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L’era del Coronavirus - Intervista al presidente della Fondazione diritti genetici e leader del movimento del '68 in Italia: "Adesso è necessario un colpo di reni da parte di popoli e cittadini"

Mario Capanna: “La pandemia è stata la prova del fuoco per la democrazia”

di Daniele Camilli
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Viterbo – In bilico tra libertà e restrizioni, tra riaperture e lockdown, il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus. Una pandemia che ha colpito il mondo intero, lasciando dietro di sé morti, insicurezze e nuove abitudini.

Con un ciclo di interviste, Tusciaweb propone un’istantanea di ciò che è stato e ciò che sarà, attraverso le parole e gli occhi di grandi personaggi pubblici.


Mario Capanna

Mario Capanna


Mario Capanna è presidente della Fondazione diritti genetici ed è fra i principali leader del movimento giovanile del ’68. Negli anni ’80 è segretario e coordinatore di Democrazia proletaria. Capanna è anche un saggista. Tra le sue opere principali, Formidabili quegli anni (1988), Arafat (1989), Speranze (1994), Il fiume della prepotenza (1996), Lettera a mio figlio sul ’68 (1998), L’Italia viva (2000), Verrò da te (2003) e Coscienza globale oltre l’irrazionalità moderna (2006).


Capanna, come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette col Covid?
“Fortunatamente non ho avuto esperienze dirette con il Covid. Per quanto riguarda invece il lockdown, per me sostanzialmente non è cambiato nulla. Ho continuato a fare quello che facevo. Sulla mia collina umbra, in mezzo al mio uliveto e in una campagna isolata. Lavoro nei campi, salvo i momenti di scrittura e di studio. Sono stato privilegiato, rispetto a chi abita in un appartamento con bambini e in città”. 

Con la pandemia è nata una nuova ed inedita normalità? Come si immagina il futuro?
“Secondo me si è poco riflettuto sull’opportunità di ragionamento che in qualche modo il virus ci ha fornito. E vale il detto che non tutti i mali vengono per nuocere. Il Covid è un nuovo paradigma che ci dice un’infinità di cose. La prima. Siamo inscindibilmente collegati tra noi essere umani e tra noi e la natura. La seconda. Andando avanti seguendo solo le regole del profitto, stiamo riducendo gli spazi degli animali selvatici. E questi vengono sempre più in contatto con noi esseri umani. Terzo elemento. Siamo stati costretti a prendere atto che, citando le parole di papa Francesco, nessuno può salvarsi da solo. Quindi, l’idea di una solidarietà tra gli umani e tra gli umani e la natura. Se dal virus impariamo tutto questo, possiamo inserire una svolta nel nostro modo di pensare, realizzando quella che i greci chiamavano metanoia, cioè mutamento di convinzione, conversione. Questo è necessario”.

Lei è presidente della fondazione diritti genetici. Diritti di cui, fino a non tantissimi anni fa, poco si parlava. Quali saranno secondo lei i nuovi diritti che potrebbero venire fuori da questa stagione dominata dal Covid?
“Innanzitutto il diritto fondamentale che in qualche modo un pensatore come Kant aveva anticipato qualche secolo fa. Il diritto del mondo ad essere rispettato. Quindi bisogna mettere al bando l’illusione antropocentrismo. L’uomo al centro dell’universo. No. Al centro dell’universo c’è la terra e la natura di cui l’uomo è una variabile per certi aspetti trascurabile. Se in un momento di follia l’uomo intendesse sterminarsi, la natura andrebbe avanti. Anzi, magari direbbe finalmente, quegli stupidi bipedi hanno smesso di mettere a repentaglio i miei equilibri. Se capiamo questo, allora il diritto degli esseri umani è un diritto che coincide e si fonde con il diritto della natura ad essere rispettata e il diritto del mondo ad essere salvato. Uno studio di un istituto israeliano ha dimostrato come noi abbiamo reso il pianeta artificiale. Ad esempio, le tonnellate di plastica che abbiamo prodotto superano di due volte il peso di tutti gli animali che abitano la terra. Se ci aggiungiamo il peso delle città, delle metropoli, delle auto e di quant’altro capiamo che abbiamo costruito un mondo innaturale, artificiale. E un mondo così non può durare. L’esperienza del Covid ci può dare degli spunti di riflessione straordinariamente innovativi”.

