Viterbo – In bilico tra libertà e restrizioni, tra riaperture e lockdown, il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus. Una pandemia che ha colpito il mondo intero, lasciando dietro di sé morti, insicurezze e nuove abitudini.
Con un ciclo di interviste, Tusciaweb propone un’istantanea di ciò che è stato e ciò che sarà, attraverso le parole e gli occhi di grandi personaggi pubblici.
Dino Meneghin
Dino Meneghin è un ex giocatore di basket e dirigente sportivo. Inizia la sua carriera nella serie A1 nel 1966 all’età di 16 anni con la Ignis Varese. Rimane nella squadra fino al 1981, quando passa all’Olimpia Milano. Nella sua carriera gioca anche per la Pallacanestro Trieste. Con la nazionale italiana Meneghin partecipa a 4 olimpiadi, ottenendo la medaglia d’argento nei giochi di Mosca 1980, e vince un oro e due bronzi ai campionati europei. Meneghin si ritira dal basket nel 1994, al termine di una delle carriere più longevi di questo sport. Dopo il ritiro si divide come team manager tra l’Olimpia e la nazionale. Nel febbraio del 2009 Meneghin viene eletto presidente della Federazione italiana pallacanestro e ricopre questa carica fino al 2013. Il 5 settembre 2003 diventa il primo professionista italiano a entrare nel Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, il maggiore riconoscimento internazionale alla carriera che un giocatore di basket possa ricevere. Meneghin fa inoltre parte della Fiba Hall of Fame e dell’Italia Basket Hall of Fame.
Dino Meneghin, come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette con il Covid?
“Ho vissuto male il lockdown perché improvvisamente ti ritrovi in una condizione in cui non puoi fare le cose a cui sei abituato, anche le più semplici come uscire di casa e andare a trovare amici o parenti. La cosa più tragica, dal momento che abito vicino a un ospedale, è stato sentire le sirene delle ambulanze che correvano giorno e notte. Un vero e proprio strazio. Per fortuna il nostro portinaio, che è un santo, andava a farci la spesa. Ci avevano infatti terrorizzato dicendo che i più colpiti sarebbero state le persone anziane, per cui ti veniva il patema d’animo a uscire. Personalmente non ho avuto esperienze dirette con il Covid. Sono però venuti a mancare dei miei amici e un cugino, ma non sono potuto andare nemmeno ai funerali perché erano a numero ristretto. Altri tre miei amici sono stati ricoverati in terapia intensiva. Se la sono vista brutta, però per grazia di Dio e per bravura dei medici sono riusciti a venirne fuori. Ci sentiamo spesso e sento che a distanza di molti mesi sono ancora in affanno con la voce e stanno recuperando il respiro”.
Con la pandemia è nata una nuova normalità? Come si immagina il futuro?
“Non direi che sia nata una nuova normalità. Diciamo che ci si abitua, purtroppo, anche alle cose negative e dovremmo essere tutti abbastanza intelligenti da seguire le indicazioni di medici e virologi che ne sanno più di noi. Onestamente sono molto pessimista, penso che questa situazione andrà avanti ancora per un anno o due. Per quanto riguarda il vaccino, per esempio, ci sono molte persone che non vogliono farselo somministrare, anche tra i medici stessi. In più, oltre a quelli che non vogliono vaccinarsi, ci sono quelli che non possono farlo: parlo dei paesi più poveri”.
Farà il vaccino?
“Assolutamente. Se lo dicono i medici e virologi che lo hanno sviluppato e testato, allora bisogna farlo. Anche perché non si può vivere reclusi in casa. Bisogna tentare con il vaccino di superare questa maledetta situazione, tanto se non lo si fa si rischia comunque”.
Cosa pensa delle teorie negazioniste e complottiste?
“Siamo in democrazia e ognuno esprime le proprie idee, anche le più balzane che possano esistere. Ma non credo alle teorie dei complottisti e negazionisti. Penso piuttosto che il virus sia una cosa naturale venuta fuori non si sa da dove e sarà difficile capire fin quando la Cina non spiegherà cosa sia successo. Ricordiamo che ha impiegato più di un anno prima di lasciare che un’equipe di virologi terzi potesse recarsi da loro a scoprire le origini del virus. Ma questa è la dittatura comunista, che da sempre crea grandi problemi”.
Come giudica l’azione del governo Conte?
