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L'era del Coronavirus - Intervista al sociologo e professore emerito dell'università La Sapienza di Roma

Franco Ferrarotti: “La nostra identità si forma nel contatto con gli altri, gravissimo non poter uscire…”

di Barbara Bianchi
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Viterbo – In bilico tra libertà e restrizioni, tra riaperture e lockdown, il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus. Una pandemia che ha colpito il mondo intero, lasciando dietro di sé morti, insicurezze e nuove abitudini.

Con un ciclo di interviste, Tusciaweb propone un’istantanea di ciò che è stato e ciò che sarà, attraverso le parole e gli occhi di grandi personaggi pubblici. 


Franco Ferrarotti


Franco Ferrarotti è un sociologo, accademico e politico italiano. Intellettuale poliedrico, attento osservatore e testimone della società, dei suoi aspetti e dei suoi cambiamenti, oltre ad essere tra i protagonisti dell’istituzionalizzazione della sociologia in Italia negli anni sessanta, ha un’esperienza come deputato della repubblica. Segue la carriera accademica che si conclude raggiungendo il ruolo di professore emerito di Sociologia all’università La Sapienza di Roma. Attualmente è coordinatore del Dottorato in teoria e ricerca sociale, sempre nello stesso ateneo. È presidente onorario dell’Associazione nazionale sociologi e socio onorario dell’associazione Libera Uscita per la depenalizzazione dell’eutanasia. Molti i premi ricevuti nella sua carriera; tra cui quello, insigne, dell’Accademia dei Lincei, nel 2001. Nel 2005 è nominato Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della repubblica italiana di iniziativa del presidente della repubblica. Tra le sue opere, L’identità dialogica (2007), Spazio e convivenza. Come nasce l’emarginazione urbana (2009), Un popolo di frenetici informatissimi idioti (2012)Dialogare o perire (2017) e Dalla società irretita al nuovo umanesimo (2020).


Professor Ferrarotti, come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette col Covid?
“Per fortuna non ho avuto esperienze dirette e contatti con il Covid. Né io né le persone che mi sono accanto. Per quanto riguarda il lockdown, bisogna fare una distinzione. Per i giovani adulti e gli adolescenti l’isolamento è stato ed è molto grave. Negli anni ho sviluppato una teoria sull’identità dialogica, la nostra identità non si forma nell’isolamento, ma nel contatto con gli altri. Identità e alterità si danno la mano. Sono concetti e pratiche di vita del tutto correlativi. Per questo è gravissimo non poter uscire, andare a scuola, vedere i propri amici e incontrare l’altro. Per persone di una certa età e nella mia stessa posizione, invece, non solo non è cambiato nulla, ma la crisi determinata da questa maledetta pandemia ha avuto addirittura effetti positivi. Come tutte le crisi. Che fanno sanguinare, causano sofferenza, ma hanno una funzione liberatrice, una funzione epifanica. Che cosa abbiamo riscoperto attraverso questa crisi? Il silenzio, la musica del silenzio. Il privilegio della solitudine e della concentrazione. Ci ha costretti a riscoprire il senso del limite. Tutta l’umanità era presa da un delirio di onnipotenza: di colpo l’uomo ha scoperto che nessuno si salva da solo. Siamo tutti legati in qualche modo”.  

Secondo lei il Coronavirus potrebbe stimolare, come effetto positivo, la fratellanza, la solidarietà e la capacità di ritrovare sé stessi?
“Andrei cauto. Il virus non causa nulla. Sarà la crisi che ne è derivata, a farlo”. 

Farà il vaccino?
“Certamente. Nonostante l’età, non voglio privilegi, aspetterò il mio turno. Ma lo farò perché è l’unico strumento che abbiamo per sconfiggere la pandemia. Io vengo da lontano. Ho alle spalle 100 anni di storia: ho visto sconfiggere la tubercolosi, la poliomelite, il morbillo, l’influenza, il vaiolo, il colera. Non mi piace l’accanimento terapeutico, però i vaccini sono fondamentali. Non arrivo a dire che dovrebbero essere obbligatori, ma non capisco questa mentalità cospiratoria. Si ha paura dei vaccini? Basta ricordare la storia. Persino la tosse asinina, la pertosse è stata sconfitta coi vaccini. Sono uno dei grandi contributi della medicina moderna. Non c’è epidemia che non abbia dato luogo a un vaccino. Non c’è caso in cui questo vaccino non abbia dato risultati positivi”.

Cosa pensa delle teorie complottiste o negazioniste? Ha mai avuto tentazioni in questa direzione?
“Per carità no. Il negazionismo fa parte di una mentalità settaria, chiusa, cospiratoria, legata a persone che hanno una posizione sociale, ma si sentono sempre più escluse dall’innovazione tecnica. La mentalità settaria e cospiratoria tende a vedere un complotto in tutto ciò che non sa spiegare razionalmente”.

