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L’era del Coronavirus – Intervista all’esperto di informatica umanistica e socio fondatore di Liber Liber: “Con la crisi c’è stata una riconfigurazione del sistema di distribuzione e vendita del mercato librario”

Gino Roncaglia: “Stiamo facendo un uso emergenziale della Dad, ma c’è bisogno di più consapevolezza e di infrastrutture”

di Alessio Bernabucci
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Viterbo – In bilico tra libertà e restrizioni, tra riaperture e lockdown, il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus. Una pandemia che ha colpito il mondo intero, lasciando dietro di sé morti, insicurezze e nuove abitudini.

Con un ciclo di interviste, Tusciaweb propone un’istantanea di ciò che è stato e ciò che sarà, attraverso le parole e gli occhi di grandi personaggi pubblici. 


Gino Roncaglia

Gino Roncaglia


Gino Roncaglia è professore universitario ed esperto di informatica umanistica. Dal 1983 al 1995 è documentarista bibliotecario all’archivio storico della Camera dei deputati, occupandosi dei primi progetti di digitalizzazione della documentazione storica. È socio fondatore dell’associazione Liber Liber. È autore di programmi televisivi, tra cui Nautilus, Zettel – Filosofia in movimento e MediaMente. Dal 2015 al 2016 fa parte del Comitato tecnico-scientifico per le biblioteche e gli istituti culturali del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo. Insegna editoria digitale e digital humanities presso l’università di Roma Tre. Fino al 2019 insegna all’università della Tuscia. Tra le sue opere, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro (2010) e L’età della frammentazione. Cultura del libro e scuola digitale (2018).


Roncaglia, come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette col Covid?
“Diverse persone che conosco sono risultate positive, ma per fortuna nessuna con conseguenze gravi. Io personalmente sono stato piuttosto prudente. Per come sono fatto, non ho avuto durante la pandemia reazioni di angoscia nel rimanere chiuso in casa. Di preoccupazione sicuramente sì. Per gli altri e per me, dato che ho anche un problema polmonare. Ma restare a casa non mi ha sconvolto la vita dal punto di vista psicologico”.

Con la pandemia è nata una nuova ed inedita normalità? Come si immagina il futuro?
“È ancora presto per fare previsioni sul futuro, le variabili e gli scenari sono ancora molti. In ogni caso, su certi fronti le conseguenze ci saranno sicuramente. Sul lungo periodo ci sarà una spinta degli strumenti di lavoro a distanza, che rimarranno in alcune realtà anche terminata la pandemia e una riorganizzazione del sistema sanitario. Normalmente la storia ci dice che dopo una crisi di questo tipo segue una fase di ripresa economica e sociale. Molto dipende da come e quando si supererà l’emergenza”.

Farà il vaccino?
“Certamente”.

Cosa pensa delle teorie complottiste o negazioniste?
“Le teorie complottiste e negazioniste nella storia, in varie forme, ci sono sempre state. Ricordo uno studio, “La guerra e le false notizie” di Marc Bloch, che analizza le fake news nelle trincee dell’esercito, in cui si creano delle bolle chiuse di persone con opinioni simili che si trovano in situazioni simili. Sulla rete questa creazione di bolle di persone che condividono opinioni, a volte un po’ folli, è un elemento che ripropone, anche se in forme e modi diversi, lo studio di Bloch. I sistemi di “echo chamber” che internet consente ha sicuramente amplificato il sistema di comunicazione delle fake news che mette in contatto le persone che hanno opinioni strampalate. Resta il fatto che il fenomeno di per sé c’è sempre stato. Le armi migliori, naturalmente, sono quelle della cultura, della formazione e della capacità di valutare le fonti delle informazioni. È soprattutto la scuola e il sistema formativo che deve agire e cercare di lavorare di prevenzione”.

Come ha passato le feste natalizie?
“A casa insieme alla mia compagna, con serenità”.

Come giudica l’azione del governo Conte? E Salvini, Meloni e Berlusconi?
“Trovarsi all’improvviso in una situazione di questo tipo non è stato facile. Siamo stati tra i primi paesi del mondo ad affrontare la pandemia e, in linea generale, credo che la gestione sia stata simile a quella di molti altri paesi europei. Una gestione quasi obbligata, più che altro. Il governo, in generale, errori ne ha fatti. Ma li hanno fatti anche tutti gli altri governi del mondo. Non siamo tra i casi peggiori e non siamo tra i casi migliori. Ci sono casi di governi che valutavamo come razionali e illuminati, il modello svedese su tutti, che hanno fatto un pasticcio assoluto. Una delle cose che abbiamo imparato dal punto di vista politico è che l’eccesso di autonomia regionale ostacola il buon funzionamento di alcuni ambiti, quale quello sanitario. In certi settori, primo tra tutti quello della scuola, si potrebbe fare a meno di dare certezze che non si hanno. Sarebbe molto preferibile dire con tutta chiarezza che non si sa quando le scuole potranno riaprire perché dipende da fattori che non sono totalmente controllabili e che la riapertura avverrà quando ci saranno alcuni precisi parametri. Rimandare ogni settimana la riapertura mi sembra un errore politico”.

