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L'era del Coronavirus - Intervista all'avvocato ed ex magistrato che afferma: "Farò il vaccino? Non so. Non sono negazionista, ma scettico"

Antonio Ingroia: “Mafie e Covid vanno a braccetto”

di Edoardo Venditti
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Viterbo – In bilico tra libertà e restrizioni, tra riaperture e lockdown, il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus. Una pandemia che ha colpito il mondo intero, lasciando dietro di sé morti, insicurezze e nuove abitudini.

Con un ciclo di interviste, Tusciaweb propone un’istantanea di ciò che è stato e ciò che sarà, attraverso le parole e gli occhi di grandi personaggi pubblici. 


Antonio Ingroia


Antonio Ingroia è un avvocato, giornalista, ex magistrato e politico italiano. Nel 1987 vince il concorso in magistratura e lavora a stretto contatto con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel 1992 diventa sostituto procuratore a Palermo e in quello stesso anno viene nominato componente della procura distrettuale antimafia di Palermo. Rimasto nel pool antimafia come sostituto fino al 2009, in questo periodo si occupa di numerosi e complessi procedimenti penali di criminalità organizzata. Parallelamente pubblica vari saggi e articoli e partecipa come relatore a numerosi convegni e seminari di studio nazionali e internazionali. Tra le sue opere, Nel labirinto degli dei. Storie di mafia e di antimafia (2010), Il sentimento del giusto. Un dialogo nel tempo con Paolo Borsellino (2012) e Dalla parte della Costituzione. Da Gelli a Renzi: quarant’anni di attacco alla Costituzione (2016). Nel maggio 2007 viene nominato consulente della commissione parlamentare antimafia. Nel luglio 2013 si dimette dalla magistratura e si iscrive all’ordine degli avvocati di Roma dove inizia ad esercitare la professione di avvocato, difendendo soprattutto vittime della mafia e della giustizia negata.


Ingroia, come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette con il Covid?
“Per fortuna non ho avuto esperienze dirette con il Covid. I mesi del lockdown li ho trascorsi in America latina, dove ho uno studio legale. A quel tempo la situazione là era migliore rispetto all’Italia, poi le cose come ovunque nel mondo sono peggiorate. In Italia sono rientrato dopo il lockdown e mi sono diviso per lavoro tra Roma e la Sicilia, dove ho vissuto un periodo più tranquillo, fino a che il Covid non ha cominciato a dilagare anche sull’isola, trasformandola in zona arancione con tutti i disagi, le difficoltà e le limitazioni per ciascun cittadino. Devo però registrare, per esperienza personale, il fallimento della chiusura parziale della Sicilia. Prima che arrivasse il nuovo dpcm, il presidente della regione Nello Musumeci aveva introdotto delle misure restrittive nel periodo festivo, tra cui l’obbligo del tampone per tutti coloro che arrivavano da altre regioni o si fossero allontanati dalla Sicilia per più di 4 giorni. Cosa che io ho fatto regolarmente e quindi mi sono presentato con la mia famiglia all’aeroporto di Palermo con il tampone molecolare effettuato. Nessuno però ci ha controllato. Mi pare si passi da un’oscillazione di controlli esasperati come quelli che si sono vissuti nel primo lockdown, ricordo l’inseguimento con elicottero di quella persona che faceva footing sulla spiaggia, a un improvviso lassismo”.

Se lei dovesse dare un giudizio complessivo sull’azione del governo, quale sarebbe?
“Su come sia stata gestita la situazione ho un giudizio fortemente negativo. Durante il primo lockdown ci sono state decisioni dapprima tardive poi esageratamente rigorose soltanto per mostrare i muscoli. Se dovessi dare un voto in pagella, sarebbe tra il 4 e il 5 per non essere troppo cattivo”.