Farà il vaccino?
“Sono intenzionato a farlo, se non che ho letto che alcune case che lo producono fanno firmare un foglio in cui si dice che gli effetti a lungo termine sono ignoti. Questa è una roba che mi fa accapponare la pelle. Dopodiché si dice anche che in caso si verifichino effetti a lungo termine a risponderne non sarà la casa produttrice, ma lo stato in cui è stato fatto. E questo mi fa riflettere. Dunque, io sono intenzionato a farlo, però ci devo pensare bene perché queste clausole mi sembrano orribili”.

Cosa pensa delle teorie negazioniste o complottiste? Ne è mai stato tentato?
“Non ne sono mai stato tentato. Sono cose cervellotiche. Il Covid non è stato creato in laboratorio, e ci sono studi che ampiamente lo dimostrano, ma è un prodotto della natura che di nuovo deve indurci a riflettere”. 

Come ha passato il Natale?
“L’ho passato in assoluta solitudine e tranquillità, con mia moglie e mio figlio. Una settimana intimamente familiare e bellissima. A riprova che, se abbiamo un minimo di adattamento, si può condurre una vita serena e felice nonostante tutti gli specchietti per le allodole come feste e cenoni”.

Come giudica l’azione del governo Conte? E Salvini, Meloni e Berlusconi?
“Il governo Conte ha fatto molti errori. Alcuni scusabili perché, come per tutti gli altri governi del mondo, si è trovato di fronte a una pandemia. Per quanto riguarda le opposizioni, il mio giudizio è molto severo. All’inizio le opposizioni volevano tenere aperto tutto. Subito dopo volevano chiudere tutto. Un atteggiamento ondivago e per certi aspetti poco responsabile. Tra gli errori commessi invece dal governo, c’è stata questa specie di pioggia di ristori. Per un verso è giustificabile, perché chi ha investito in un negozio o in un ristorante se l’è vista e se la sta vedendo veramente brutta. Però va dato il colpo di reni. Investire per creare un nuovo lavoro, tenendo conto della svolta che il virus ci impone. Come l’economia verde e tutto quel ragionamento di rimessa in equilibrio tra gli umani e la natura”. 

Lo stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia, cultura… Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?
“L’emergenza Covid è arrivata vicina a mettere in discussione lo stato di diritto perché si è privilegiata la decisione di vertice anziché la persuasione. Da questo punto di vista il nostro popolo è stato molto responsabile, applicando di fatto tutte le misure, salvo qualche stupida eccezione. Ma la cosa fondamentale è usare la persuasione e il ragionamento. L’uso dei decreti da parte del governo sta diventando invece una cosa rischiosa. Scavalca il parlamento, non è discutibile. Non va in nessuna sede dove i rappresentanti eletti dal popolo possano discutere e proporre emendamenti. Ecco, questa dei decreti è una strada che non dovrebbe essere più imboccata. Il lavoro di persuasione è quello decisivo”.

Non è la prima volta che l’italia conosce normative emergenziali. Penso a quelle degli anni ’70 per contrastare il terrorismo. Poi, una volta finita l’emergenza, alcune leggi sono rimaste. Sarà così anche per il Covid?
“Il rischio c’è, spero solo che non avvenga. Ma il ragionamento è esatto. In Italia abbiamo già avuto leggi emergenziali che poi sono perdurate a lungo. Spero che quanto prima riusciamo a superare questa emergenza pandemica. Dopodiché non dobbiamo tornare alla presunta normalità di prima. Dobbiamo fare tesoro di tutti gli eventi che vengono fuori da questo periodo e capire che dobbiamo cambiare in maniera radicale i rapporti tra di noi e quelli con la natura. Questo per andare avanti con intelligenza e non per tornare indietro per stupidità”.