Lo stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia, cultura… Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?
“Non stiamo andando verso la demolizione dello stato di diritto. Abbiamo tutti i contrappesi politici del caso. Gli strumenti giuridici utilizzati durante questa pandemia esistevano già, non abbiamo rivoluzionato il funzionamento della nostra democrazia. Il governo è sempre responsabile davanti al parlamento, che è sempre elettivo. La famiglia europea ha lavorato in maniera pressoché uniforme e non mi pare ci siano derive autoritarie di alcun genere. Non sono state messe in discussione le libertà fondamentali che consideriamo insopprimibili e inalienabili. Anzi, se guardiamo alle stupidaggini che sono state dette, direi che il nostro diritto alla libertà di espressione è più che al sicuro”.

Cosa cambierà sul piano economico dopo l’onda d’urto del Covid? Chi secondo lei pagherà il prezzo più alto per la crisi?
“Durante la crisi pagano un prezzo più alto i lavoratori autonomi, mentre i lavoratori dipendenti, soprattutto nel pubblico impiego, spendono meno guadagnando lo stesso. Io personalmente troverei molto naturale equilibrare questa situazione con delle imposte specifiche legate a questa emergenza, minime, che vadano a gravare sui redditi molto molto alti e sui redditi che in questo periodo non sono stati minimamente toccati dall’emergenza, così da aiutare le realtà che sono state più danneggiate. Mi sembrerebbe normale che ci fosse un contributo da parte di chi in questa fase ha sofferto economicamente di meno”.

Il Covid è una rivincita della natura sulla cultura? È stato una sconfitta della scienza? La tecnologia, soprattutto in occidente e nel nord est asiatico, ci aveva illuso di aver posto una grande barriera culturale tra l’uomo e la natura…
“Sarebbe un’interpretazione finalista, come se noi dessimo una coscienza alla natura. Sicuramente è per noi anche un avvertimento. Il mondo non è al nostro servizio e ci sono tanti aspetti in cui bisogna gestire situazioni complicate e inaspettate. La crisi climatica rischia di essere sul lungo periodo una cosa ancora più grave di quello che è la pandemia da Covid. La pandemia non è stata una ribellione del mondo, ma ci ha rivelato che non siamo liberi di fare qualsiasi cosa. Dobbiamo negoziare il nostro essere nel mondo. Anche dal punto di vista della cultura dell’ambiente dobbiamo negoziare con il modo in cui la natura è fatta. Ad esempio, è stato un avviso sul fatto che non si può smantellare un sistema sanitario perché eccessivamente costoso senza il rischio che ci siano conseguenze ancora più gravose”.

Cosa rimarrà nella storia? Come sarà il mondo dopo la pandemia? Il Covid può essere considerato uno spartiacque? Uno di quegli avvenimenti per cui – come guerre e grandi scoperte – si crea una netta separazione tra il “prima” e il “dopo”.
“Sarà indubbiamente uno spartiacque. Ci ricorderemo nitidamente questi due anni. Io ricordo molto bene la pandemia di colera a Napoli quando ero un bambino; sono stati solo tre mesi, è stata relativamente contenuta e ce lo ricordiamo ancora chiaramente. Questo è stato un lungo periodo durante il quale abbiamo dovuto cambiare molte abitudini”.

Come cambierà il mondo dell’istruzione?
“Ciò che è emerso è una retorica su ciò che non funziona nella didattica a distanza, che non tiene affatto conto della situazione reale. Non stiamo facendo didattica a distanza virtuosa in questo momento, non stiamo facendo niente di quanto viene raccomandato quando si dice di utilizzare le nuove tecnologie per supportare l’educazione. Ne stiamo facendo un uso obbligato ed emergenziale che ci permette di continuare a far funzionare la scuola e l’università, in alcuni casi anche ragionevolmente bene, ma sempre solo in un’ottica emergenziale. Sarebbe auspicabile che una certa obbligata familiarità con gli strumenti digitali possa portare dopo la pandemia a uno svecchiamento metodologico.

