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Vetralla - Intervista a Ubaldo Marcelli, lo zio del bambino ucciso dopo essere tornato da scuola: "Adesso abbiamo bisogno d'aiuto" - Attivata una raccolta fondi

“Matias stava sempre con me e per me era come un figlio…”

di Silvana Cortignani e Daniele Camilli
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L'ingresso del civico 6 di Stradone Luzi - Nei riquadri Matias e lo zio Ubaldo Marcelli

L’ingresso del civico 6 di Stradone Luzi – Nei riquadri Matias e lo zio Ubaldo Marcelli


Vetralla – L’intervista di Tusciaweb a Ubaldo Marcelli, lo zio del bimbo di 10 anni ucciso con una coltellata a Cura di Vetralla. Il padre, Mirko Tomkow, è stato arrestato con l’accusa di omicidio. Da settembre era sottoposto a divieto di avvicinamento sia al figlio che alla madre, Marjola Rapaj.

Non ci saranno festeggiamenti per Natale né regali sotto l’albero e nessuna risata di bambino al civico 6 di Stradone Luzi, nella casa dove abitava il piccolo Matias.

Il sindaco ha promosso una raccolta fondi per aiutare la mamma in questo momento così difficile anche dal punto di vista economico. Nessuno dei familiari, nel frattempo, è più entrato in quell’abitazione dove all’ora di pranzo del 16 novembre si è consumata la tragedia. E mamma Marjola, orfana del figlio e con il compagno detenuto a Mammagialla per il suo omicidio, dopo qualche giorno di ricovero in ospedale e un breve soggiorno dalle suore del paese, è andata a vivere dalla sorella e dal cognato.

Il cognato è Ubaldo Marcelli, lo zio che considerava Matias come un figlio, tanto che in paese c’era chi pensava che fosse lui il padre. Lo stesso zio che la mattina dopo i funerali del nipote, domenica 21 novembre, ha fatto irruzione ancora in stato di shock al pronto soccorso dell’ospedale di Belcolle, armato di un grosso coltello da cucina, seminando il panico tra personale e utenti, cercando “quel maledetto”, Mirko Tomkow, per ammazzarlo. 

“Matias era mio nipote, ma l’ho sempre considerato un figlio – dice a Tusciaweb – stava sempre da me e mia moglie, che non abbiamo figli. Spesso si fermava anche a dormire da noi, a volte anche per un paio di settimane. Io andavo a prenderlo a scuola, lo portavo dappertutto, d’estate veniva al mare e in vacanza con noi. Siccome gli piaceva Roma, lo portavo a Roma”. 

“Mia cognata è venuta a stare da noi. Dice che in quella casa non vuole più tornare, troppo grande il dolore. Dice che vuole venderla. Ma prima c’è da estinguere il mutuo. Io quando l’hanno comprata ho preso un finanziamento per aiutarli, pensando che un giorno quella casa sarebbe rimasta a mio nipote, ma il mutuo è a nome loro. Finché c’era mio cognato, che lavorava come operaio edile, non c’erano problemi. Adesso si pone il problema delle rate, anche perché nel frattempo io dopo venti anni ho perso il lavoro e mia cognata da sola non ce la può fare”, prosegue, spiegando perché il comune abbia promosso una raccolta fondi per aiutare la mamma di Matias ad affrontare l’emergenza. 

“Sono grato al sindaco Sandrino Aquilani per la sua vicinanza”, dice Ubaldo, ricordando che per la tumulazione di Matias ha messo a disposizione la sua tomba di famiglia. “E sempre il sindaco, assieme al nostro avvocato Michele Ranucci, ha organizzato una raccolta fondi per aiutarci col mutuo della casa, che io in questo momento, pur volendo, io non posso garantire”. 


Il conto corrente per le donazioni è intestato a Comune di Vetralla – Raccolta fondi. Iban: IT36T0893173350000040019756 – Banca Lazio Nord.


Ubaldo Marcelli, l'uomo vestito di blu

Ubaldo Marcelli 


Ci può raccontare come era Matias?
“Matias era un bambino dolcissimo. Un bambino molto buono, cui piaceva tutto. Voleva sempre stare con me, ovunque andassimo. Spesso lo portavo a Roma, gli piaceva tantissimo. Soprattutto vedere i treni. Con lui passavamo intere giornate alla stazione Termini oppure al Colosseo o a Campo dei Fiori. Gli piaceva moltissimo visitare Roma”.

