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L’era del Coronavirus – Intervista alla campionessa olimpionica di salto in alto: “Può essere l’occasione per ripensare e cambiare la nostra abitudine allo spreco”

Sara Simeoni: “Abbiamo invaso la natura per anni, la pandemia ci insegni il rispetto”

di Alessio Bernabucci
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Viterbo – In bilico tra libertà e restrizioni, tra riaperture e lockdown, il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus. Una pandemia che ha colpito il mondo intero, lasciando dietro di sé morti, insicurezze e nuove abitudini.

Con un ciclo di interviste, Tusciaweb propone un’istantanea di ciò che è stato e ciò che sarà, attraverso le parole e gli occhi di grandi personaggi pubblici. 


Sara Simeoni


Sara Simeoni è campionessa olimpionica di salto in alto. È tra le prime atlete ad adottare lo stile Fosbury. Ai campionati europei di atletica leggera vince un oro e due bronzi e diventa campionessa italiana. per 14 volte. Nel corso della sua carriera vince tre medaglie olimpiche: un argento a Montreal nel 1976, un oro a Mosca nel 1980 e un argento a Los Angeles nel 1984. Nel 2978 stabilisce il record mondiale, riuscendo a saltare 2,01 metri. Dal 2017 è vicepresidente del comitato regionale Fidal Veneto.


Simeoni, come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette col Covid?
“È difficile non essere toccati da questa pandemia. Per fortuna nella mia famiglia nessuno si è ammalato. Alcuni amici ne sono stati colpiti e qualcuno non è riuscito a farcela. Facendo incontri via web con scuole e ragazzi di zone molto colpite dal Covid, come per esempio Bergamo, ho visto nei loro volti il dolore; quasi tutti avevano subito almeno un lutto in famiglia.
Vivendo in campagna, durante il lockdown ho avuto la fortuna di aver avuto a disposizione molto spazio all’aperto e sopportare meglio il fatto di dover restare in casa”.

Con la pandemia è nata una nuova ed inedita normalità? Come si immagina il futuro?
“Non voglio credere che questa che stiamo vivendo diventi la nuova normalità. È da quasi un anno che facciamo molta attenzione nell’uscire e nel fare attività, non incontriamo più persone e ci si saluta a distanza. Tra noi sportivi c’è l’abitudine di salutarsi in modo molto caloroso, abbracciamo anche chi stimiamo ma non conosciamo. Manca il calore dell’affettività”.

Farà il vaccino?
“Sì, quando sarà il mio momento”.

Cosa pensa delle teorie complottiste o negazioniste? Ha mai avuto tentazioni negazioniste?
“Non voglio neanche dare peso a queste teorie che negano l’evidenza”.

Come ha trascorso il Natale?
“A casa. Eravamo in tre. Da noi il Natale è sempre stato l’occasione per ritrovarci tutti insieme in grandi tavolate. Quest’anno non è stato possibile e gli auguri sono stati solo online”.

Le misure e i protocolli adottati dal mondo dello sport per evitare nuovi contagi erano secondo lei idonei e sufficienti?
“Faccio parte del comitato regionale del Veneto della Fidal, Federazione italiana di atletica leggera, e adesso stiamo provando a far riprendere alcune competizioni con tutte le precauzioni e rispettando i protocolli. A livello professionistico abbiamo avuto da pochissimo le gare indoor di atletica. Gare a porte chiuse, senza pubblico, con un numero massimo di atleti che possono essere contemporaneamente in pista e un numero limitato di accompagnatori tecnici. È stato il primo evento con cui siamo tornati in pista, ne seguiranno altri. Le regole sono tante e stringenti, ma una volta stabiliti dei protocolli rigorosi da far rispettare dobbiamo lentamente tornare alla normalità. A questo punto dovrebbero ripartire anche le attività amatoriali”.

Restare fermi a lungo, che conseguenze può avere sul fisico ma anche sulla mente?

“Il potersi muovere, lo scaricare le ansie e le tensioni, il potersi ritrovare con gli altri atleti e compagni sono di grande aiuto. Mentale innanzitutto, oltre che fisico. Fare attività è una boccata d’aria fresca, specialmente in un periodo come questo. Il fatto di poter uscire, fare anche solo una passeggiata, è uno stimolo e un bisogno mentale. Consente di pensare e di svagarsi”.

È cambiato il modo in cui ci rapportiamo con l’ambiente che ci circonda?
“Abbiamo avuto modo di rivalutare l’importanza della natura e degli spazi aperti. Eppure ciò non è bastato a renderci più rispettosi dell’ambiente. Il nostro interesse non è coinciso con un maggiore spirito ecologista. Alcuni escursionisti pensavano che fosse sufficiente andare in montagna per essere ecologisti; e intanto buttavano cartacce nella natura o si avventuravano senza preparazione e senza attrezzatura in luoghi pericolosi. Andare in montagna significa anche avere rispetto. Rispetto per il posto in cui ci si trova, per le persone che si incontrano e per le caratteristiche dell’ecosistema. Trovarsi in un ambiente accogliente fa in modo che ci si predisponga volentieri all’attività che si va a fare. È rispetto per gli altri, ma anche per se stessi”.

