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Operazione Erostrato - Parla un imprenditore vittima di un attentato incendiario - Contro i dieci imputati di associazione di stampo mafioso è la volta delle 19 parti civili
Strada Querciaiolo – La macchina dell’avvocato Alabiso distrutta dalle fiamme
Maxi rogo al Poggino – Le auto incendiate
Santa Barbara – Il camion della Grazini Traslochi incendiato
Viterbo – Mafia viterbese, dopo lo stop forzato da Coronavirus riprende oggi a Roma in pieno ponte del 2 giugno il processo ai dieci imputati cui viene contestata l’aggravante del vincolo associativo di stampo mafioso.
Delle loro gesta si è parlato abbondantemente nel corso delle due udienze del 27 e 28 maggio del processo in corso a Viterbo ai tre imputati Erasmi-Pecci-Pavel che hanno scelto il rito ordinario. E’ l’operazione Erostrato che l’anno scorso ha smantellato una banda di criminali italo-albanesi che tra il 2017 e il 2018 ha messo Viterbo a ferro e fuoco. Sono i dieci arrestati del blitz antimafia del 25 gennaio 2019 a giudizio col rito abbreviato davanti al gup Emanuela Attura del tribunale di Roma.
Per loro, lo scorso 10 febbraio, nonostante lo sconto di un terzo della pena, i pm Fabrizio Tucci e Giovanni Musarò hanno chiesto pene complessive per 135 anni di reclusione. A partire dai venti anni ciascuno per i boss Giuseppe “Peppino” Trovato e Ismail “Ermal” Rebeshi, difesi rispettivamente dagli avvocati Giuseppe Di Renzo e Roberto Afeltra.
Poi ci sono Spartak “Ricmond” Patozi (16 anni), Shkelzen “Zen” Patozi (14 anni), Gabriele “Gamberone” Laezza (14 anni), Luigi “Gigi” Forieri (12 anni e 4 mesi), Gazmir “Gas” Gurguri (10 anni e 8 mesi), Fouzia “Sofia” Oufir (10 anni e 8 mesi), Martina Guadagno (9 anni e 4 mesi) e il pentito Sokol “Codino” Dervishi (8 anni). Alle pene vanno aggiunti tre anni di libertà vigilata per Trovato, Rebeshi, Forieri, Gurguri, Laezza e Spartak Patozi.
Oggi toccherà agli avvocati delle 19 parti civili, su un totale di 47 parti offese, tra cui spiccano il comune di Viterbo, l’associazione antimafia Caponetto e lo sportello Sos Impresa.
Gli altri sono: l’imprenditore, sindaco di Grotte di Castro e ex patron della Viterbese, Piero Camilli; l’imprenditore viterbese Rinaldo Della Rocca; l’avvocato Roberto Alabiso e la moglie Eleonora Cocciolo; l’imprenditore viterbese Roberto Grazini; Claudio Ubertini e i figli Claudia Ubertini e Enrico Maria Ubertini; il vicebrigadiere dei carabinieri Massimiliano Pizzi; la titolare del compro oro di via Genova Fabiola Bacianini e il marito Stefano Pastura; Emanuele Gorini; il 31enne d’origine romena Ion Lazar; i titolari di compro oro Gabriele Petrini e Eleonora Macrì; Pierpaolo Guarriello.
“Mi devo togliere dai coglioni l’avvocato che mi ha pizzicato”
“Mi devo togliere dai coglioni l’avvocato che mi ha pizzicato”, disse Trovato senza sapere di essere intercettato. Tra gli attentati che hanno fatto più scalpore, l’Audi Q5 data alle fiamme nel giardino di casa dell’avvocato Roberto Alabiso, attuale presidente della camera penale di Viterbo, che con la compagna si è costituito parte civile al processo, assistito dalla collega Eleonora Olimpieri.
Erano circa le 2,45 della notte tra il 26 e il 27 luglio 2017 quando, nella villa in strada Querciaiolo, è scattato l’allarme e il silenzio della notte è stato scosso dalle numerose e forti esplosioni dovute al rogo, che ha fatto scoppiare le gomme e i cristalli della vettura.
