Viterbo - Intervista ad Antonio Ingroia, avvocato della famiglia dell'urologo di Belcolle, dopo l'assoluzione della donna accusata di cessione di eroina
di Raffaele Strocchia
Viterbo – Riprende quota il giallo di Attilio Manca, l’urologo dell’ospedale di Viterbo che 17 anni fa è stato trovato morto nel suo appartamento alla Grotticella. Un “omicidio di mafia” per la famiglia, secondo la quale il medico sarebbe stato ucciso dopo aver operato il boss latitante Bernardo Provenzano. Una “tragedia di droga”, invece, per il tribunale di Viterbo che nel 2017 ha condannato Monica Milati per aver ceduto a Manca l’eroina letale. Martedì, però, la corte d’appello di Roma ha ribaltato il verdetto: la donna è stata assolta perché “il fatto non sussiste”.

Antonio Ingroia
Avvocato Antonio Ingroia, da anni rappresenta la famiglia Manca. Si aspettava quest’esito della sentenza di secondo grado?
“Chi ha fiducia nella giustizia si aspetta sempre l’affermazione della verità. Anche se le speranze stavano iniziando a estinguersi perché in questi anni sono state diverse le docce fredde arrivate dagli uffici giudiziari di Viterbo e Roma: tribunale, procura, procura distrettuale e procura nazionale antimafia. Questa sentenza d’appello, però, rinsalda la fiducia nella giustizia e fa piazza pulita di una versione che secondo noi è sempre stata capovolta rispetto alla realtà e alla verità dei fatti. Ora si azzera tutto e possiamo ricominciare”.
Da dove?
“Per recuperare il tempo perduto, si potrebbe partire da ciò che la famiglia Manca ha più volte chiesto: la riesumazione della salma di Attilio. Oggi la tecnologia consentirebbe una serie di accertamenti scientifici per verificare le reali cause del decesso. Finalmente ci sono tutti i presupposti per un’indagine seria sul delitto e per fare tutto ciò che non è mai stato fatto”.
Monica Mileti è stata assolta perché “il fatto non sussiste”. Cosa significa? E cosa rappresenta questo verdetto?
“Significa che non esiste che Mileti ha ceduto l’eroina ad Attilio Manca. Di conseguenza cade l’unico pilastro della vicenda, che in realtà era solo un teorema accusatorio. Noi abbiamo sempre sollevato tanti dubbi: sull’autopsia, sugli accertamenti medico-legali fatti al tempo, sull’esame della scena del delitto. Ci sono stati certamente dei depistaggi. La sentenza d’appello ci dà ragione e da qui dobbiamo ripartire”.
A chi vi rivolgerete?
“Bisognerebbe incominciare ancora una volta dalla procura di Viterbo, che è territorialmente competente. Ma siccome noi sosteniamo che nel delitto ci sia stata la mano della mafia, ci sarebbe pure la competenza della procura distrettuale antimafia di Roma. Secondo me ci sono tutti i presupposti per un’istanza a doppio indirizzo. Inoltre, per le implicazioni e i collegamenti con la latitanza di Provenzano e con la trattativa stato-mafia, investiremo della vicenda anche il procuratore nazionale antimafia e la commissione antimafia”.

Attilio Manca
E non sarebbe la prima volta… Ma finora non ci sono stati esiti a vostro favore. Crede che dopo la sentenza di secondo grado qualcosa possa cambiare?
“Assolutamente sì, perché le nostre istanze sono state rigettate usando sempre Monica Mileti come giustificazione: prima il procedimento penale, poi il rinvio a giudizio e infine la condanna di primo grado. Ora, con l’assoluzione in appello, nessuno potrà più dire che la verità del caso Manca sia stata accertata nel processo contro Mileti. Anzi, saremo noi a dire che ciò che è stato sostenuto fino ad oggi in realtà non è mai successo. La giustizia faccia ammenda. Le istituzioni giudiziarie chiedano scusa alla famiglia Manca, facciano un passo indietro e cerchino di riparare seppur tardivamente a un ritardo che comunque resterà imperdonabile”.
L’avvocato di Mileti all’agenzia di stampa Agi ha dichiarato: “La procura di Viterbo mi aveva detto: ‘Falla confessare perché poi noi lo qualifichiamo quinto comma e il quinto comma si prescrive a breve’. Senonché io l’ho spiegato alla mia assistita e lei mi ha detto: ‘Ma io posso confessare una cosa che non ho fatto?!'”. Che ne pensa?
“È un fatto gravissimo, che il collega mi ha riferito anche personalmente. Ci sono i presupposti per una denuncia sia al Consiglio superiore della magistratura che alla procura di Perugia, perché atteggiamenti del genere sono al limite dell’inquinamento probatorio. Si è tentato di convincere una innocente ad accusarsi di un reato mai commesso, pur di mettere un coperchio su questa ‘pentola’ che scotta. Ma ora il coperchio è saltato e la verità sta venendo a galla. Ed è il momento di farla venire fuori tutta”.
Ha parlato di denunce. Le farà la famiglia Manca? Se sì, nei confronti di chi?
“Faremo una segnalazione, che a mio parere sarà sufficiente ad aprire un procedimento penale e disciplinare. Sarà contro ignoti. Poi toccherà agli organi preposti approfondire e verificare cosa è realmente accaduto, accertare eventuali responsabilità e applicare le conseguenti sanzioni”.
Ce l’ha con qualcuno per tutti questi anni di “Caso Manca”?
“Con qualcuno in particolare, no. Con tanti, sì. In tanti avevano il dovere di approfondire ma non l’hanno fatto, a partire dai pm titolari dell’indagine all’origine. Tanti sono venuti dopo e avrebbero potuto sopperire alle mancanze, inerzie e sottovalutazioni per scoprire i depistaggi. Ma per un’inammissibile e inaccettabile pigrizia, inerzia e indolenza non hanno fatto ciò che avrebbero dovuto fare: riparare agli errori commessi da chi li aveva preceduti”.
Raffaele Strocchia
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