Come ha conosciuto la mamma di Matias?
“Ho sposato sua sorella maggiore. Poi lei ci ha raggiunto a Vetralla, tantissimi anni fa, ed è qui che ha conosciuto il suo compagno”.

A Matias piaceva andare a scuola?
“Sì, gli piaceva tanto. Tra le materie di studio, preferiva la geografia e l’educazione fisica. Andava volentieri a scuola e capitava spesso che fossi io ad andare a prenderlo all’uscita per riportarlo a casa”.

Capitava spesso che Matias stesse con lei?
“Stavamo sempre insieme, molti pensavano che fosse mio figlio. Stava spesso e molto volentieri con me. Quando finiva la scuola, stava da me e mia moglie anche una o due settimane. Per me era come fosse mio figlio. Aiutare la sua famiglia, i miei cognati, non è stato mai un problema, come quando li ho aiutati a comprare casa”.

C’erano problemi con suo cognato? Secondo lei, cosa gli è successo?
“Il padre di Matias lavorava, faceva l’operaio edile, ma aveva il problema dell’alcol. Ha sempre avuto il vizio di bere. Però non c’erano mai stati episodi di violenza fisica. Quando beveva diventava violento, ma solo a parole. E Matias non lo aveva mai toccato. Nè Matias, né la moglie. Non c’era motivo per pensare a quello che è successo, nessun segnale”.

Perché si è arrivati al divieto di avvicinamento alla compagna e al figlio? Chi ha fatto la denuncia?
“E’ stata la mamma di Matias ad andare dai carabinieri di Vetralla. Era agosto. Il giorno prima aveva litigato con il suo compagno. Ma la cosa non sembrava grave. Tant’è vero che dopo poco i due si sono riappacificati e sono tornati a casa insieme. Mi pare dopo tre giorni. Dopo avere fatto pace, hanno anche fatto dei lavori in casa. Lei non lo ha mai denunciato, credeva che la cosa fosse finita lì”.

Se le cose sembravano pacifiche, perché si è arrivati al divieto di avvicinamento?
“La segnalazione ormai era partita e non si poteva fare più niente. La stessa mamma di Matias andò a parlare con il pubblico ministero per dirgli di essersi pentita e di avere esagerato. Ma Mirko se ne è dovuto andare da casa e per due-tre settimane lo abbiamo ospitato io e mia moglie a casa nostra”.

Lei che cosa ha pensato quando Mirko ha dovuto lasciare l’abitazione?
“Anche secondo me era un provvedimento esagerato. Le cose andavano valutate meglio. Ad esempio, il padre di Matias è stato sentito soltanto quando gli è stato notificato il divieto di avvicinamento”.

Quindi è venuto a stare da voi. Poi che cosa è successo?
“Un lunedì mattina il padre di Matias è andato a Roma, a lavorare. Lì gli hanno fatto il tampone ed è risultato positivo al Covid. Il datore di lavoro a quel punto gli ha detto di tornare a casa”.

E’ stato allora che vi ha mandato le foto con la corda al collo?
“Non subito. Prima mi ha chiamato al telefono per sapere cosa fare. Gli ho detto anche io di tornare a casa, che avremmo sentito il dottore. Ma a un certo punto è sparito. Lo chiamavo, ma non mi rispondeva. Di fatto non si trovava più. Fintanto che non ha mandato delle foto a mia moglie e alla sua compagna. Erano foto che lo ritraevano con una corda al collo”.

Come vi siete comportati, chi vi ha aiutato a rintracciarlo?
“Abbiamo chiamato subito i carabinieri che lo hanno trovato di notte, ho partecipato anche io alle ricerche. Poi io ho portato la sua macchina sotto casa mia e lui è stato portato all’ospedale di Belcolle, dove è stato ricoverato al reparto psichiatrico. Il mercoledì successivo è stato trasferito dal reparto di psichiatria a malattie infettive. Dove è finito perché per l’appunto era positivo al Covid. E’ risultato positivo a due tamponi. C’è rimasto un paio di giorni. Dopo di che l’ospedale ci ha chiamato per dirci che sarebbe stato spostato al centro Covid di Roma”. 

Lei lo ha sentito mentre si trovava a Roma? Cosa le diceva?
“Sì, l’ho sentito. Era tranquillo. Nel fine settimana precedente all’omicidio di Matias mi disse che il mercoledì successivo, cioè il 17 novembre, sarebbe stato dimesso. Gli ho detto di venire da me e che sarei andato io stesso a prenderlo a Roma”.

