Viterbo – Sembra campana, il gioco. Senza però saltarci sopra. Un pavimento di piastrelle distese a terra come grandi foglie sull’acqua che invogliano al balzo per vedere il buco del pozzo. Fatto sta che i quadranti dell’orologio della torre civica di piazza del comune, potere laico contrapposto a quello del clero a piazza San Lorenzo, gli originali di un tempo, staccati, danneggiati, fatti a pezzi e dimenticati, verranno ricomposti, formella dopo formella, nel sottotetto che s’affaccia sul chiostro del convento di piazza Crispi dove c’è il museo civico di Viterbo. I lavori sono iniziati mercoledì scorso.
I quadranti verranno anche riconsegnati ai viterbesi che, se si sente un po’ in giro, a quell’orologio ci sono pure affezionati.
Viterbo – Museo civico – I restauri dei quadranti della Torre civica
Protagonisti il comune ed Emanuele Ioppolo, col camice bianco del restauratore, chirurgo dei beni culturali, che ha già lavorato, ultimamente, al Santuario di Chia, Soriano nel Cimino, e al balcone di piazza plebiscito, città dei papi.
Committente dei lavori, il comune di Viterbo, assessorato al patrimonio, assessore Paolo Barbieri. Vigilante, la soprintendenza. L’architetto Margherita Eichberg e la storica dell’arte Luisa Caporossi. Costo, 25 mila euro Iva inclusa. Durata, circa un anno. Location, il ballatoio del chiostro del museo civico di piazza Crispi, Luigi Rossi Danielli.
“I restauri – racconta Ioppolo – riguardano i due quadranti dell’orologio che si trovavano applicate sulla torre civica di Viterbo in piazza del comune. Hanno un grande valore simbolico, perché parte integrante della torre e perché si tratta di quadranti che hanno scandito per molto tempo la vita dei cittadini viterbesi”.
Viterbo – Il restauratore Emanuele Ioppolo
Due quadranti. Uno del 1816, fatto a mano. L’altro del 1873, prodotto di fabbrica. Il primo guarda al passato e all’artigianato medievale. Il secondo al liberty e al nuovo che s’apriva col novecento. Il sintomo di uno stile che tra la seconda metà dell’ottocento e la prima del novecento prese piede un po’ in tutta Viterbo, da Villa Brannetti e Pratogiardino fin dentro Schenardi, l’Unione e viale Trieste, e diverse ville sparse per le campagne. Definendo anche il gusto di uno nascente classe borghese che aveva preso parte al risorgimento e che adesso chiedeva, anzi pretendeva, di avere un ruolo. Come classe sociale, e non più come una delle tante corporazioni che caratterizzavano città di Viterbo.
Viterbo – Museo civico – I restauri dei quadranti della Torre civica
E mentre in città prendeva piede l’invenzione del medioevo, che avrebbe poi fatto dimenticare tutto il resto, e sbucare fuori palazzi e fontane, questa nascente classe risorgimentale provava a rispondere alla reazione dell’antico, che a Roma prese le forme del classicismo e a Viterbo quelle del medioevo, con il moderno. Liberty prima e accenni, sebbene splendidi, di razionalismo poi. Come l’ex Omni al Sacrario e la stazione Roma Nord tra Porta Fiorentina e la Teverina. Dopo il fascismo, c’è stato più poco e niente, e quella classe sociale lì, borghese, colta, risorgimentale e mazziniana, è stata semplicemente annientata, riassorbendola pezzo dopo pezzo. Le sabbie mobili che hanno poi inghiottito Viterbo.
Viterbo – Museo civico – I restauri dei quadranti della Torre civica
“Il primo quadrante, del 1816 – prosegue Emanuele Ioppolo – é firmato da Francesco Ercole viterbese. L’altro, 1873, è stato realizzato dalle manifatture Ginori. Sono importanti perché riprendono tutta la produzione ceramica che parte dai primi secoli del secondo millennio, nel 1200, e finisce con l’avvento della rivoluzione industriale. Il primo quadrante è stato realizzato completamente in modo artigianale. Nel secondo si nota invece l’avvento dell’industrializzazione. Le differenze sono sostanziali pure dal punto di vista decorativo. Se osserviamo la piastra della produzione del ’16, la componente argillosa, prima di essere cotta, è stata lavorata a mano. Si vedono chiaramente i segni della lavorazione e l’artigiano che ha scavato l’argilla per conferire alla pietra precise particolarità tecniche. Quelle realizzata sul finire dell’ottocento è stata stampata a pressione. Lo stile è liberty. Il primo quadrante è stato dipinto a mano. Il secondo realizzato con i macchinari”.
