Viterbo – In bilico tra libertà e restrizioni, tra riaperture e lockdown, il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus. Una pandemia che ha colpito il mondo intero, lasciando dietro di sé morti, insicurezze e nuove abitudini.
Con un ciclo di interviste, Tusciaweb propone un’istantanea di ciò che è stato e ciò che sarà, attraverso le parole e gli occhi di grandi personaggi pubblici.
Dacia Maraini, scrittrice e saggista, appartiene agli Alliata di Salaparuta, antica famiglia nobiliare siciliana. Trascorre l’infanzia in Giappone, dove viene internata in un campo di concentramento dopo il rifiuto della famiglia di aderire al fascismo. Dopo la guerra si trasferisce prima in Sicilia, a Bagheria, e poi a Roma, dove inizia a collaborare con riviste come Paragone e Nuovi Argomenti. È autrice di numerosi romanzi, tra cui Donna in guerra (1975), Bagheria (1993) e Lunga vita di Marianna Ucrìa (1990), con cui vince il premio Campiello. Con la raccolta di racconti Buio (1999) si aggiudica il premio Strega. È stata compagna di Alberto Moravia e amica, tra gli altri, di Pasolini, Sciascia e Calvino. Si è occupata anche di poesia, cinema e teatro. Nel 2012 è insignita del premio Fondazione Campiello alla carriera.
Maraini, come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette col Covid?
“Per fortuna non ho avuto esperienze dirette col Covid, ma conosco molte persone che l’hanno avuto e ne sono guariti. Mi dicono che è stata un’esperienza terribile e che hanno creduto di morire soffocati. Una polmonite fra l’altro che lascia strascichi dolorosi e a lunga scadenza. Il mio lavoro, anche prima della pandemia mi teneva chiusa in casa e quindi per me non è stato un sacrificio troppo grande, anche se mi è mancato il teatro, il cinema, mi sono mancate le cene con gli amici e poi i viaggi che mi portavano in tutto il mondo e che sono stati cancellati”.
Con la pandemia è nata una nuova ed inedita normalità? Come si immagina il futuro?
“Difficile immaginare il futuro, ma penso che alcune delle abitudini che abbiamo preso in questi mesi diventeranno parte della vita di tutti i giorni. Per esempio quello che si chiama ‘smart working’, che io chiamerei semplicemente ‘lavoro da casa’ (d’altronde in molti paesi anglosassoni la chiamano proprio così ‘home-working’) secondo me diventerà uno dei più popolari metodi di lavoro. Si guadagnerà in risparmio di tempo, in meno inquinamento, in riduzione di spese di spostamento, ma si perderà in socialità e rapporti umani. Anch’io in questo periodo ho fatto moltissimi collegamenti via remoto e devo dire che hanno funzionato bene, salvo una volta che in un convegno sulla violenza contro le donne, con centinaia di persone collegate, siamo stati interrotti dalle urla e gli insulti di un gruppo di ragazzini. Ma in generale gli incontri da remoto sono andati molto bene, anche con i paesi stranieri”.
Farà il vaccino?
“Certo che lo farò. Se si vuole vincere la pandemia bisogna farlo. Ho comunque fiducia nella scienza e negli esperti”.
Cosa pensa delle teorie complottiste o negazioniste? Ha mai avuto tentazioni negazioniste?
“Mi sembrano posizioni irresponsabili. Voglio ricordare il vaiolo, che faceva più morti delle guerre ed è stato vinto col vaccino obbligatorio esteso a tutti i paesi del mondo. Infatti, pur essendo antico come le mummie egiziane, è stato considerato estinto solo nel 1981 grazie al vaccino. Per quanto mi riguarda, ricordo che quando andavo in Africa, ho sempre fatto il vaccino antifebbre gialla e contro la meningite. Non ho mai avuto problemi e non mi sono mai sognata di negare la sua efficacia. Peccato che non si sia ancora trovato un vaccino contro la malaria perché in Africa si continua a morire dell’anofele”.
Come ha trascorso il Natale?
“Una cena alle otto con mia sorella e le mie nipoti e poi di corsa a casa. Mi sentivo un poco come Cenerentola. Non ho perso la scarpetta però”.