“Il virus ha colto tutti di sorpresa, è arrivato come un treno in corsa. Sapevamo della Cina e di Wuhan, ma nessuno pensava potesse contagiare il mondo intero. Nemmeno i virologi stessi. Non avevano studiato questo virus sui libri e hanno imparato a conoscerlo giorno per giorno con i casi che arrivavano negli ospedali. Se gli esperti erano impreparati, il governo lo era ancora di più. Nel mese di gennaio l’esecutivo ha dichiarato lo stato di emergenza. Era quindi consapevole della gravità della situazione, ma non è stato in grado fin dall’inizio di reperire le cose più basilari, come le mascherine per gli operatori sanitari. Il governo era allo sbaraglio ed è andato avanti per tentativi, alla cieca, mandando nel panico tutto il paese. Ricordo che nel primo periodo dell’emergenza non si riuscivano a trovare l’alcool, i disinfettanti e le mascherine, e quando le trovavi costavano un occhio. Se dichiari lo stato d’emergenza, devi poi prevenire quello che può succedere. Il governo avrebbe dovuto attivarsi prima sul mercato mondiale per reperire gli strumenti necessari”.
Come valuta invece l’operato dell’opposizione? È stato costruttivo?
“È il solito gioco della politica: chi governa cerca di governare, chi è all’opposizione cerca di parlarne male. Io avrei preferito vedere una politica unita e solidale abbandonare le polemiche e gestire insieme una situazione che ha causato finora più di 80mila morti e 2 milioni di contagiati. Una situazione di emergenza è come una guerra, bisogna mettere da parte le proprie idee politiche e ragionare su come gestire una situazione tragica. Questo direbbe il buon senso, ma purtroppo l’opposizione fa l’opposizione. Se fosse stata al governo la destra, la sinistra avrebbe fatto lo stesso nei suoi confronti. È il gioco delle parti che va avanti da 70 anni. Quello che mi aspettavo è che tutti insieme ragionassero su come lavorare al meglio per salvare l’Italia, ma non è stato fatto”.
Palestre e piscine chiuse per mesi, il mondo dello sport amatoriale è stato più penalizzato rispetto ad altri settori?
“Assolutamente sì, in maniera determinante. Bene o male, lo sport professionistico riesce a cavarsela perché, basta guardare il basket o il calcio, ha un po’ di energie proprie. Anche se con enormi difficoltà, cerca di andare avanti monitorando giorno per giorno cosa si può fare per allenamenti, partite e trasferte. Il mondo amatoriale invece è stato massacrato, perché sono state chiuse tutte le attività giovanili sportive e le palestre. Ho parlato con un ex preparatore atletico che ha una palestra a Milano chiusa da mesi: mi ha detto che in un anno ha perso 200mila euro di introiti. Molti di loro sono arrabbiati perché prima gli hanno detto che se si fossero messi in regola, con sanificatori e misure anti-Covid, avrebbero potuto aprire, hanno fatto spendere loro migliaia di euro poi, quando erano pronti per riprendere le attività, hanno chiuso le palestre. Hanno ricevuto qualche contributo ma, al di là di questo, hanno comunque subito un grave danno. Per non parlare poi della bellezza di fare attività sportiva e mi riferisco ai più piccoli e ai più giovani. Per loro è un modo di socializzare e sfogare l’energia. Questi ragazzi non possono andare a scuola, non possono andare in palestra, stanno sempre chiusi in casa e fanno diventare matti i poveri genitori che non sanno più come tenerli”.
Le olimpiadi di Tokyo 2020 sono state rinviate di un anno, mentre i campionati nazionali sono ripresi. Secondo lei è stata una decisione giusta oppure, nel rispetto delle regole e misure anti-Covid, sarebbe stato possibile organizzare i giochi olimpici?
“Sono un fanatico delle olimpiadi e, da appassionato sportivo quale sono, la decisione di posticiparle di un anno mi ha fatto sicuramente male. Però ho trovato questa decisione giusta, perché sarebbe stato troppo rischioso convogliare in un unico paese migliaia di persone fra atleti, dirigenti, allenatori e accompagnatori. Adesso è in discussione anche l’edizione del 2021. Ci sono grossi punti di domanda perché in tutto il mondo i numeri della pandemia sono giganti. Non si può assolutamente pensare di fare un’attività che coinvolga migliaia e migliaia di atleti, si rischierebbe di fare dei danni seri. Basta vedere quello che succede nei campionati italiani di basket e calcio, dove per ogni partita si deve fare la conta dei giocatori che possono scendere in campo o meno, con gravi danni per i risultati e l’immagine”.
Le misure e i protocolli adottati dalle varie federazioni sportive sono sufficienti per contenere i contagi e tutelare la salute degli atleti e dei loro familiari?
“Penso di sì. Per quanto riguarda il basket, ogni due giorni gli atleti fanno il tampone e gli esami per capire se possono allenarsi e giocare. Nonostante questo, tutte le squadre hanno registrato giocatori positivi. Diverse partite sono saltate e diventa un problema recuperarle. I giocatori sono protetti e testati, bisogna però vedere come si comportano i loro familiari. Se un atleta viene contagiato in casa ed è asintomatico, è possibile che a sua volta porti il virus in squadra. Giocatori e familiari devono stare estremamente attenti a come si comportano nella vita”.
