Viterbo – In bilico tra libertà e restrizioni, tra riaperture e lockdown, il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus. Una pandemia che ha colpito il mondo intero, lasciando dietro di sé morti, insicurezze e nuove abitudini.
Con un ciclo di interviste, Tusciaweb propone un’istantanea di ciò che è stato e ciò che sarà, attraverso le parole e gli occhi di grandi personaggi pubblici.
Massimo Scalia
Massimo Scalia è tra i padri dell’ambientalismo scientifico e il fondatore di Legambiente. È un fisico matematico con una cattedra all’università La Sapienza di Roma. Istituita la Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, Scalia ne diviene il primo presidente ed è uno dei principali organizzatori delle battaglie contro il nucleare che portano ai referendum del 1987 e del 2011.
Professor Scalia, come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette col Covid?
“Non ho avuto esperienze dirette con il Covid. Il lockdown mi è sembrata una cosa noiosa e limitativa, ma necessaria”.
Con la pandemia è nata una nuova e inedita normalità? Come si immagina il futuro?
“Ogni diffusione di virus è un po’ come una curva che a un certo punto piega. Poi, come è successo in Cina, a poco a poco si riduce. Il virus mangia tutto quello che può, dai soggetti più deboli a quelli più forti. Il Covid, essendo anche lui un virus, ha la sua legge di espansione che le misure adottate hanno ridotto. La normalità è convivere con il Covid, almeno per un altro paio di anni. E questo è il futuro immediato che mi immagino. Poi va tenuto conto che i virus non esistono per sempre, ma quasi”.
Farà il vaccino?
“Non ho niente contro, forse sì. Penso ci si debba vaccinare”.
Cosa pensa delle teorie negazioniste o complottiste? Ne è mai stato tentato?
“Non sono mai stato tentato. Si tratta inoltre di fenomeni ricorrenti. Quando all’inizio del secolo ci fu la Spagnola, con il triplo dei morti provocati dalla prima guerra mondiale, anche allora ci furono varie restrizioni e al tempo stesso la rivendicazione della libertà individuale. Il problema è che in Italia la libertà viene spesso confusa con posizioni anarcoidi”.
Come ha passato il Natale?
“Il Natale l’ho passato a casa, come tanti altri”.
Come giudica l’azione del governo Conte? E Salvini, Meloni e Berlusconi?
“Devo dire che questa situazione non lascia spazio alle differenze politiche che poi vengono gonfiate. Va detto che tutti i governi del mondo si sono trovati di fronte a una situazione difficile e particolare con un grosso impatto sui sistemi sanitari, con tanto di sfracelli economici. All’inizio, a livello europeo, ci sono state strategie diverse. Da un certo punto in poi tutti si sono convertiti a politiche di restrizione. Alla fine le politiche dei vari governi hanno dovuto tutte convergere su strade prefissate. C’è stato solo chi lo ha fatto prima e chi dopo. Tra quelli che lo hanno fatto prima, c’è sicuramente il governo italiano che oggi è tra i paesi europei che stanno meglio”.
Lo stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia, cultura… Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?
“Questo è un dibattito che iniziò già a fine febbraio. E ci fu una levata di scudi a sinistra in nome delle libertà personali. Poi queste argomentazioni, nel giro di poche settimane, sono diventate una roccaforte della destra. E questa cosa dovrebbe sollecitare una riflessione più approfondita. Personalmente penso che, di fronte a situazioni del genere, tutte le democrazie abbiano degli strumenti per intervenire. Dopodiché va pur detto che la gestione del governo Conte ha avuto delle lacune nei rapporti con il parlamento. Invece con le regioni c’è stato un continuo confronto, anche con posizioni contrastanti. Va inoltre detto che in Italia le libertà non hanno tutto il peso che si attribuisce loro. Ci sono molti chiacchieroni che sbandierano le libertà individuali, ma non mi sembra che questo sia un paese dove libertà, individualità e responsabilità abbiano un culto particolare. Anzi, mi sembra il contrario. Gobetti, un secolo fa, faceva un’osservazione che condivido del tutto: un paese che non ha avuto una rivoluzione e che non ha una borghesia in grado di rappresentare una forza motrice, ma che al contrario ha avuto una controriforma religiosa, è un paese che ha grandi difficoltà rispetto alle virtù civiche. Credo che questa sia la tara storica del popolo italiano che pesa anche sulla circostanza del Covid. Pertanto non sono affascinato dal dibattito sulle libertà individuali perché, se guardo ai cittadini italiani, questo discorso risulta essere un po’ fasullo con un popolo che negli ultimi cinque secoli non è andato così lontano. Non c’è stata rivoluzione e non c’è stata borghesia. C’è stato invece un salviamoci tutti. E questo proprio perché nel nostro paese non c’è un forte senso morale che muove l’azione delle persone”.
