Tribunale - Tra i testimoni del processo a otto imputati, tra cui Gianlorenzo e Birindelli - Tra le cinque parti civili, il senatore Francesco Battistoni
di Silvana Cortignani

L’ex governatrice Renata Polverini
Viterbo – Processo “macchina del fango-Vinitaly”, in tribunale nelle vesti di testimone l’ex governatrice Renata Polverini.
Cinque le parti civili e otto gli imputati nel maxiprocesso, tra i quali il giornalista Paolo Gianlorenzo e l’ex assessora regionale all’agricoltura Angela Birindelli. Tra le parti offese spicca il senatore di Forza Italia e sottosegretario all’agricoltura Francesco Battistoni.
Fatti datati. L’inchiesta denominata “IV Potere” del pm Massimiliano Siddi si è chiusa nella primavera del 2012.
Renata Polverini avrebbe dovuto essere sentita ieri ma, nonostante fosse regolarmente presente in aula, la deposizione dell’ex presidente della Regione Lazio è saltata a causa della diversa composizione del collegio ed è stata rinviata all’udienza fissata alle ore 15 del prossimo 8 settembre.
Al posto del giudice Giacomo Autizi, trasferito all’ufficio gip-gup, è stato infatti nominato giudice a latere, al fianco della presidente Silvia Mattei e della collega Elisabetta Massini, il dottor Francesco Rigato, passato a sua volta dall’ufficio gip-gup al dibattimento. Rigato si è dichiarato però incompatibile, essendosi già occupato del caso in fase preliminare, per cui gli atti sono stati rinviati al presidente del tribunale perché provveda a sostituirlo con un altro magistrato.

Il giudice Francesco Rigato
Otto gli imputati. Oltre al cronista Paolo Gianlorenzo (difeso dagli avvocati Carlo Taormina e Fausto Barili), la collaboratrice Viviana Tartaglini (difesa da Franco Taurchini), l’ex assessore regionale all’agricoltura Angela Birindelli, l’ex patron della Viterbese calcio e imprenditore Giuseppe Fiaschetti, l’impiegato dell’agenzia delle entrate Luciano Rossini, l’ex dipendente della Asl, Sara Bracoloni, l’ex direttore dell’assessorato all’agricoltura Roberto Ottaviani e l’ex commissario straordinario dell’Arsial Erder Mazzocchi.
Sono accusati, a vario titolo, di tentata estorsione, tentata concussione, corruzione, minacce, peculato, abuso d’ufficio, appropriazione indebita, rivelazione di segreti d’ufficio, soppressione di atti, sostituzione di persona e detenzione di arma.
Parti civili l’ex redattore dell’Opinione di Viterbo Daniele Camilli, il politico Francesco Battistoni, l’imprenditore e sindaco di Grotte di Castro Piero Camilli, la Regione Lazio e Antonio Riccardi (il presunto prestanome di Giuseppe Ciarrapico, ex senatore Pdl ed ex editore di Gianlorenzo, il quale si sarebbe spacciato per lui per ottenere informazioni scottanti al telefono).

Francesco Battistoni in tribunale
“Fui talmente screditato politicamente che… “
“Non fui ricandidato alla Regione come consigliere uscente, fui candidato alle politiche ma senza la possibilità di essere eletto, fui talmente screditato politicamente che all’interno dell’allora Pdl non ero più visto di buon occhio”. Così ha raccontato Battistoni in aula, all’udienza del 23 aprile 2019, gli effetti della macchina del fango messa in moto nei suoi confronti dai quotidiani diretti fino al 2012 da Gianlorenzo.
Con la complicità, sempre secondo l’accusa, dell’allora assessore regionale all’agricoltura Angela Birindelli, avversaria dentro la stessa coalizione di centrodestra di Battistoni. Pronta a finanziare il quotidiano a bassa tiratura l’Opinione di Viterbo con 18mila euro per pubblicizzare le attività dell’assessorato, consapevole che in cambio il giornale avrebbe continuato ad attaccare la vittima designata.
“Gianlorenzo usava per me e la Birindelli due linee editoriali opposte. Tanto lei era brava, quanto io ero incapace. L’intento era indebolirmi e farmi fuori dall’attività politica”, ha spiegato Battistoni, ricordando i tanti procedimenti per diffamazione intentati contro il giornalista.
“Gianlorenzo mi disse frasi come ‘spero che ti venga un cancro, ti scanno come un maiale, ti distruggo, ti ammazzo’“, ha riferito al collegio il senatore. “Contro di me ha dato vita a una campagna mediatica distruttiva. Qualunque cosa io facessi, venivo denigrato. Mi si raffigurava con immagini ridicole. Probabilmente davo fastidio. Durante una riunione di redazione, insieme a Piero Camilli, venni indicato da Gianlorenzo come uno dei due nemici da abbattere”.
“In occasione di un torneo sportivo alla Mazzetta, Gianlorenzo mi disse ‘spero che tu muoia’. Poi ci fu il messaggio per cui l’ho denunciato”, ha ricordato il senatore, difeso dall’avvocato Enrico Valentini.
C’era scritto: “Ti prego. Ti supplico. Ti imploro. Chiama Genova e digli di non pubblicare le intercettazioni che riguardano te, Angelucci, il tuo amico… Sono sconvolto al solo pensiero di poterle vedere riportate su un quotidiano. Saluti cari e grazie di qnt riuscirai a fare. Paolo’”.
“Manfredi Genova era il suo editore, per cui lo intesi come una minaccia. Mi faceva credere di essere in possesso di intercettazioni scottanti, tipo Asl, che lui poteva pubblicare. Era come se mi dicesse ‘ chiama Genova e digli di non pubblicare’. Il movente poteva essere il fatto che io, all’epoca presidente della commissione agricoltura, avevo fatto notare agli uffici regionali la non opportunità della determina con cui si davano 18mila euro per la pubblicità delle attività dell’assessorato a un giornale che vendeva pochissime copie sul territorio”, ha spiegato.
Silvana Cortignani
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