La cagnolina jack russell uccisa
Farnese – (sil.co.) – “Gli olivi abbattuti li ho rifatti, i cani uccisi a bastonate li ho persi per sempre”.
Ha raccontato così, con la voce ancora spezzata dall’orrore, il ritrovamento di due dei suoi tre cani massacrati a bastonate la mattina del 19 febbraio 2015 l’ex sindaco di Farnese Dario Pomarè.
“La loro uccisione per me è stata una pugnalata, gli olivi stanno cacciando, i miei cani non sono tornati vivi”, ha detto. Nonostante danni stimati attorno ai 70-80mila euro, il trauma più grosso da superare, per lui, è stato la vista degli animali a lui tanto cari ammazzati in maniera brutale.
E’ entrato nel vivo con la sua testimonianza il processo ai fratelli Marco e Paolo Pira e al padre Antonio, 78 anni, gli allevatori d’origine sarda arrestati il 28 luglio di sei anni fa per stalking, furti e armi. Pomarè, 79 anni, sindaco di Farnese per dieci, dal 1999 al 2009, è l’unico che si sia costituito parte civile, con l’avvocato Elisabetta Centogambe, ma ci sono altre quattro parti offese, tra cui un vicesindaco e un consigliere comunale.
A scatenare la violenza dei Pira la scelta politica del sindaco e della sua maggioranza di fare ordine e riassegnare i terreni a uso civico. E l’esposto presentato contro il comune guidato dal suo successore dallo stesso Pomarè e una quarantina di concittadini, con cui veniva sollecitata la Regione Lazio a inibire la pubblica amministrazione che li avrebbe voluti vendere.
“Alle elezioni di maggio 2014 è stato eletto sindaco uno del mio partito. E questo ai Pira non è andato giù”, ha spiegato Pomarè, individuando nella vittoria politica, che avrebbe riportato in auge la sua volontà sui terreni a uso civico, il movente degli imputati, che sono difesi dagli avvocati Angelo Di Silvio e Giuseppe Picchiarelli.
Dario Pomarè
Torniamo ai cani morti ammazzati. “La mattina del 19 febbraio 2015, io e mio figlio siamo andati in campagna e per prima cosa abbiamo visto un noce grandissimo abbattuto e l’oliveto tagliato per un totale di circa 160 alberi. Avevano tagliato gli olivi centenari con la motosega e a ciocco quelli di 20-30 anni. Poi abbiamo visto cosa avevano fatti ai cani, che per me che sono cacciatore sono persone di famiglia, massacrati a bastonate con un manico di zappa: una segugia maremanna e una jack russel che faceva la guardia alla volpe perché non attaccasse il pollaio”.
“Il terzo cane, che era riuscito a scappare, è tornato con un ematoma sul collo, ma è sopravvissuto alla strage. Abbiamo trovato morte ammazzate anche tutte le galline – ha proseguito – e poi il trattore, il casale e il ricovero agricolo dati alle fiamme, devastati”.Era il 19 febbraio 2015. La notte tra il 20 e il 21 febbraio gli hanno dato fuoco alla macchina sotto casa: “C’era vicino un bombolone, se non se ne fosse accorto un vicino, saremmo esplosi tutti in aria”.
“Prima di prendersela con me, avevano incendiato un casaletto e tagliato gli alberi nella campagna del vicesindaco e fatto danni alla proprietà del suocero di un consigliere comunale di maggioranza”, ha spiegato, dicendo che un carabiniere gli aveva consigliato di prendere il porto d’armi per difesa personale e comprarsi una pistola.
Nessun dubbio, come ha detto al giudice Silvia Mattei, che siano stati loro, indicando soprattutto il padre Antonio e il figlio Marco come presunti responsabili. “Mi hanno perseguitato fino all’anno scorso, facendomi il segno della croce e il dito medio quando li incontro, lasciando peni disegnati sulla porta di casa (abitano nello stesso stabile di tre piani nel centro del paese, ndr). Sono riusciti anche a farmi levare i fucili da caccia, anche se solo per un mese”.
“Noi siamo capaci di fare dispetti anche con la morte”, avrebbe detto la moglie di Antonio Pira alla moglie di Pomarè. “Ovviamente non davanti a testimoni”, ha sottolineato l’ex sindaco, tuttora molto provato per quello che gli è successo quel maledetto mese di febbraio di sei anni fa.
Il processo riprende a marzo.
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