Viterbo – Museo civico – I restauri dei quadranti della Torre civica
Un accostamento e al tempo stesso una metonimia, sostituzione di un termine con un altro che ha con il primo una relazione di vicinanza, attuando così un trasferimento di significato. Il quadrante del 1816 e quello del ’73. Due modi di intendere il tempo. Quindi, passato, presente e futuro. Dunque, memoria, visione e attesa. Un po’ come a Porta Romana. Con le torri longobarda e la torre che segna l’ora. Tempo della chiesa la prima, del mercante la seconda.
Viterbo – Museo civico
“Il tempo – scrive Paul Ricoeur – diviene tempo umano nella misura in cui è articolato in modo narrativo”. E questo vale pure per le lancette di un orologio che non segnano soltanto l’ora, ma raccontano anche il tempo, soprattutto quello in cui quel giro di quadrante avviene. Perché è proprio quello, e nient’altro, il tempo che scandisce. Con i suoi oppressori e i suoi oppressi. Il quadrante su cui, prima delle lancette, batteva l’ombra della meridiana. Ombra su cui poi si impose la macchina del mercante con le sue lancette. Un analogico sostituito poi dal digitale che del tempo ha definitivamente messo da parte la circolarità. Un tempo più appiattito su se stesso e meno conscio di tutto il resto. Dall’ombra della meridiana che seguiva i movimenti del cielo alle lancette fasate più su quelli dell’uomo e dell’industria fino al metafisico puro dell’era digitale.
Il tempo analogico è passato che insegna e un presente da vivere, accompagnati entrambi da un futuro da preparare e consegnare. Il tempo digitale considera invece il passato semplicemente inutilizzabile schiacciando il presente sul futuro, e su un’idea di progresso infinito. Tempo monumentale in entrambi i casi. Tempo dell’autorità, di cui quello cronologico è espressione e conseguenza. Al quale, si contrappone il tempo vivo della società.
Viterbo – Museo civico – I restauri dei quadranti della Torre civica
I due quadranti hanno scandito anche il tempo di due secoli di storia. La fine dello stato pontificio e la nascita dello stato unitario. E forse, proprio per questo, i quadranti sono due. Uno, 1816, preunitario. Il successivo, invece, due anni dopo l’annessione al regno d’Italia. Come a voler, appunto, segnare il tempo lasciandone traccia sull’orologio che del tempo è il più importante dei simboli. Come a Parigi, tre anni prima del quadrante viterbese, quando i comunardi spararono agli orologi della città per fermare il tempo del capitale.
Viterbo – Museo civico – I restauri dei quadranti della Torre civica
“I due quadranti – commenta Ioppolo – furono staccati nel 1983 quando fu restaurata la Torre civica e sono stati sostituiti con due quadranti moderni fabbricati nelle manifatture di Civita Castellana. Tutte le formelle dei precedenti quadranti sono state poi messe dentro un deposito del museo civico. Nel distacco molte sono state danneggiate. Il nostro compito sarà quello di recuperare ogni singola formella, incollarla e integrarla”.
Viterbo – Museo civico – I restauri dei quadranti della Torre civica
“Il tutto – aggiunge Ioppolo – verrà fatto con metodi di restauro rispettando la reversibilità e la compatibilità dei materiali che metteremo rispetto a quelli originali. Soprattutto la riconoscibilità delle integrazioni che andremo a realizzare. Proprio per evitare di falsificare i manufatti. Successivamente le formelle verranno riaccostate a ricostruire il disegno originale e montate su supporti in ferro”.
Viterbo – Museo civico – I restauri dei quadranti della Torre civica
Lì, accanto al museo civico, dove in fondo al ballatoio sta lavorando adesso Emanuele Ioppolo, c’è la chiesa di Santa Maria della Verità dove nel secondo dopoguerra mise mano il fondatore dell’Icr Cesare Brandi, rimettendo in piedi l’affresco dello Sposalizio della Vergine di Lorenzo da Viterbo preso in pieno da una bomba alleata che nel 1944 squarciò la facciata della chiesa. Da tasselli di pochi centimetri quadrati, tirò fuori la teoria moderna del restauro e un testo formidabile anche per come è stato scritto. “Il restauro – ha detto Brandi – costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro”. Il primo grande lavoro di restituzione della bellezza con l’obiettivo di permettere a tutti di riconoscerla ed esserne partecipi. Lo spirito del restauro che in Brand ha anche profonde radici democratiche. Oltre a proporre un metodo che è poi diventato un vero e proprio paradigma che va ben oltre l’ambito disciplinare in cui è stato elaborato. Il tutto, uno dei primi passi, a Viterbo, nella chiesa fuori Porta della Verità. E in quegli stessi anni del dopoguerra che vedevano la nascita della Repubblica e della democrazia italiana. Dopo vent’anni di fascismo e 5 di guerra, di cui tre civile.
Una volta finiti i lavori, i quadranti restaurati da Emanuele Ioppolo verranno esposti al museo civico di piazza Crispi.
Daniele Camilli
Multimedia: Fotogallery: I restauri dei quadranti dell’orologio – Video: Il restauro di Emanuele Ioppolo
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