Cosa cambierà sul piano economico dopo l’onda d’urto del Covid? Chi secondo lei pagherà il prezzo più alto per la crisi?
“Uno degli aspetti positivi, se così si può dire, della pandemia è l’aver ‘sbreccolato’ il male dell’austerity e delle politiche che lo hanno caratterizzato. Un male tanto voluto, predicato e praticato. Un disastro per tutti quanti. Alla fine si è arrivati al Recovery fund con l’impegno di ciascun paese di venire incontro ai danni economici dovuti all’emergenza. Una decisione che delinea un futuro possibile in cui l’Europa diventa qualcosa di meglio rispetto a una somma di stati. Diventa qualcosa che è capace di intervenire anche sul piano economico. Ci sarà molto da fare per riprendersi, ma l’Europa sembra aver individuato gli strumenti necessari. C’è poi tutto il lavoro che sta facendo l’Ue di riduzione dei gas serra. Quindi queste due grandi linee di tendenza dell’Europa, l’intervento per risanare i danni economici e tutto il lavoro sull’ambiente, siano un disegno per il futuro che lascia sperare”.
Il Covid è una rivincita della natura sulla cultura? È stato una sconfitta della scienza? La tecnologia, soprattutto in occidente e nel nord est asiatico, ci aveva illuso di aver posto una grande barriera culturale tra l’uomo e la natura…
“È stato detto molto. È stato detto che l’uomo comprime la natura e questa poi si ribella e lo massacra. Certo, è vero. Ma non credo che questa interpretazione si possa applicare alla pandemia, che è riconducibile a varie cause. Va applicata soprattutto ai cambiamenti climatici. Oltre alla cultura e alla tecnologia, inoltre conta molto anche il clima. Ad esempio ci sono studi scientifici che evidenziano come i climi caldo-umidi siano sfavorevoli alla diffusione del Covid”.
Cosa rimarrà nella storia? Come sarà il mondo dopo la pandemia? Il Covid può essere considerato uno spartiacque? Uno di quegli avvenimenti per cui – come guerre e grandi scoperte – si crea una netta separazione tra il “prima” e il “dopo”?
“Gli elementi per parlare di un ‘prima’ e un ‘dopo’, secondo me, si ricavano tutti nel cambiamento di indirizzo da parte dell’Unione europea, come ho detto prima. L’intervento per far fronte ai danni economici dell’emergenza, con la sconfitta delle politiche di austerity e del liberismo più ottuso, e tutto il lavoro sull’ambiente con la guerra contro i mutamenti climatici. Infine, il vaccino non va visto come la bacchetta magica. La pandemia sarà veramente sconfitta quando in tutti i paesi sarà sconfitta. Perché se continueranno ad esserci realtà dove non il Covid continuerà massicciamente a circolare, queste diventeranno inevitabilmente sorgenti per nuovi episodi del virus”.
Come valuta i cambiamenti nel mondo dell’informazione? E in quelli dello spettacolo e della cultura?
“Per quanto riguarda spettacolo e cultura è un disastro e uno non può fare altro che mettersi a piangere. Spero che entro la fine di quest’anno possa ricominciare significativamente la vita culturale del nostro paese. Per raccontare quello che è successo al mondo della cultura e dello spettacolo non ci sono parole. Passando poi al mondo dell’informazione, non ne ho mai avuto il culto. Anche se sono convito che è meglio che tutti siano informati. Va poi detto che il problema di fondo, con la crescita esponenziale dell’informazione, è l’entropia della stessa. Riuscire a selezionare le cose utili diventa sempre più difficile”.
Quale è stata per lei la lezione del Covid?
“Ho dovuto rinunciare a molte cose, ma l’ho vissuto come necessità e dovere. Una specie di bussola futura capace di orientare i comportamenti non solo verso ciò che si vuole, ma anche in direzione di ciò che si deve”.
Daniele Camilli
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