E invece l’opposizione di Salvini, Meloni e Berlusconi?
“All’opposizione potremmo dare un 3. Matteo Salvini in particolare, ma anche Giorgia Meloni, hanno semplicemente cavalcato l’onda del malcontento più che giustificato degli italiani. Non c’è stato un dialogo costruttivo tra maggioranza e opposizione, per colpa degli uni e degli altri. Da una parte la maggioranza ha fatto poco per mettere l’opposizione con le spalle al muro chiedendo proposte e misure concrete, dall’altra l’opposizione ha approfittato dell’incapacità governativa della maggioranza per fare operazioni di puro sciacallaggio politico-mediatico. A pagare le conseguenze sono i cittadini, i lavoratori che non hanno ristoro. Anche io con il mio studio legale ho dovuto ricorrere a quelle pochissime opportunità offerte dalle misure governative: ho dipendenti in cassa integrazione ai quali sono arrivati pochi spiccioli. I paesi seri e civili che hanno scelto la misura del lockdown, come la Germania, hanno dato delle misure per sostenere tutti i vari settori economici in maggiore difficoltà. Questo in Italia non è avvenuto”.

Chi è dunque che secondo lei pagherà il prezzo più alto per la crisi?
“Tutto il mondo imprenditoriale, soprattutto quello della piccola e media impresa. Poi gli artigiani e i professionisti, compresi quelli del mio settore: non c’è lavoro, non circola ricchezza e i cittadini, che vorrebbero far valere i propri diritti attraverso la giustizia, molto spesso ci rinunciano perché hanno meno soldi e non possono permettersi di pagare un avvocato. Ogni studio legale, piccolo o grande che sia, ha avuto fortissimi cali di fatturato”.

Con la pandemia è nata una nuova normalità? Se lo immagina un futuro?
“Viviamo in una società nella quale la condizione umana è ormai di precarietà totale. Più che di nuova normalità, parlerei di una nuova anormalità. Un’anormalità che riguarda le proprie aspettative di vita, di speranza, di miglioramento, che si sono inevitabilmente ridotte. Lo stress e gli stati di ansia che ne conseguono stanno investono tutta la popolazione. Non posso definire tutto ciò normalità, e spero che non lo diventi. Dobbiamo sperare che prima o poi questo finisca e che sia solo qualcosa di passeggero. Gli unici che riescono a salvarsi in questa situazione, purtroppo, sono le parti peggiori della comunità mondiale: le mafie e gli speculatori”.

A proposito di questo, la criminalità organizzata è riuscita a rafforzarsi e sfruttare questo periodo di pandemia?
“La criminalità organizzata è riuscita ad avvantaggiarsi. Le mafie purtroppo hanno una marcia in più. Non perché siano più brave e intelligenti, ma perché sono organizzate per operare senza il rispetto delle regole. Le mafie hanno certamente tratto dall’emergenza Covid tantissimi vantaggi grazie alla loro disponibilità di denaro liquido. Se ci sono ampi settori in crisi economica e gli stati nazionali, un po’ per l’inadeguatezza e un po’ per l’estrema gravità della crisi, non si dimostrano all’altezza della sfida, rimane un altro soggetto: la mafia spa, che mette la sua liquidità a disposizione degli imprenditori in difficoltà. Ciò consente alla criminalità organizzata di impossessarsi di piccoli e grandi settori dell’economia. Anche l’incremento della disoccupazione avvantaggia le organizzazioni criminali, perché si trova più facilmente manodopera a basso costo. Mafie e Covid vanno a braccetto”.

Lei farà il vaccino?
“Non lo so ancora. Non faccio parte dei negazionisti perché la pandemia c’è ed è grave, ma continuo ad interrogarmi sulle origini di questo virus. Se ne sono dette tante. Certo è che tra chi si sta arricchendo in modo esponenziale ci sono i produttori dei vaccini. Non sono un negazionista, ma uno scettico. Anche perché i vaccini, per essere sicuri e distribuiti in modo così massiccio, passano attraverso sperimentazioni di anni e anni. Capisco che la scienza è andata avanti e questo ha consentito di ridurre i tempi, però io ancora mi fido fino a un certo punto”.