Come giudica l’azione del governo Conte? E Salvini, Meloni e Berlusconi?
“Io sono stato deputato indipendente nella terza legislatura, so cosa significa. Per il premier Conte deve essere una frustrazione continua. Non è però con la politica dei piccoli aiuti economici a pioggia che si va avanti. Semmai si dovrebbero fare investimenti produttivi, che creino posti di lavoro. È con il lavoro che ci si salva e si rafforza l’autostima, che non è altro che la capacità di mantenersi con i propri mezzi. Quello che ha fatto il governo Conte era quello che poteva fare qualsiasi altro governo, ma bisogna stare attenti. Non si può andare avanti dando redditi non guadagnati, facendo l’elemosina. Occorre che il governo, tenuto comunque conto della situazione nuova e imprevista, proponga ed elabori progetti di investimento per rilanciare il lavoro. Occorre sbloccare i cantieri occupando le persone in opere pubbliche, infrastrutture e manutenzione. Con questo grosso programma europeo, possiamo inoltre risolvere finalmente la questione meridionale, facendo ripartire il Mezzogiorno. Il Mezzogiorno è a pezzi, dal punto di vista delle scuole, delle strade, dei ponti. Un governo che si rispetti dovrebbe buttarsi a capofitto in questo: è una grande occasione storica.

Il Recovery plan potrà essere quell’occasione che l’Italia stava aspettando?
“È una grande occasione, guai a perderla. Io non so se questo governo andrà avanti, non mi interessa. Quello che occorre ora è che la mano pubblica affronti i problemi pubblici, rimettendo in senso l’Italia”.  

Lo stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia, cultura… Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?
“La libertà non va mai compressa, ma non può essere assoluta: ha un limite laddove si tocca la sicurezza pubblica. Vivere in società significa essere liberi nella misura in cui non si invade la sfera degli altri. L’interesse degli altri. La libertà di ognuno è legata a quella di tutti e si garantisce attraverso la non invasione, il non danneggiamento dell’altro”.

Cosa cambierà sul piano economico dopo l’onda d’urto del Covid? Chi secondo lei pagherà il prezzo più alto per la crisi?
“Ci sono milioni di persone che si ritroveranno sempre più prive dei mezzi materiali di sussistenza, c’è un impoverimento spaventoso. Ma a pagare il prezzo più alto saranno i giovani, gli adolescenti, già colpiti dal precariato. In passato ho scritto un libro La strage degli innocenti. Note sul genocidio di una generazione. Ritengo che le società industriali siano società saturnirne: fanno i figli e poi li divorano. Non danno loro un lavoro. Li costringono a vivere con dei contratti a termine di tre mesi in tre mesi, che rendono impossibile fare un progetto di vita. Come se non bastasse, ora dovranno fare i conti con il virus, la pandemia e l’isolamento forzato, che impedisce il rapporto interpersonale. Poi troviamo sconcertante che i ragazzi si telefonino e si convochino per fare a botte. Ma che cos’è la violenza in questi casi? È solo un abbraccio malcalcolato”.

Un anno di restrizioni, di isolamento, di didattica a distanza che ha tolto rapporto umano e bloccato di fatto un ciclo formativo, che conseguenze possono avere a lungo termine?
“È difficile dirlo oggi. Già fin d’ora però si può dire che la didattica a distanza non è una vera didattica, è un rimedio di emergenza. Perché la didattica non è solamente il messaggio da insegnare. La didattica è un rapporto interpersonale e di gruppo. È un’effervescenza che si forma proprio nella classe e, in questo senso, il linguaggio del corpo è fondamentale. Certo, la comunicazione elettronica è rapida, veloce, ma non è una vera comunicazione. Perché non c’è reciprocità garantita in tempo reale. Anzi, proprio la sua velocità, presentata come un pregio, è in realtà un difetto: impedisce la riflessione. Come internet, che è una macchina stupida, perché non sa dubitare, non sa domandare, non sa riflettere, non sa indugiare. Ho fatto lezione per 55 anni, so cosa significhino gli occhi, l’espressione, il linguaggio del corpo che è quasi più importante di ciò che si dice in maniera esplicita. I ragazzi di tutto questo sono stati privati”.

Il Covid è una rivincita della natura sull’uomo?
“No, nessuna rivincita. Perché la natura siamo anche noi. L’uomo ne fa parte: considero gli alberi miei fratellastri. Il problema, secondo me, è che è necessario sviluppare, ma bisogna rispettare le condizioni minime e indispensabili di equilibrio ecosistemico. Quindi sì allo sviluppo, ma non all’espansione caotica, non alla massimizzazione del profitto, non al disboscamento feroce. Bisogna rispettare la natura, non alterando le condizioni che ne garantiscono l’equilibrio”.  

Cosa rimarrà nella storia? Come sarà il mondo dopo la pandemia?
“Rimarrà la storia della nostra nuova quotidianità. Resterà certamente un’umanità, una società che pensava di potersi sviluppare a grande velocità e di cui si celebrava la rapidità: di colpo, come una specie di strano flagello, la pandemia ha fermato ogni cosa. Il Covid ha creato davvero la globalizzazione, perché nessuno è rimasto fuori”.

Come ha passato il Natale?
“Bene e in maniera tranquilla, come sempre. Purtroppo i miei affetti più cari se ne sono andati, i miei fratelli, mia moglie e i miei amici. La bibbia dice che la longevità è un dono di Dio, qualche volte però i doni di Dio sono avvelenati…”.  

Quale è stata per lei la lezione del Covid?
“Riscoprire il senso fondamentale dell’umanità. Prendersi del tempo e prima di agire, pensare. Nessuna improvvisazione. Non correre per correre, ma accorrere, cioè correre verso uno scopo e, lungo la via, non dimenticare mai lo scopo del viaggio”.

Barbara Bianchi


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23 gennaio, 2021

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