Le olimpiadi di Tokyo sono state rinviate di un anno, mentre campionati nazionali, primo tra tutti quello calcistico, sono ripresi. Secondo lei è stata una decisione giusta o nel rispetto di regole e precise indicazioni, era comunque possibile organizzare le olimpiadi?
“Trovo che rimandare le olimpiadi sia stata una decisione giusta. Il Covid non è una questione nazionale ma globale. Si sarebbe rischiato di svolgere una gara ridotta con un valore ridotto; magari non tutti i paesi o gli atleti avrebbero potuto partecipare. Meglio non svolgere una grande competizione se c’è il rischio che la gara venga sminuita. Meglio fare, come si sta facendo, piccoli meeting con un numero ridotto e gestibile di atleti. Mi rendo conto che il fatto di essere tenuti in sospeso fino all’ultimo sia una grande preoccupazione, ma c’era il rischio di vanificare tutto il senso della competizione. Non dobbiamo credere che il pericolo sia svanito; il Covid esiste ancora e per le olimpiadi 2021 l’attenzione deve essere massima”.

Come giudica l’azione del governo Conte? E Salvini, Meloni e Berlusconi?
“Durante la prima ondata l’emergenza ha preso tutti alla sprovvista e nessuno era preparato a tamponare una situazione del genere. Durante l’estate invece, sapendo già che sarebbe arrivata in autunno una seconda ondata, avremmo dovuto prendere dei provvedimenti più decisi. Avremmo potuto lavorare meglio per prepararci a un ritorno del virus”.

Lo stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia, cultura. Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?
“Siamo stati costretti a limitarci nelle azioni e negli spostamenti. È comprensibile sacrificarsi per un periodo e accettare delle norme che ci vincolino. Ma mi auguro che non si tratti di una situazione infinita, spero che non la tiriamo troppo alla lunga. Il rischio è che da un’emergenza sanitaria ne nasca una sociale, una economica e così via in una catena infinita di Sant’Antonio”.

Cosa cambierà sul piano economico dopo l’onda d’urto del Covid? Chi secondo lei pagherà il prezzo più alto per la crisi?
“Il prezzo più alto lo pagheranno sempre gli stessi. I giovani saranno molto svantaggiati. Si parlava di agevolare il loro ingresso nel mondo del lavoro ma non mi sembra che sia stato fatto molto per favorirli. Finché non si ricomincerà ad investire di nuovo, temo che la situazione sarà stazionaria. E se molti non investono è perché non si fidano ancora del futuro. Deve essere tracciata una linea decisa, non fatta soltanto di parole, che dia speranze concrete”.

Come valuta i cambiamenti nel mondo dell’informazione?
“Sembra che tutti vogliano sapere tutto. Non si capisce più chi è il politico, chi l’economista, chi lo psicologo e chi il virologo… Tutti sanno tutto. Così non si fa altro che confondere le idee”.

Il Covid è una rivincita della natura sulla cultura? È stato una sconfitta della scienza? La tecnologia, soprattutto in occidente e nel nord est asiatico, ci aveva illuso di aver posto una grande barriera culturale tra l’uomo e la natura…
“Il Covid sicuramente solleva il dibattito su come ci rapportiamo con la natura. La abbiamo invasa e maltrattata per anni e la pandemia ci ha fatto notare che abbiamo occupato con una certa arroganza molti luoghi. Dei filmati sul web hanno ripreso alcuni animali che, quasi sorpresi dal silenzio arrivato all’improvviso, sono venuti curiosamente a vedere perché non gli stavamo più rompendo le scatole. La speranza è che nasca un ragionamento serio sull’interazione tra uomo e natura”.

Cosa rimarrà nella storia? Come sarà il mondo dopo la pandemia? Il Covid può essere considerato uno spartiacque? Uno di quegli avvenimenti per cui, come guerre e grandi scoperte, si crea una netta separazione tra il “prima” e il “dopo”?
“Sarà uno dei grandi eventi della storia. Innanzitutto ha dato una brusca frenata all’economia mondiale e ha cambiato la nostra socialità e la nostra quotidianità, oltre che essere stato di per sé un periodo lungo. Quando ripartiremo dovremo tenere in considerazione tutto ciò che abbiamo vissuto. Gli anni precedenti sono stati l’era dell’usa e getta. Siamo stati abituati a sprecare, a cercare sempre qualcosa di nuovo da comprare e poi scartare. C’è chi lo fa anche a costo di sacrificare se stesso e vivendo su un gradino che non è il suo. La pandemia deve essere l’occasione per ripensare e cambiare questa nostra abitudine allo spreco”.

Quale è stata per lei la lezione del Covid?
“Ho avuto delle conferme. Dell’importanza delle regole. Dell’importanza del rispetto reciproco e per la natura. Della necessità di non eccedere e di non sprecare”.

Alessio Bernabucci


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24 gennaio, 2021

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