Operazione Underground, uno degli arrestati
Viterbo – (sil.co.) – Traffico internazionale di cocaina, a Viterbo era gestito da due bande di albanesi. Ai vertici il boss di mafia viterbese Ismail Rebeshi e il connazionale Bledar “Bledi” Shtembari, quest’ultimo tra gli arrestati dell’operazione Underground del 13 giugno 2019. Ieri è ripreso il processo al presunto “corriere” di Shtembari, il 41enne Erjon Collaku, catturato un paio di mesi dopo in Spagna. Estradato nel frattempo dal Belgio uno dei due albanesi ancora latitanti, Renato Hasa. Lo ha reso noto durante l’udienza straordinaria che si è tenuta al palazzo di giustizia del Riello il procuratore antimafia romano Corrado Fasanelli.
Davanti al collegio presieduto dal giudice Silvia Mattei un imprenditore viterbese (le cui rivelazioni hanno dato il via alla maxinchiesta coordinata dalla Dda di Roma) e uno dei carabinieri del Norm della compagnia di Viterbo impegnati nelle complesse indagini sfociate in dodici misure cautelari su un totale di 23 indagati (11 albanesi, 7 italiani, 3 macedoni, un bielorusso e un romeno).
Cinquemila euro per la missione
Il militare ha parlato, nello specifico, della quattro giorni viterbese di Collaku, giunto la sera del 10 giugno 2016 a Fiumicino su un volo da Tirana e ripartito dallo stesso scalo alla volta di Marsiglia il 14 giugno, con 5mila euro in più in tasca che, secondo gli inquirenti, gli erano stati dati quale ricompensa per la sua opera di corriere della droga.
Non sapeva, la banda, di avere alle calcagna i carabinieri (che chiamavano “i neri” per via del colore delle divise). Erano specializzati nella “bianca”, ovvero la cocaina, ma avrebbero parlato tra loro anche della “rossa” (eroina) e della “nera” (hashish).
A Viterbo l’imputato ha alloggiato nella casa-laboratorio al civico 11 di via Fernando Molini (tra viale Trento e via Garbini, vicino la stazione di Porta Fiorentina) dove abitavano il “boss” Shtembari, Julian Tare e Renato Hasa (di 46, 30 e 40 anni), noti in città come Bledi, Giulio e Meti.
La banda della Fiesta grigia
La sera del suo arrivo, l’imputato è stato “festeggiato” andando a occultare la droga dentro un tronco in strada Palanzanella. La banda girava abitualmente con una Ford Fiesta di colore grigio, su cui era stato installato un sistema di geolocalizzazione dai carabinieri. Cimici anche nella camera da letto e nel soggiorno dell’abitazione, grazie alle quali sono state captate le conversazioni tramite Skype e Whatsapp usando i quali i sodali pensavano di farla franca.
Droga sparita sulla Palanzana: “Ci hanno fregati”
“Il giorno dopo, 12 giugno, siamo andati a cercare la droga e l’abbiamo trovata in un barattolo di vetro col riso, avvolto nel cellophane e nel nastro adesivo, per preservarla dall’umidità – ha spiegato il testimone – abbiamo sequestrato 130 grammi di cocaina purissima, divisi in 16-17 involucri, ognuno termosaldato. La banda si è accorta che la droga non c’era più il giorno della partenza di Collaku, hanno detto ‘ci hanno fregati’, dando a lui la colpa, sospettando che se ne fosse impossessato”.
In casa la fabbrica della cocaina
Lo stupefacente giunto dai canali esteri veniva confezionato in casa: “Lo abbiamo scoperto grazie agli inconfondibili rumori di sottofondo durante le intercettazioni ambientali. Frullatori, mixer, strappi di nastro adesivo, scartocciamenti, ci lavoravano per giornate intere. Poi la cocaina veniva sotterrata nella vegetazione delle zone residenziali prossime alla città al posto di quella che c’era prima, pronta da avviare allo spaccio”. Ma l’attività artigianale non sarebbe stata attuata nei quattro giorni di permanenza dell’imputato.
Corriere inchiodato dal passaporto
Il presunto corriere Collaku, fino a quel momento ignoto agli investigatori, è stato identificato tramite passaporto durante un “normale” controllo stradale, nei pressi di Porta Romana. “A casa parlava dei trascorsi. Diceva di essere stato arrestato in Grecia per droga e di avere fatto 16 mesi di carcere e che tra amici e parenti c’era chi aveva t anche pene di 20 anni”, ha detto il carabiniere del Norm. Il difensore Angela Porcelli ha fatto però notare che l’imputato è incensurato: “In Italia e ocunque nel mondo”.
Operazione Underground
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