Bisogna imparare a usare in forma integrativa gli strumenti che adesso usiamo solo in forma sostitutiva. Ma non ho nessuna garanzia che si riesca a farlo. Ora gli strumenti della didattica a distanza sono utilizzati solo per fare didattica a distanza frontale: lunghe lezioni di monologhi di un’ora davanti alla webcam anziché in classe. Se saremo bravi potremo approfittare della maggiore familiarità per migliorare la qualità di una didattica integrata ben fatta. Ci sarà bisogno di consapevolezza metodologica e di infrastrutture. Alcune criticità nella didattica a distanza oggi sono legate al fatto che le infrastrutture e le competenze sono ancora deboli e che ci sono delle ineguaglianze che dovevamo colmare ma che non abbiamo colmato. Durante l’estate, anziché pensare solo ai banchi singoli e a quanti centimetri di distanza ci dovessero essere tra un banco e l’altro, cosa che certamente andava fatta, avremmo dovuto avviare anche un lavoro molto più massiccio sulle infrastrutture digitali e sulla garanzia che tutti avessero un computer e una connessione. Questa è una responsabilità del mondo politico, che non ha colto la necessità di lavorare su un aspetto che ci sarebbe servito anche sul lungo periodo”.

E nel mondo della cultura e dello spettacolo?
“Il fatto che molte manifestazioni culturali siano state fatte in streaming ha portato a un impoverimento delle attività culturali stesse, ma contemporaneamente ci ha consentito di accorgerci che un evento trasmesso online viene seguito da un pubblico molto più ampio. Ho l’impressione che in futuro diventerà molto più abituale la trasmissione anche online di eventi svolti in presenza. Negli Stati Uniti sono venute fuori anche molte piattaforme che consentono ai musicisti indipendenti di organizzare concerti da casa. Io ho avuto la possibilità di seguire alcuni di questi eventi che, senza queste piattaforme in rete, non avrei mai avuto la possibilità di sentire dal vivo perché suonano in circoli folk di piccoli paesini statunitensi”.

Come cambierà il mondo dell’editoria?
“Tendenzialmente, in periodi di crisi, il mercato del libro è un mercato anticiclico. Anziché contrarsi come altri settori, è un mercato che si espande. Questo perché il libro può essere comodamente letto anche a casa e costa relativamente poco per il tempo di soddisfazione che dà. Il libro vende bene nei periodi di crisi. È uno strumento per cercare di interpretare le difficoltà e per cercare di evaderne. Questo doppio meccanismo di comprensione ed evasione funziona bene durante tutte le crisi. La gente, che non può più andare al cinema, al teatro o ai concerti, dovrebbe leggere di più.

Andando ad analizzare la storia del mercato del libro, si nota che la crisi del’29 è il periodo in cui si è fondato il sistema editoriale contemporaneo. Nella crisi economica 2008-18, invece, il mercato del libro si è comportato in maniera ciclica. Per la prima volta il consumo di libri, insieme ad altri consumi, è crollato. Quasi come se il libro fosse un bene di lusso. Questo è stato determinato da un insieme di fattori molto complesso e a rimescolare le regole del mercato editoriale ha contribuito anche la diffusione del libro elettronico. Nella crisi del 2020 il libro è tornato ad essere anticiclico. Effettivamente, soprattutto durante la seconda fase della pandemia, si è letto un po’ di più. I dati sono quasi uniformi in molti paesi europei e mondiali. Poco di più. Poco, perché si sono diffuse anche altre pratiche di intrattenimento, come il binge watching delle serie televisive (che in questo periodo è aumentato molto più della lettura). Questo leggero aumento della lettura è un segnale di recupero di un aspetto anticiclico che il libro aveva perduto.

C’è stato uno sconvolgimento nei meccanismi di mercato. Il commercio online, non solo nel campo librario, è esploso. Amazon è riuscita ad aumentare ancora la vendita di libri. E l’esplosione della vendita via internet crea indubbiamente problemi sia per le librerie indipendenti sia per quelle di catena. Con la crisi c’è stata una riconfigurazione del sistema di distribuzione e vendita. Questo accentramento di poteri nelle mani dei grandi colossi dell’e-commerce, primo tra tutti Amazon, ripropone con forza il tema di far pagare le tasse ai giganti del web senza elusione o evasione fiscale, che ora purtroppo ci sono anche a livello europeo”.

È aumentato l’uso di libri elettronici e audiolibri?
“Per fare una previsione dell’evoluzione del mercato dei libri elettronici sul lungo termine, ci vorrebbe una sfera di cristallo. L’uso di reader era quasi fermo come diffusione, in Italia attorno al 10% e negli Usa attorno al 22-25%. Durante la pandemia l’uso di libri elettronici è aumentato. Ma è stato un aumento ancora abbastanza contenuto perché non sono cambiati gli strumenti di lettura. Siamo ancora a una generazione di reader primitiva; se arriverà una nuova generazione di dispositivi migliore, i margini di ampliamento del mercato sono molti.