Cosa pensa delle teorie negazioniste?
“Ci sono varie sfumature nelle posizioni dei cosiddetti negazionisti. C’è chi dice che è tutto inventato e mi sento di dire che questa è una sciocchezza pericolosa. Però c’è stata una forte enfatizzazione e manipolazione dei dati, dei pericoli e dei rimedi. Inoltre non c’è dubbio che si siano verificate violazioni di diritti fondamentali dei cittadini con un’auto-attribuzione di potere da parte dei governi giustificata dalla pandemia in corso. Tutto ciò ricorda gli strappi alle regole e alle libertà degli ultimi anni. Da una parte c’è quindi l’esasperata tendenza al complottismo e alla dietrologia, dall’altra c’è la giusta resistenza alla violazione dei diritti di libertà”.

Lo stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia e cultura. Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?
“Lo stato di diritto non solo è in pericolo, ma è già stato ferito. Non a morte, ma in zone vitali. Da tempo la nostra è una democrazia parlamentare apparente, perché non passa più una legge per il parlamento e perché c’è una centralizzazione del potere in nome dell’emergenza del momento. Una volta è il terrorismo, un’altra le ragioni sanitarie. Il punto è una concentrazione di potere intollerabile in una democrazia. Io non dico che il problema non sia grave, ma il problema grave non giustifica strappi costituzionali a diritti e libertà sacrosante dei cittadini”.

Il Covid è una rivincita della natura sulla cultura? È stato una sconfitta per l’uomo, la tecnologia e tutti i passi avanti che sono stati fatti?
“Potrei paradossalmente augurarmi di sì, ma temo sia peggio. Se fosse una rivincita della natura e servisse a convincere l’umanità ad occuparsi dell’ambiente, questo prezzo altissimo in termini di vite umane sarebbe un durissimo sacrificio che può avere una sua terribile logica e razionalità. Temo invece che non sia frutto della natura. Temo che ci sia qualcosa di artificiale all’origine di tutto. Ciò sarebbe, in tal caso, un ulteriore brutale asservimento della natura da parte di logiche speculative, o peggio”.

Come valuta i cambiamenti nel mondo dell’informazione? E in quelli dello spettacolo e della cultura?
“Credo che chiudere i cinema e i teatri tout court, senza verificare se ci fosse la possibilità di farli funzionare con misure anti-Covid, sia stato uno strappo molto duro. Qualche giorno fa leggevo un reportage sul Giappone dove cinema e teatri non sono mai stati chiusi, nonostante il paese asiatico non sia stato un’isola felice nell’affrontare il virus. Bisogna curare l’anima di un popolo esposto alla pandemia, oltre che il corpo. Le due cose camminano insieme. Se c’è un popolo di depressi, quello è un popolo di immunodepressi, che è esposto al virus in modo ancora più grave. Bisogna invece cercare di avere un popolo di combattenti, che si crea curando anche l’anima. Per quanto riguarda invece l’informazione, in Italia ormai da molti anni è monotematica e senza alcun sostanziale dibattito interno. L’informazione si è auto-alimentata dalla tragedia. Non guardo più tg dall’inizio del lockdown. Seguo ovviamente le notizie, ma non attraverso i telegiornali nazionali che sono una sequenza di frustate per il telespettatore, al quale vengono inferte quotidianamente le notizie della tragedia”.

Come ha passato il Natale?
“A casa, in famiglia, attorno all’albero di Natale e al presepe che ho fatto. Ci tengo alle tradizioni. Per ragioni di cautela sanitaria, quest’anno non sono potuto andare a Napoli per comprare qualche pastorello da aggiungere al presepe. Per fortuna avevo fatto la scorta negli anni passati”.

Qual è stata per lei la lezione del Covid?
“Avere rispetto per la natura e potenziare i controlli mondiali sulle sperimentazioni. Inoltre, rafforzare la sanità pubblica. Se negli anni passati non ci fossero stati tagli in questo settore, non avremmo avuto quelle colonne di camion militari che portavano via le salme. Quelle colonne non costituiscono solo un’immagine tragica e disperante della pandemia, ma un atto di accusa nei confronti dei nostri governanti di ieri”.

Edoardo Venditti


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6 gennaio, 2021

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