Viterbo – In bilico tra libertà e restrizioni, tra riaperture e lockdown, il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus. Una pandemia che ha colpito il mondo intero, lasciando dietro di sé morti, insicurezze e nuove abitudini.
Con un ciclo di interviste, Tusciaweb propone un’istantanea di ciò che è stato e ciò che sarà, attraverso le parole e gli occhi di grandi personaggi pubblici.
Franca Fossati-Bellani
Franca Fossati-Bellani è oncologa pediatrica, ora in pensione. Inizia la sua attività nel 1967 presso l’Istituto milanese dei tumori, dove è primaria e fondatrice del reparto di oncologia pediatrica. Nel 2020 pubblica il libro Curare i bambini è la mia medicina (Solferino, 2020), scritto insieme alla giornalista Agnese Codignola, in cui racconta la sua esperienza in reparto. Insegna presso la Scuola di specialità in Pediatria all’università di Milano. Ha all’attivo oltre 200 pubblicazioni clinico-scientifiche, in particolare sullo studio dei tumori dell’infanzia e dell’adolescenza. Fa parte del consiglio di amministrazione della fondazione Mariani ed è presidente della sezione milanese della Lega italiana per la lotta contro i tumori. È inserita dalla rivista Forbes Italia tra le 100 donne di successo per il 2020. Nel 2001 riceve l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica italiana. Nel 2012 è premiata dal comune di Milano con l’Ambrogino d’oro.
Fossati-Bellani, come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette col Covid?
“Personalmente ho cercato di vivere e di adattarmi alle esigenze della lunga quarantena con razionalità, cercando di dare un senso ad ogni giornata della imposta clausura. Ho la fortuna di abitare in una bella e amata dimora: riordino, lettura, ascolto quotidiano della programmazione culturale di radio e televisione, telefonate video con amici e famigliari anche oltreoceano, attività scientifica per il Comitato etico dell’ospedale di Varese con cui collaboro. Certo mi rimarrà impresso il senso gelido della Milano deserta e silenziosa ma in coda ai supermercati per sentirsi ricompensata, anche nell’acquisto del superfluo, dalle limitazioni imposte. Ma il sacrificio più grande è stato quello di non poter stare e veder crescere i nipoti per mesi. Tutti i nonni condividono questa privazione di affetti e sentimenti, ma ci è stata giustamente richiesta la lontananza per preservare e non mettere a rischio il desiderio di un ulteriore futuro nei legami famigliari”.
Quali conseguenze ha avuto l’arrivo della pandemia sulla sua vita professionale?
“Proprio di questi giorni un anno fa vivevo un momento molto bello ed emozionante: il 6 febbraio la presentazione e la pubblicazione con l’editore Solferino del mio libro autobiografico Curare i bambini è la mia medicina scritto con l’aiuto di Agnese Codignola giornalista scientifica. Era ed è la storia della mia vita professionale all’Istituto dei tumori di Milano dove è nata l’oncologia medica italiana e dove con l’aiuto di tanti sono riuscita a realizzare un reparto tutto dedicato alla cura e allo studio dei tumori dell’infanzia e dell’adolescenza. Storie ed esperienze umane indimenticabili. Alla presentazione al Corriere della sera non immaginavo di vedere così tanta gente: amici, colleghi, infermieri benefattori, ex pazienti non più bambini, anzi già genitori e non c’erano libri a sufficienza per tutti. Erano previste altre presentazioni, anche alla biblioteca consorziale di Viterbo e questo mi lusingava: poter trasmettere le mie idee su come porsi di fronte alle malattie del corpo e dell’anima e come accompagnare quando non si può guarire, mi sembrava un privilegio e un continuum della mia vita professionale con nuovi e diversi incontri in contesti anche non medici”.
Con la pandemia è nata una nuova ed inedita normalità? Come si immagina il futuro?