La pandemia ha dimostrato la forza della democrazia oppure, al contrario, che per gestire le emergenze se ne potrebbe pure fare a meno?
“La pandemia è stata un po’ la prova del fuoco per la democrazia rappresentativa. Tuttavia la democrazia non è uscita sconfitta. Ma invoca un colpo di reni da parte dei cittadini e dei popoli che devono tornare protagonisti in prima persona. La storia insegna che quando e se le idee camminano sulle gambe delle persone si può sviluppare una forza straordinaria e raggiungere conquiste di cui, non a caso, a distanza di 50 anni godiamo ancora tutti. Non devono prevalere la delega, la rassegnazione e la sfiducia. Altrimenti non si muove niente e la democrazia si infiacchisce. E penso che anche di questo si possa fare tesoro uscendo dalla pandemia. Capire che dobbiamo rinforzare la democrazia con più democrazia”.

L’emergenza Covid ha ridotto sostanzialmente a zero la partecipazione politica e sociale. Secondo lei, una volta superata la pandemia e per certi aspetti già durante la stessa, nel nostro paese non sarà necessario anche un percorso di ricostruzione democratica?
“Non solo è auspicabile, ma è assolutamente fondamentale che torni tra i cittadini, dentro ognuno di noi e nella collettività pubblica e popolare che la vera anima della democrazia è la partecipazione, cioè il gettare, da parte delle persone, cuore e mente nelle decisioni e nel controllo delle stesse. Quindi, finita la pandemia, è necessario che la democrazia sia rivitalizzata attraverso la partecipazione. Altrimenti rischia di indebolirsi”. 

Facendo un po’ di metafisica e tenuto conto del punto di vista privilegiato che ha avuto in quegli anni, cosa sarebbe potuto succedere se la pandemia Covid ci fosse stata negli anni ’70 e non adesso, considerando le tensioni sociali di allora?
“Probabilmente la si sarebbe affrontata con maggiore partecipazione. Non si sarebbe sicuramente sottovalutato il fenomeno, il pericolo e i rischi che ha comportato. Ma essendoci un clima di straordinaria partecipazione, credo ci sarebbe stata maggiore solidarietà e maggiore determinazione nel contrastare il virus”. 

Quanto è distante, politicamente, socialmente, culturalmente, l’Italia di oggi da quella del lungo ’68?
“Purtroppo è molto lontana. E questo perché, ormai, con l’idea del consumismo, per cui utilizziamo le risorse non per vivere ma per consumarle, con l’idea dello sviluppismo e questo micromaterialismo volgare che pervade l’animo della gente, con la caduta della solidarietà, per cui spesso non ci si saluta più nemmeno tra condomini, e con questa rincorsa spasmodica al profitto… ecco, tutto questo ha inaridito l’anima e la coscienza civile delle persone. Siamo molto distanti da quegli anni. E per risalire questa china non basterebbe un nuovo ’68 ma servirebbe qualcosa di più e di meglio rispetto all’epoca. Per indicare anche la crisi di cultura e di coscienza che stiamo attraversando. Però io rimango cautamente ottimista. Non dobbiamo mai dimenticare che la storia riserva delle svolte improvvise. Lo stesso ’68 non fu previsto da nessuno. Nessuno lo ipotizzava”.  

Cosa cambierà sul piano economico dopo l’onda d’urto del Covid? Chi secondo lei pagherà il prezzo più alto per la crisi?
“Ci sono già dei segnali inquietanti. Basta vedere le statistiche internazionali. Chi era già ricco si è arricchito ancora di più. Siamo arrivati alla società dell’1%. L’uno per cento dell’umanità possiede beni e ricchezze superiori a quelli posseduti dal restante 99%. Mai nella storia eravamo arrivati a questo punto. A una così spasmodica concentrazione di controllo delle ricchezze. Anche per quanto riguarda il vaccino contro il Covid abbiamo da una parte l’occidente che fa incetta di milioni di dosi, dall’altra i paesi poveri e medio poveri dove una persona su nove non verrà vaccinata. E questo è un controsenso, perché non avremo l’immunità di gregge finché non vaccineremo più persone possibili. Vedi l’aberrazione del profitto. Allora, la questione di fondo è che dobbiamo capire che servono delle politiche di redistribuzione delle risorse e delle ricchezze. Poi si può discutere se occorre la patrimoniale oppure no. Ma non c’è dubbio che non possiamo andare avanti così, creando questa catena di disparità economiche e di vitalità umana. Bisogna inventare delle politiche che invertano radicalmente la tendenza”.