Invece è uscito martedì, quando poi ha ucciso il figlio…
“Sì. E’ uscito prima dal centro Covid, il 16 novembre, senza dire niente a nessuno. Io stesso, quel giorno, mi ero insospettito, perché la mattina non ho più trovato la sua macchina parcheggiata sotto casa mia. A quel punto l’ho chiamato al telefono, ma non mi ha risposto, era spento. Allora ho chiamato anche il suo datore di lavoro, il quale mi ha detto che Mirko aveva lasciato l’ospedale. Lo sapeva perché glielo aveva riferito un altro lavoratore, che in mattinata aveva sentito il padre di Matias”.

Cos’è successo poi il 16 novembre? E’ stato lei ad accompagnarlo a casa da scuola.. 
La mamma di Matias aveva da poco trovato un lavoro. Un paio di giorni. Io sono andato a prendere Matias a scuola e l’ho riaccompagnato a casa, come facevo spesso. Gli ho anche proposto di pranzare da noi, gli ho detto che gli avrei fatto un piatto di pasta. Ma lui mi ha riposto che voleva andare a casa, che la mamma gli aveva lasciato pronta una minestrina. Allora l’ho accompagnato a casa sua e l’ho lasciato al portone”.

E’ stata l’ultima volta che avete parlato lei e Matias?
“Verso le due del pomeriggio l’ho chiamato al telefono, per sapere se avesse mangiato, ma non mi ha risposto. A quel punto mi sono agitato e sono uscito di casa, continuando a chiamarlo senza alcuna risposta mentre correvo a casa loro. Io avevo solo la chiave del portone principale, non quella di casa. Ho suonato, ma niente, ancora nessuna risposta”.

Cosa ha fatto quando ha capito che nessuno le avrebbe aperto? 
“Ho prima chiamato i carabinieri e la madre di Matias dicendo a tutti di venire subito perché il bambino non si trovava. Subito dopo sono salito in mansarda, la porta è sempre aperta perché la mansarda conduce alla terrazza. Lì ho trovato il padre di Matias. Mirko non rispondeva, sembrava morto. Dopodiché è arrivata la madre con cui abbiamo aperto casa, sentendo subito puzza di gas. Poi sono arrivati i carabinieri e abbiamo trovato Matias”.

Quando Matias non le ha risposto, ha temuto subito che c’entrasse qualcosa il padre?
“Sì, lo temevo, perché nemmeno lui si trovava”.

Ritiene che sia stato un gesto premeditato?
“Ne sono convinto”. 

Cosa è successo quando è andato a cercare Mirko al pronto soccorso?
“Sono andato al pronto soccorso due volte. La prima perché ero sotto shock, la seconda è invece quella che conoscete. La prima volta mi hanno riempito di farmaci. Ero tutto rimbambito, non capivo più niente. L’unica cosa che mi è sembrato di avere sentito è che il padre di Matias fosse lì, in ospedale assieme a me. Sono uscito il giorno stesso. Ho firmato e me ne sono andato, sono tornato a casa. La mattina dopo i funerali di Matias ho preso la terapia che mi avevano prescritto, senza neanche stare a badare a quante pasticche prendevo. Subito dopo ho aperto il cassetto dove tenevo le cialde e ho visto il contello. L’ho preso e sono uscito per tornare in ospedale e cercare il padre di Matias, convinto che stesse lì al pronto soccorso. Ho guardato in tutte le stanze, ma non c’era. Lo volevo trovare. Meno male che così non è stato”.

Il sindaco Sandrino Aquilani e tutta la comunità di Vetralla sono stati vicini a lei e alla sua famiglia, avviando anche una raccolta fondi…
“Sì, un gesto molto importante. In questo momento fondamentale e decisivo. Nessuno più potrà ridarci indietro Matias e la tragedia che stiamo vivendo non avrà mai fine. Abbiamo però bisogno di aiuto. Soprattutto per il mutuo che pende ancora su quella casa maledetta. Noi siamo tutti dei grandi lavoratori, ma in questo momento non abbiamo tutte le risorse necessarie per potercela fare da soli. Abbiamo bisogno di aiuto, per resistere alle conseguenze di quanto è successo, oltre al dramma che ci poteremo avanti finché avremo vita”.

Daniele Camilli 
Silvana Cortignani


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12 dicembre, 2021

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