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Tribunale - Mafia viterbese bis - In videocollegamento dal carcere l'interrogatorio dei fratelli Rebeshi

Il boss: “Io vittima di truffa” – Il concessionario: “Mi sono pisciato sotto”

di Silvana Cortignani
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Viterbo – Mafia viterbese “bis” al centro del primo processo in videocollegamento che si è tenuto ieri presso l’aula di corte d’assise del tribunale di Viterbo. 

Presunte vittime di estorsione da parte dei fratelli Ismail e David Rebeshi due imprenditori, un 54enne e un 51enne di Viterbo, entrambi legati da rapporti di lavoro e di amicizia con il boss e i suoi sodali, dai quali Ismail, dal carcere, avrebbe preteso la riscossione con metodi mafiosi di vecchi crediti.

E’ stato inaugurato così, ieri mattina, il nuovo impianto che ha permesso la partecipazione all’udienza in collegamento audio e video del boss Ismail Rebeshi e del fratello David, detenuti rispettivamente a Cuneo e Vicenza, e dell’ex braccio destro Sokol Dervishi, il pentito che si trova sotto protezione presso un “sito riservato”.

Per la prima volta le loro voci sono risuonate all’interno del palazzo di giustizia del Riello, nel giorno dell’esame degli imputati, interrogati dal pm antimafia Fabrizio Tucci e dal difensore Roberto Afeltra davanti al collegio presieduto dal giudice Eugenio Turco. Le precedenti udienze si erano tenute nel carcere di Mammagialla.

Ismail Rebeshi si è detto “vittima” e il fratello ha detto di essersi limitato a chiedere il pagamento di somme dovute. Il collaboratore di giustizia Dervishi, invece, ha ripercorso, tra l’altro, la lunga sequela sequela di attentati incendiari, intimidazioni con teste di animali mozzate e quant’altro (una cinquantina secondo l’accusa) cui ha preso personalmente parte nel biennio 2017-2018, gli anni caldi di mafia viterbese che cercava di ottenere il monopolio del traffico di cocaina, dei compro oro e dei locali notturni del capoluogo. 


Ismail Rebeshi

Ismail Rebeshi


Il boss sul ristoratore: “Mik ha truffato col commercialista”

Si è costituito parte civile il ristoratore viterbese intercettato a novembre 2019 nel locale che gestiva a Tuscania dal fratello David con altri tre albanesi (già condannati in primo grado a 9 anni e 4 mesi di reclusione con lo sconto di un terzo della pena dell’abbreviato) per i 4500 euro del fuoristrada “tarocco” acquistato da un commercialista dei Cimini amico suo: il 29 novembre di due anni fa, la parte offesa ha teso al quartetto una trappola, concordata coi carabinieri dopo le minacce “ti bruciamo il ristorante e uccidiamo i tuoi familiari”.

Rebeshi lo ha definito “più di un amico, uno di famiglia”. “Ho inviato una mail dal carcere a mio fratello dicendogli di fare un ultimo tentativo quindi denunciare il ristoratore e il commercialista qualora fosse andato a vuoto. Mi hanno truffato, vendendomi una vettura guasta, della quale non sono mai riuscito a entrare in possesso”, ha detto Rebeshi, un fiume in piena nel tentativo di spiegare le sue ragioni.

Esisterebbe anche una mail in cui scrive a David: “Stai lontano da loro, sono dei truffatori di professione”. 

Nessuna minaccia di morte. Secondo David Rebeshi c’è stato un equivoco. “I miei tre amici hanno detto, parlando tra loro, che se una cosa del genere fosse successa in Albania, sarebbe stato ammazzato”. 


Mafia viterbese - Il blitz dei carabinieri del 28 novembre in cui è stato catturato David Rebeshi, mafia bis, mafia due

 Il blitz dei carabinieri del 28 novembre 2019 a Tuscania in cui è stato catturato David Rebeshi


Il concessionario in aula: “Mi sono pisciato sotto per lo spavento”

L’altra parte offesa è un 51enne viterbese, un commerciante di auto con cui il boss, titolare dell’Autoriga di Bagnaia, faceva affari e dal quale, in quanto a sua volta gestore di locale notturni, Rebeshi aveva affittato un night club a Vetralla nonché un casale a Tuscania usato per lo stoccaggio della droga. L’8 maggio 2017, il 51enne fu arrestato – e poi condannato a 4 anni per spaccio in primo grado – dai carabinieri che trovarono oltre 60 chili di marijuana nascosti nella doccia.

Il fratello di Rebeshi coi soliti tre connazionali avrebbe preteso da lui 9mila euro. “Erano il provento per la rottamazione dei veicoli rimasti sul piazzale dell’Autoriga dopo l’arresto di Ismail e mai versato alla concessionaria”, hanno spiegato David e Ismail.

La vittima, sentita come testimone, ha raccontato in aula l’agguato. Sarebbe stata attirato in una trappola fuori di una concessionaria di Monterosi. “Quando ho capito che non era un cliente per vedere una macchina, sono scappato e loro mi hanno inseguito con due macchine – ha detto – mi hanno bloccato presso un distributore e minacciato di morte. Mi sono salvato chiamando i carabinieri. Quando li hanno visti sono scappati, ma mi sono pisciato sotto per lo spavento”. 

Tra lui e il boss rapporti stretti e di lunga data. Lo scorso mese di gennaio, il commerciante è stato condannato ad altri 4 anni in primo grado per spaccio dal tribunale di Cagliari nell’ambito del processo scaturito dall’operazione Ichnos sfociata nell’arresto, tra gli altri, del boss Rebeshi (condannato invece a sei anni), per l’appunto detenuto dal 26 novembre 2018, al quale due mesi dopo, il 25 gennaio 2019, fu poi notificata in carcere la misura di custodia cautelare disposta su richiesta della Dda di Roma nell’operazione Erostrato. 

Silvana Cortignani


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8 ottobre, 2021

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