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Tribunale - Durante l'udienza in vodeocollegamento del processo al boss Isamil Rebeshi e al fratello David

Mafia viterbese, il pentito Dervishi parla per la prima volta in aula

di Silvana Cortignani
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Viterbo – Mafia viterbese “bis”, un’udienza straordinaria quella di ieri del processo per estorsione con metodo mafioso ai fratelli albanesi Ismail e David Rebeshi, di 38 e 32 anni. E non solo perché per la prima volta in video collegamento dal tribunale, e non da Mammagialla, con le carceri dove sono detenuti gli imputati. Ma anche perché, per la prima volta, è risuonata in aula la voce del collaboratore di giustizia Sokol Dervishi, citato dal pm Fabrizio Tucci tra i testimoni dell’accusa. 

E’ il 35enne albanese la cui piena confessione si è rivelata una “bomba” per i componenti del sodalizio criminale smantellato con i 13 arresti del 25 gennaio 2019, tra cui i boss Ismail Rebeshi e Giuseppe Trovato. 

Il pentito di mafia viterbese conosceva entrambe le presunte vittime, il ristoratore e il concessionario ex amici di Rebeshi, che il boss dal carcere avrebbe fatto minacciare di morte dal fratello con tre connazionali per recuperare complessivamente una somma attorno ai 13.500 euro. 

Il concessionario, ad esempio, avrebbe affittato a Rebeshi un casale a Tuscania usato come deposito per la droga. “Si sono conosciuti perché entrambi vendevano auto, poi sono diventati amici. Una volta abbiamo caricato 65 chili di erba a Bagnaia, vicino alla superstrada, e li abbiamo portati a casa sua”, ha spiegato.

Ha raccontato davanti al collegio presieduto dal giudice Eugenio Turco anche una sorta di “aneddoto” sul ristoratore: “Rebeshi dava cocaina al ristoratore, 10 grammi a  volta, che però aveva fatto con lui un debito di 2.500 euro. L’ho conosciuto a giugno 2018, quando Ismail si è incazzato e ci ha chiesto di andare a casa sua per minacciarlo e picchiarlo se non pagava. Lui quando ci ha visto ha capito e ha mandato avanti il padre anziano e malato, che si è impegnato a pagare lui per il figlio, come poi ho saputo che ha fatto”.


Sokol Dervishi

Sokol Dervishi


Dervishi, sotto protezione da un paio d’anni, dopo essere diventato collaboratore di giustizia, ha parlato da un “sito riservato”. In pratica non è stato reso noto, alla presenza dei Rebeshi in collegamento audio e video, dove si trovi attualmente. 

Uno per tutti, tutti per uno. Nonostante abbia raccontato di come la “vocazione” di Rebeshi fosse la droga e quella di Trovato i compro oro: “Eravamo un gruppo – ha spiegato Dervishi, su domanda del difensore  degli imputati, Roberto Afeltra del foro di Roma – e come gruppo Rebeshi e Trovato si aiutavano l’un l’altro”.

Non a caso otto dei tredici arrestati nel blitz della Dda sono stati condannati per associazione di stampo mafioso. Anche in secondo grado. Come ha ricordato il pm Tucci, anticipando che produrrà la sentenza d’appello alla prossima udienza.


Mafia viterbese (nei riquadri i boss Trovato e Rebeshi)

Mafia viterbese (nei riquadri i boss Trovato e Rebeshi)


 Il collaboratore ha ripercorso i due anni di intimidazioni e attentati che tra il 2017 e il 2018 hanno scosso Viterbo, parlando anche della genesi dei piani estorsivi ai danni di Piero Camilli, l’imprenditore sindaco di Grotte di Castro ed ex patron della Viterbese. 

“Con Trovato volevamo da Camilli 100mila euro per avere risolto il problema di un terreno suo con dei sardi che da due anni non pagavano l’affitto. Siamo stati chiamati tramite D.C., che conosceva il sardo cui era stato dato l’incarico. Siamo andati e loro alla fine hanno comprato il terreno facendo un mutuo. Camilli ha pagato 5mila euro, mille a me, mille a Trovato e gli altri divisi tra il sardo e D.C.. Poi però scoprimmo che in realtà Camilli aveva pagato 10mila euro. Allora con Trovato siamo andati da lui per farci dire se era vero, poi è venuto il resto”. 


Viterbo La vetrina sfondata del Compro oro di via Genova

La vetrina sfondata del compro oro di via Genova


Dagli atti vandalici alle minacce di morte. “Ho partecipato a tante azioni del sodalizio – ha spiegato il pentito, difeso dall’avvocato Manfredo Fiormonti del foro di Latina – dagli incendi della vetture di titolari di compro oro, sulla vetrina di uno dei quali abbiano scritto ‘dammi i soldi’, alle teste mozzate di animali lasciate come avvertimento. La sera del battesimo di mia figlia, ad esempio, Rebeshi e Trovato sono venuti a prendermi con le teste di maiale già comprate e siamo andati con la mia auto a metterle alla discoteca Theatrò”. 

Quindi i legami del boss Trovato con la Calabria. “Con Trovato siamo anche andati insieme in Calabria, giù abbiamo anche bruciato una macchina. Poi tutti, ad eccezione di Gas Gurguri, abbiamo messo i soldi per pagare le spese a un suo cugino calabrese”.

Silvana Cortignani


Mafia viterbese

Mafia viterbese – Un attentato incendiario


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8 ottobre, 2021

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