Lo stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia, cultura… Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?
“No, lo stato di diritto non è in pericolo. È come se una persona guidasse bendata a 200 all’ora in città. È un suo diritto? No, perché rischia di morire e di uccidere gli altri. In questo periodo di pandemia e di gravissima situazione sanitaria bisogna attenersi alle regole. Se ci dicono di non fare una cosa, non è che lo fanno perché sono impazziti. Lo dicono perché secondo loro e secondo i medici è opportuno per il benessere di tutti. Ci vuole grande responsabilità a rinunciare a un po’ di libertà cui eravamo abituati fino a poco tempo fa. Solo lavorando in questa maniera potremo sperare di mettere la testa fuori dall’acqua, altrimenti saremo sempre in apnea. La politica è alle prese con un lavoro durissimo, perché deve mettere d’accordo 60 milioni di teste cui sono legate le esigenze più diverse. Bisogna, se necessario, essere pronti a subire altre restrizioni, però lo stato deve fornire i soldi che i lavoratori perdono. È molto difficile, dal momento che l’Italia è in crisi economica, ma proprio per questo motivo dovrebbe esserci collaborazione tra le forze politiche per cercare di fare il bene di tutti”.
Chi pagherà il prezzo più alto per la crisi?
“Tutti pagheremo la crisi perché se non si lavora non si produce, non si pagano le tasse, lo stato ha meno soldi e non ci saranno i famosi ristori che vengono concessi con il contagocce. La situazione, secondo me, è veramente drammatica ed è per questo che ci vuole attenzione da parte di tutti per ritornare al più presto alla normalità. Ma, come dicevo, sono pessimista. Ci parlano di mesi, ma secondo me ci vorranno un anno o due prima di tornare a vivere come prima. Adesso si parla del Recovery Fund, di questi soldi che arriveranno dall’Europa: sembriamo quelli che comprano il biglietto della lotteria e sperano che il loro numero venga estratto. Ci vorranno mesi prima di vedere i soldi e la speranza è che il nostro governo riesca a mettere in piedi un progetto credibile su come spenderli. La mia paura però è che si disperda in mille rivoli e non risolva la situazione”.
Il Covid può essere considerato come una rivincita della natura sull’uomo e sulla scienza?
“Non credo sia una rivincita. Sono invece convinto che, al di là della natura, ci sia qualcos’altro sotto. Non ho idea di cosa possa essere successo, ma non penso che un virus così grave che ha contagiato in tutto il mondo più di 90 milioni di persone, con tutti i morti che ci sono stati e che continuano esserci, possa essere nato, come dicono, da un pipistrello”.
Cosa rimarrà nella storia di questa esperienza?
“Questa situazione ha segnato le vite di quelli che sono stati colpiti e che non ci sono più e, di conseguenza, anche dei loro familiari. Nel 2020 nessuno pensava di poter mancare all’affetto dei propri cari per una cosa del genere, viste la possibilità della medicina di risolvere anche i casi più estremi”.
Come valuta i cambiamenti che ci sono stati in questo periodo nel mondo dell’informazione?
“Tra televisione, internet e radio in questi mesi abbiamo letto e sentito di tutto e di più. C’era chi diceva una cosa, chi l’esatto contrario. È chiaro che chi ha un po’ di coscienza si affida agli esperti del settore, quindi medici e virologi. Però ci sono quelli che hanno fatto terrorismo psicologico. Internet è diventata una vetrina delle cose più belle, ma anche delle idiozie più grosse. Le fake news sono il male peggiore del nostro tempo. Le notizie molto spesso vengono riportate da una parte in maniera politica, dall’altra in una maniera tale che diventa assolutamente difficile per un comune mortale come me comprendere come sta esattamente la realtà”.
Come ha passato il Natale?
“È stato un bel Natale perché l’ho trascorso con mia moglie. Abbiamo fatto il classico giro di telefonate. Ma sicuramente è stato il peggiore che io ricordi, perché non abbiamo potuto vedere nessuno. Io e mia moglie festeggeremo Natale con i nostri parenti e amici appena ci sarà la possibilità di muoverci e di vederci. Quando possibile, faremo un mese di pranzi e cene per recuperare quello che abbiamo perso”.
Qual è stata per lei la lezione del Covid?
“Spero vivamente che ci sia in futuro più attenzione in quello che si fa e a come si vive: pulizia, igiene, attenzione all’ambiente. Però siamo fatti così. Una volta che il pericolo sarà alle spalle ognuno tornerà a fare quello che faceva prima. La mia speranza è che questa situazione ci serva da “lezione” per essere più attenti verso la natura che ci circonda e per vivere in maniera più cosciente: quello che facciamo oggi si riverserà in futuro sui nostri figli e nipoti”.
Edoardo Venditti
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