E in Italia chi pagherà più di tutti la crisi?
“Le persone più deboli. Innanzitutto gli anziani. I giovani, condannati a un futuro di disoccupazione montante. Le donne, che in tempo di lockdown hanno subito le restrizioni maggiori. Siamo alle solite. Chi è più ricco la sfanga e chi è povero è costretto dalla pandemia a diventare ancora più povero. La situazione sociale è drammatica. Se ne parla molto poco perché se ne ha paura. Ci sono tantissime persone per cui la vita quotidiana diventa un problema serio. un problema mettere insieme il pranzo con la cena, l’istruzione dei figli, il vestirsi, il riscaldarsi d’inverno. Anche su questo dobbiamo cambiare gli indirizzi di politica economica che devono volgere a traguardi di equità e non di furbizia e di disparità”.

Il Covid è una rivincita della natura sulla cultura? È stato una sconfitta della scienza? La tecnologia, soprattutto in occidente e nel nord est asiatico, ci aveva illuso di aver posto una grande barriera culturale tra l’uomo e la natura…
“Il Covid è un movimento della natura la quale, secondo me, ci ha detto: “Signori, siete 7 miliardi ad abitare il pianeta. Andate avanti pensando di essere padroni, ma non è così. Io, natura, vi sto dimostrando che in ultima analisi, se non mettete giudizio, siete impotenti. Io sono più forte di voi”. Il virus non è una vendetta della natura, ma un ammonimento che la natura ci dà dicendoci di fare attenzione e cambiare il modo di pensare dotandoci di uno spirito critico altrimenti non ci salveremo”. 

Cosa rimarrà nella storia? Come sarà il mondo dopo la pandemia? Il Covid può essere considerato uno spartiacque? Uno di quegli avvenimenti per cui – come guerre e grandi scoperte – si crea una netta separazione tra il “prima” e il “dopo”?
“Sì, sono convinto che il Covid sia uno spartiacque perché il mondo si è trovato all’improvviso di fronte a una questione inedita e sconcertante. E anche capace di generare preoccupazione e paura. Stando ai dati reali, la situazione è tale per cui nessuno al mondo sa come e quando andrà a finire, e in che forma si concluderà. E chi dice di saperlo, millanta e basta. Non dobbiamo ragionare come se fossimo già usciti dalla pandemia perché ci sono i vaccini. Certo, i vaccini sono importanti, ma il problema è quello di amministrare le nostre vite in modo tale da poterne uscire quanto prima e in solidarietà con tutte le altre persone del mondo. Quindi i vaccini vanno distribuiti a tutti i popoli in maniera proporzionale e non egoistica. il dopo Covid dovrà tener conto che il Coronavirus è stato un nuovo paradigma nell’esistenza degli uomini e niente dovrà essere come era prima. La tendenza a tornare come era prima è da folli”. 

Come valuta i cambiamenti nel mondo dell’informazione? E in quelli dello spettacolo e della cultura?
“Sull’informazione sono molto severo. Oggi l’informazione non c’è più. E la stessa cosa vale per la politica, quella con la P maiuscola. Sia la politica che l’informazione sono ormai diventati delle merci. E la merce è un qualcosa che si fabbrica, si vende e si compra. Come un telefonino, un’automobile o un carro armato. L’informazione e la politica sono diventate simulazione e finzione. E questo è seriamente preoccupante, perché induce la gente a credere che il vasto chiacchiericcio di social e televisioni siano le notizie reali. In realtà sono notizie fabbricate che hanno un fine: omologarti al pensiero dominante e a non costruirti lo spirito critico che è l’unica bussola di salvezza personale e collettiva. Su questo c’è da lavorare tantissimo perché questa cosa pone seri rischi per quanto riguarda la tenuta della democrazia e il suo sviluppo”. 

Quale è stata per lei la lezione del Covid?
“Il Covid ha rinvigorito la mia convinzione sul fatto che dobbiamo sentirci tutti fratelli. Ha rafforzato in me la certezza che bisogna essere solidali. Essere egoisti è stupido. La solidarietà, il condividere, il tenersi per mano, l’aiutarsi reciprocamente può schiudere delle porte incredibili. Mi viene in mente una frase bellissima: “Siamo venuti a questo mondo per amarci e insegnarci l’un l’altro”, come diceva Mozart”.

Daniele Camilli  


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1 febbraio, 2021

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