“Ci ha svegliato l’abbaiare dei cani – raccontava a caldo a Tusciaweb l’avvocato Alabiso – ci siamo affacciati pensando ai ladri e abbiamo visto l’auto andare a fuoco”. La mattina dopo era in procura a sporgere denuncia: “E’ stata una minaccia, ma non sappiamo cosa ci sia dietro. Ci sono delle ipotesi, dei nomi. L’auto è stata completamente avvolta da fiamme alte quattro metri, che hanno bruciato anche un albero”, disse.
Si è poi scoperto che Alabiso era finito nel mirino di Trovato per aver sostenuto la costituzione di parte civile di una donna in un processo in cui il boss era imputato. Una vendetta. L’attentato incendiario, secondo i pm Fabrizio Tucci e Giovanni Musarò, sarebbe stato eseguito dai sodali Sokol Dervishi e Gazmir Gurguri.
“Rebeshi, uno schiacciasassi che non guarda in faccia nessuno”
Passa qualche mese e subito dopo le festività di fine anno, la notte tra il 4 e il 5 gennaio 2018, un incendio distrugge dodici auto parcheggiate nel cortile della concessionaria D. Auto di Rinaldo Della Rocca, tra la Cassia Nord e il Poggino, dove le fiamme divampano talmente alte da annerire anche la facciata del capannone, mandando in frantumi le vetrate dell’autosalone e propagandosi al cortile della concessionaria confinante, danneggiando altre tre macchine. Della Rocca – parte civile e tra i primi a formalizzare agli investigatori i suoi sospetti – è membro del direttivo provinciale del Silb, il sindacato italiano locali da ballo della Fipe.
E ai locali da ballo corrono subito i suoi pensieri. “Il direttivo – spiega agli investigatori – partecipa a delle commissioni costituite dal comune di Viterbo per il rilascio delle autorizzazioni per i locali da ballo. Durante la commissione di giugno 2017 è stata presentata una richiesta dal Range di via della Palazzina. La richiesta è stata respinta e il titolare, che conosco con il nome di Erman (Ismail Rebeshi, per gli inquirenti, ndr), ha ripresentato la domanda che è stata nuovamente negata. Tale situazione potrebbe aver creato malumori nei proprietari del Range e in particolare in Erman”.
Di Rebeshi disse: “È uno schiacciasassi, non guarda in faccia a nessuno. Se deve fare qualcosa non tiene conto di regole o di rapporti con le persone e va avanti per la sua strada, anche illegalmente. Gode di una cattiva reputazione a Viterbo. Gestisce la discoteca Range e commercia con auto che esporta. Ostenta benessere e sono rimasto colpito dal fatto che ha una delle poche Audi A8 a benzina circolanti a Viterbo”.
“Un gesto – disse l’imprenditore nell’immediatezza -che non fermerà nessuno, tanto meno il sottoscritto e che non impaurirà, anzi rafforzerà la voglia di andare avanti comunque anche sapendo che al mondo esistono vigliacchi e delinquenti del genere”.
“Volevano colpire me e la mia impresa”
“Volevano colpire me e la mia impresa”. Neanche l’imprenditore Roberto Grazini, parte civile con l’avvocato Marco Russo, ha mai avuto dubbi sull’origine dolosa dell’incendio che verso l’una di notte, tra il 7 e l’8 gennaio 2018, nel parcheggio di piazzale Porsenna, a Santa Barbara, ha divorato un autocarro Iveco della sua ditta di trasporti, coinvolgendo nel rogo anche il camion di un cinese, mentre si sono salvati altri tre mezzi di Grazini, trovati cosparsi di benzina.
Secondo gli inquirenti, ad appiccare le fiamme sarebbero stati Trovato e Shkelzen Patozi. “Chi ha appiccato l’incendio voleva bruciare anche quelli, ma non ha fatto in tempo. Forse perché ha avuto un incidente con le fiamme”, disse due giorni dopo a Tusciaweb l’imprenditore. Quella sera, secondo quanto emerso dalle intercettazioni, Trovato avrebbe riportato ustioni di primo e di secondo grado sul viso e sulle mani, che lo hanno costretto a rivolgersi a un dermatologo, il quale gli ha indicato la necessità di una consulenza di chirurgia plastica per ridurre gli esiti estetici.
Il medico, intuito il coinvolgimento negli attentati, fortemente intimorito, si rifiuterà di assisterlo ulteriormente. Grazini, sentito dagli investigatori, disse subito che secondo lui, a Viterbo, era in atto un tentativo di destabilizzare più settori economici per imporre un controllo in chiaro stile mafioso.