Come giudica l’azione del governo Conte? E Salvini, Meloni e Berlusconi?
“Penso che Conte e il suo governo stiano agendo bene. Li si rimprovera di essere confusi, indecisi, ma chiunque lo sarebbe di fronte a un virus sconosciuto che non si sa come agisce, come progredisce e come possa essere debellato. Non è che gli altri paesi europei abbiano trovato soluzioni migliori. Anche gli esperti più esperti non sanno come procederà questa pandemia, è tutto nuovo e inatteso. L’onestà intellettuale vorrebbe che si dichiarasse serenamente la propria ignoranza, di fronte a questo virus inaffidabile, intrusivo e imprevedibile, invece di fare previsioni certe e dare giudizi perentori, come se si trattasse di una operazione matematica”.
Lo stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia, cultura. Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?
“Quando si parla di stato di diritto si devono considerare le libertà essenziali: libertà di pensiero, di parola, di movimento. Non mi sembra che queste libertà siano state minacciate. Al contrario c’è semmai una tendenza all’anarchia e al disordine generale nel nostro paese. Tutti parlano, gridano, criticano. Ciascuno dice, anzi urla quello che vuole, si sente libero di insultare, denigrare, offendere chiunque altro. Forse non ci rendiamo conto di cosa sia la vera mancanza di libertà. Provate ad andare in Russia o in Cina o in Turchia, e provate a dire ad alta voce il vostro parere. Allora forse capirete che la libertà non consiste nel non mettersi la mascherina o nel non vaccinarsi”.
Cosa cambierà sul piano economico dopo l’onda d’urto del Covid? Chi secondo lei pagherà il prezzo più alto per la crisi?
“Purtroppo sono sempre i più deboli a pagare. I più poveri, le donne, i bambini”.
Il Covid è una rivincita della natura sulla cultura? È stato una sconfitta della scienza? La tecnologia, soprattutto in occidente e nel nord est asiatico, ci aveva illuso di aver posto una grande barriera culturale tra l’uomo e la natura…
“Direi che il Covid è una rivincita sul nostro egoismo di specie. Abbiamo pensato di potere dominare, controllare, sfruttare e rapinare il mondo intero per i nostri interessi e abbiamo finito per autodistruggerci. La scienza lo grida da tempo ma la politica non la ascolta perché la politica pensa al presente, al consenso immediato e non riesce a fare un ragionamento a lunga scadenza”.
Cosa rimarrà nella storia? Come sarà il mondo dopo la pandemia? Il Covid può essere considerato uno spartiacque? Uno di quegli avvenimenti per cui, come guerre e grandi scoperte, si crea una netta separazione tra il “prima” e il “dopo”?
“Credo proprio di sì, il Covid cambierà il nostro modo di stare al mondo. Possiamo dire che si tratta di una grande lezione che speriamo ci insegni a comportarci con maggiore responsabilità”.
Come valuta i cambiamenti nel mondo dell’informazione? E in quelli dello spettacolo e della cultura?
“Non c’è dubbio che la tecnologia e la globalizzazione abbiano cambiato il mondo della informazione: meno carta e più metallo e vetro. L’informazione in un paese democratico ha una grande importanza e continuerà a ragionare e criticare, come è giusto (anche se secondo me il linguaggio si è molto, troppo degradato, vola basso e non riesce ad alzarsi come dovrebbe), probabilmente si dovrà spostare dalla carta al video. Questo è prevedibile. Ma non credo che la tecnologia fermi la libertà di parola. Bisogna semmai difenderla dai possibili dittatori che, in nome del popolo, vogliono attentare alle grandi libertà democratiche. Ma non mi sembra che questo stia accadendo nel nostro paese”.
Quale è stata per lei la lezione del Covid?
“Credo che la più forte lezione, non per me, ma per tutti, sia stata la constatazione della nostra debolezza come esseri umani. È stata una vera botta alla nostra presunzione e alla nostra arroganza nei confronti della natura e di un mondo che vive dei suoi equilibri delicati e profondi. Guai a metterli fuori uso. Si rischia l’estinzione”.
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