“Tutto si è inesorabilmente fermato e il virus subdolo è entrato silenzioso e implacabile nelle nostre vite, nella vita di tutti e lo sarà ancora per molto tempo. Ricordare quell’illusorio ‘andrà tutto bene’ esposto su balconi e finestre mi fa ancora dispiacere perché non abbiamo voluto capire che non sarebbe andata proprio così e questo l’ha confermato la seconda ondata del Covid. Le nostre responsabilità nella circolazione del virus in questa fase sono state sicuramente più rilevanti per tanti e diversi aspetti, rispetto al momento del suo arrivo”.
Farà il vaccino?
“Sì, mi sottoporrò certamente alla vaccinazione”.
Cosa pensa delle teorie complottiste o negazioniste? Ha mai avuto tentazioni negazioniste?
“Trovo inconcepibile e da attribuire a una nefasta sottocultura l’atteggiamento, anche propagandistico, dei negazionisti che l’era dei social contribuisce purtroppo a supportare”.
Come giudica l’azione del governo Conte? E Salvini, Meloni e Berlusconi?
“Non mi ergo a giudice, ma complessivamente ritengo che il governo abbia fatto il possibile nella prima fase, ma abbia perso il rigore iniziale durante l’estate e non abbia affrontato in modo pragmatico e per obiettivi. Ad esempio il tema dei trasporti e della scuola. Questo forse è stato anche favorito da rivalità politiche tra governo e regioni. Un incomprensibile rilassamento. E lo sapevamo che il virus, sottotraccia, sarebbe di nuovo ricomparso in tutta la sua forza”.
Lo stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia, cultura… Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?
“Non ritengo affatto una limitazione delle nostre libertà o un pericolo per lo stato di diritto. Quando ci siamo resi conto della gravità della situazione e siamo entrati nell’emergenza, era indispensabile definire regole chiare da comunicare con chiarezza e fermezza da parte di un’unica regia istituzionale, regole modificabili sulla base di dati epidemiologici purtroppo raccolti talora senza uniformità e metodo scientifico”.
Cosa cambierà sul piano economico dopo l’onda d’urto del Covid? Chi secondo lei pagherà il prezzo più alto per la crisi?
“La pandemia 2020-2021 (…e fino a quando?) lascerà segni e conseguenze a tutti i livelli e di molto ancora non sappiamo. Spero che ci si renda conto dell’importanza di quelli che sono i valori fondanti del nostro vivere: combattere le disuguaglianze e dare opportunità di studio e lavoro a tutti. Ma la mia preoccupazione principale è che un atteggiamento di indifferenza possa avvolgere la storica vicenda del Covid 19 con cui stiamo ancora vivendo”.
Il Covid ha posto sotto pressione l’intero sistema sanitario nazionale, che ha dovuto concentrare tutte le proprie risorse per combattere il virus. Eravamo preparati per affrontare una situazione del genere?
“Anche se personaggi di cultura e di scienza da tempo l’avevano previsto, la sua presenza da noi è giunta nella totale impreparazione. Le notizie dalla Cina sono state insufficienti e tardive e l’epidemia di Sars avvenuta nel 2003 che non oltrepassò la Cina, non ci ha fatto riflettere sul possibile rischio di una diffusione pandemica di un nuovo virus nel mondo occidentale, così come è avvenuto. Da noi c’era una totale impreparazione, sia in termini normativi (sono tuttora in corso le indagini sull’aggiornamento del piano pandemico nazionale del nostro paese) e ci stiamo dimenticando di quei frenetici giorni in cui tutti eravamo alla ricerca di mascherine e di quanto era necessario per proteggere gli operatori sanitari. Ora problemi finalmente superati.
Voglio invece sottolineare, oltre al superbo lavoro assistenziale del personale sanitario, il grande sforzo e il prezioso contributo che gli italiani hanno dato nel comprendere i meccanismi patogenetici dei diversi quadri clinici della malattia e i relativi comportamenti terapeutici da mettere in atto. E poi l’ipotesi della presenza del virus anche in persone sane, sospettata dal professor Crisanti di Padova e confermata dallo studio epidemiologico fatto a tappeto su tutti i residenti del comune di Vo’ nel Veneto. Il virus infatti era stato trovato in oltre un terzo degli abitanti che non avevano alcun sintomo di malattia, definiti asintomatici. Ma, ahimè, erano anche i principali responsabili della diffusione dell’infezione. Purtroppo, per le consuete carenze culturali economiche e organizzative, il nostro paese, nonostante le competenze dei ricercatori, è in ritardo rispetto ad altri paesi negli studi sul sequenziamento del virus che permettono di riconoscerne ceppi diversi con possibili diversi comportamenti. Come ora sta succedendo in Inghilterra, Brasile, Sudafrica”.