Adesso il mondo dei dispositivi di lettura è diviso in due grandi famiglie: quelli che funzionano con carta e inchiostro elettronici, come il Kindle, e quelli che funzionano su tablet, computer o smartphone. I primi non emettono luce, sono più simili alla carta e non stancano la vista, ma sono ancora in bianco e nero. I tentativi di realizzare dispositivi a colori utilizzando la tecnologia di carta e inchiostro elettronici sono ancora molto deludenti e abbiamo ottenuto solo colori slavati. Sono dispositivi che assomigliano alla carta, ma non permettono di lavorare a colori, di avere filmati, di avere un refresh veloce delle pagine. Hanno dei limiti innegabili. D’altro canto, tablet e smarphone hanno i colori e permettono il consumo di libri arricchiti con contenuti multimediali ma sono più stancanti per la vista, si leggono male quando ci si trova all’aperto e sono distrattivi perché sono piattaforme su cui si fanno decine di altre cose insieme. Entrambi le famiglie, infine, hanno ancora strumenti molto rudimentali di annotazioni. Finché non ci sarà un salto di qualità che ricongiunge le due famiglie con una qualche tecnologia di schermo, è difficile che avvenga un altro salto consistente nell’uso dei libri elettronici.

In Italia e all’estero è aumentato anche il mercato degli audiolibri. Prima praticamente non esisteva da noi, mentre era molto sviluppato (già dalle registrazioni su cassetta) nel mondo anglofono e in Germania. Con l’arrivo del digitale, negli ultimi anni l’audiolibro è arrivato anche in Italia e si è espanso con l’arrivo della pandemia. Resta il fatto che ascoltare un audiolibro e leggere un libro sono due esperienze abbastanza diverse. Ho spesso ascoltato audiolibri di libri che ho sfogliato fisicamente; sono letture completamente diverse. Ad esempio, basta prendere “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” letto da Fabrizio Gifuni, a mio avviso l’audiolibro più bello attualmente presente sul mercato italiano. La capacità di Gifuni di dare voce alle parlate regionali e all’affresco linguistico del romanzo fa percepire la straordinarietà dell’opera in maniera diversa da quella che emerge da una lettura”.

E a proposito delle biblioteche?
“Un aspetto che ha un impatto diretto sugli utenti delle biblioteche, e lo si è visto bene durante la pandemia, è quello del digital lending, ovvero il prestito digitale. I servizi di prestito digitale sono molto aumentati durante il periodo della pandemia. Il principale in Italia è MediaLibrary. Sono servizi che mettono a disposizione libri, riviste e quotidiani, anche le novità appena uscite, e danno la possibilità all’utente di prenderlo in prestito digitale. In questo caso è la biblioteca a pagare, al posto dell’utente, per la lettura del volume. È l’idea di fondo che sta dietro al concetto stesso di biblioteca. La maggior parte delle università ha a disposizione sistemi di digital lending, che consente a tutti gli studenti di leggere gratuitamente anche le ultime uscite sul mercato. È un servizio che andrebbe molto più pubblicizzato, ma conosciuto ancora da relativamente poche persone”.

È cambiato il nostro modo di leggere?
“Il cambiamento più forte in merito alla lettura è nel fatto che chiunque oggi legga un libro, qualsiasi sia la forma e il supporto, sa che ha a disposizione la rete per andare a cercare informazioni integrative. Leggo un nome che non conosco e vado subito a verificare chi era. Leggo una descrizione di un luogo e vado a cercare una mappa o un’immagine. Leggo un riferimento a un brano musicale e vado ad ascoltarlo immediatamente. Abbiamo un circuito di allargamento dell’esperienza di lettura che riguarda tutti i tipi di lettura e che 20/30 anni fa non c’era. Questa possibilità di integrazione con la rete consente al lettore di oggi un modo di approcciarsi alle opere, anche di qualche secolo fa, in maniera completamente diversa. Mi è capitato di rileggere recentemente “Controcorrente” di Huysmans, studiato a scuola come il manifesto del decadentismo europeo.

La prima volta che lo avevo letto mi aveva dato l’impressione di essere un libro pesante e chiuso; riletto ora, con tutte le possibilità di approfondimento che la rete offre, l’ho letto come un catalogo di riferimenti ad altre opere. Resta un libro barocco, sovrabbondante di riferimenti, ma curioso e senza quell’aspetto di decadenza così accentuato che mi aveva colpito quando lo avevo letto a scuola”.

Quale è stata per lei la lezione del Covid?
“Ho letto su un articolo la tendenza che hanno molte persone in queste situazioni di insicurezza di costruirsi un nido sovrabbondante di oggetti, come gli uccelli che riempiono i loro nidi. Io durante la pandemia ho accumulato oggetti e libri, molto più di quanto già non facessi prima. C’è la tendenza a costruirsi un nido ricco, comodo e sovrabbondante, anche più di quanto sarebbe necessario. Un eccesso di accumulo di possibilità rispetto a quanto è concretamente possibile fare”.

Alessio Bernabucci


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19 gennaio, 2021

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