Viterbo - Tre indagati in carcere e due ai domiciliari dal 26 aprile - Regge l'impianto accusatorio della procura
Viterbo – (sil.co.) – Usura e tentata estorsione, bocciati dal riesame i ricorsi dei cinque arrestati contro le misure di custodia cautelare eseguite durante il blitz dei carabinieri, scattato all’alba sello scorso 26 aprile, che ha posto fine all’incubo di una coppia di imprenditori di Viterbo finiti nella morsa degli strozzini.
Gli usurai per recuperare le somme avrebbero utilizzato prima le minacce poi le maniere forti, appropriandosi di una vettura e arrivando anche a pestaggi e minacce di violenza sessuale.
Mentre proseguono nel massimo riserbo le indagini coordinate dal pubblico ministero Michele Adragna – ci sarebbero altri due indagati a piede libero – nulla cambia dunque per i due fratelli, entrambi con precedenti, arrestati nell’operazione Drago del 2012, e per la compagna di uno di loro, considerati dagli investigatori le tre figure chiave dell’inchiesta.

Il sostituto procuratore Michele Adragna
Resiste l’impianto accusatorio della procura che ha convinto il gip Savina Poli a emettere la corposa ordinanza chiesta dal sostituto Adragna in seguito alla denuncia di due imprenditori viterbesi, titolari di una pescheria e di un ristorante, ricorsi agli indagati a causa delle difficoltà economiche inasprite dalla pandemia.
Per i tre più pericolosi è stato disposto il carcere, mentre gli altri due sono finiti ai domiciliari: un albanese residente a Terni e un italiano di Castel Giorgio. A tutti e cinque viene contestata la tentata estorsione, mentre l’usura soltanto a quattro.
Per un prestito di 45mila euro, in sette giorni l’usurato ha dovuto restituire ben 60mila euro, oppure per un altro di 90mila, nel giro di poche settimane è stata intimata la somma di 230mila euro. Il gruppo si sarebbe “consorziato” con le vittime, con modalità apparentemente lecite, mettendo delle “quote” e pretendendo nel giro di pochi mesi tassi di interesse usurai fino al 250%.
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