Quali conseguenze ha avuto e ha questa riorganizzazione per la cura delle altre patologie? E per i malati oncologici?
“La pandemia ha reso evidente quanto già molti denunciavano. La situazione di crisi del sistema sanitario nazionale. I suoi limiti. La disattenzione alla necessità di un suo aggiornamento con il mutare delle esigenze sociali e con l’evoluzione e il miglioramento delle conoscenze, non solo tecnologiche, della medicina tutta. Oltre a ciò vi è stata negli anni una irresponsabile riduzione di risorse economiche al servizio sanitario nazionale, i cui aspetti gestionali e organizzativi sono interpretati diversamente dalle leggi regionali. Anche per interessi di colonizzazione da parte del potere politico dei ruoli di responsabilità”.
In molti casi screening e visite di controllo sono state posticipate. A quali rischi può portare questa situazione? A quali soluzioni alternative si potrebbe ricorrere?
“L’attività delle strutture di ricovero, di diagnostica, dei servizi di prevenzione è stato pesantemente penalizzato dal virus e ancora si deve quantificare il peso di ritardi diagnostici e terapeutici che si sono verificati nel paese. Ad esempio nell’oncologia, cardiologia e nella gestione delle malattie croniche e della disabilità. Un riferimento personale: tutto il lavoro per le persone con disagio psichico e cognitivo si è praticamente annullato, con conseguenze che sarà quasi impossibile recuperare.
Ciò detto una grande e importante riflessione deve essere messa in atto per ricostruire il modo di considerare il problema della salute che è soprattutto prevenzione delle malattie e del malessere sociale. Su come rivedere e ridisegnare con grande dedizione con i medici, affiancati da politici, sociologi, economisti, tecnici e quant’altro, un sistema che sia per tutti, senza distinzione tra ricchi e poveri”.
Il Covid è una rivincita della natura sull’uomo?
“Il Covid come molti altri eventi naturali, non può e non deve essere considerato come una rivincita della natura sull’uomo, perché noi siamo natura e non ne siamo padroni. Da non molto siamo consapevoli che dobbiamo rivederne il rapporto con rispetto, concetto che in alcune culture orientali è da sempre presente”.
Cosa rimarrà nella storia? Come sarà il mondo dopo la pandemia? Il Covid può essere considerato uno spartiacque? Uno di quegli avvenimenti per cui – come guerre e grandi scoperte – si crea una netta separazione tra il “prima” e il “dopo”?
“È stato per tutti un anno che non dimenticheremo. Per alcuni molto difficili, per altri difficilissimi. Famiglie costrette a convivere in spazi limitati, con scarsi mezzi finanziari, scuole chiuse, didattica e lavoro a distanza, chiusura di attività, cassa integrazione. Insomma, una vita stravolta per troppe persone che comunque hanno dovuto trovare e adattarsi a un nuovo equilibrio. E poi il futuro incerto in una situazione politica altrettanto incerta”.
Come valuta i cambiamenti nel mondo dell’informazione?
“La comunicazione mediatica non ha favorito l’informazione, anzi ha alimentato spesso dubbi e angosce e talora conflitto e competizione tra i cosiddetti esperti”.
Come ha trascorso le festività natalizie?
“Con mio figlio e mia nuora”.
Quale è stata per lei la lezione del Covid?
“Ho capito che bisogna riflettere su tutto e rallentare nell’avidità delle esperienze. Fermarsi, rallentare e accontentarsi di quello che c’è di buono. Senza rammarichi”.
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