla gazzella, l’Alfa 1800 del Nucleo radiomobile, di Ippolito Cortellessa e del brigadiere Pietro Cuzzoli; alla richiesta dei documenti due terroristi fingono di prenderli dai borselli, invece estraggono le pistole e sparano contro i due carabinieri, che nel conflitto a fuoco colpiscono il terrorista Michele Viscardi, ma entrambi vengono feriti mortalmente. Successivamente, nell’ambito delle ricerche organizzate per catturare gli autori del gesto criminale anche il maresciallo maggiore Antonio Rubuano, comandante della stazione di Montefiascone perde la vita in un incidente stradale mentre accorre a verificare la segnalazione di un individuo sospetto”. Antonio Rubuano, medaglia d’oro al valore civile per aver salvato diverse persone durante il terremoto che distrusse la valle del Belice in Sicilia nel 1968.
“L’efferato delitto dei carabinieri – aggiunte Pulicani – colpisce profondamente la città di Viterbo, la camera ardente viene allestita nella sala Regia del palazzo dei Priori, l’amministrazione comunale proclama il lutto cittadino e invita la cittadinanza a rendere omaggio ai due militari caduti”. I funerali di Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa verranno celebrati al duomo della città. E ad accompagnarli sarà un lunghissimo corteo di persone.
Viterbo – Ponte di Cetti
Un anno dopo Ponte di Cetti si svolse a Roma un convegno regionale dedicato al terrorismo a Roma e nel Lazio, 23-24 ottobre 1981. Organizzato dall’associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti (Anppia). Dagli atti risulta che tra il 1969 e il 1980 in provincia di Roma ci furono 1715 azioni terroristiche, con 95 attentati alle sedi delle forze dell’ordine e 602 a partiti e sindacati. I morti furono una quarantina. Soprattutto magistrati, studenti e forze dell’ordine.
Durante il convegno intervenne anche Alessandro Bonucci dell’Anpi, in tal caso per conto dell’amministrazione provinciale di Viterbo e in sostituzione di Ugo Sposetti del partito comunista, allora presidente della provincia.
“Nel 1975 – ricordava Bonucci – nel carcere di Viterbo avvenne una grave rivolta guidata dai Nap con Zecchitella in testa; fu scoperta anche la complicità di una guardia carceraria, e cioè significa che fin da allora vi era l’inserimento clandestino nell’organismo. V’è stato nel 1977 un furto, e precisamente un assalto ad un’armeria da parte delle Brigate rosse e le armi sono state poi ritrovate in covi delle Br”.
Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa sono stati insigniti della medaglia d’oro al valore militare. A loro, nel corso degli anni, sono state dedicate vie e piazze. Due vie a Viterbo, entrambe a Villanova, così come la sede dell’associazione nazionale carabinieri in via Saffi, la sede della caserma del comando provinciale e la sala rapporto del comando Legione carabinieri Lazio.
Daniele Camilli
Fotocronaca: Ponte di Cetti
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