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Tribunale - Comunicava con l'esterno anche tramite telefoni cellulari introdotti clandestinamente a Mammagialla

Mafia viterbese, gli ordini dal carcere del boss Ismail Rebeshi

di Silvana Cortignani
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Viterbo – Il boss Ismail Rebeshi dava gli ordini dal carcere di Mammagialla ed è il mandante delle estorsioni a danno di due imprenditori cinquantenni del capoluogo salite agli onori della cronaca come “mafia viterbese bis”.  

Se ne è parlato venerdì al processo in cui è imputato assieme al fratello David di estorsione con metodo mafioso ai danni di un ristoratore e di un concessionario, “debitori” rispettivamente di 4.500 e 9mila euro per una compravendita malriuscita di una vettura da un commercialista e per la rottamazione delle macchine “da sfascio” rimaste parcheggiate nel salone dell’Autoriga dopo l’arresto di Ismail per narcotraffico del 26 novembre 2018. 

Rebeshi, sorpreso a dare ordini dal penitenziario di Viterbo, nella primavera del 2019 è stato poi trasferito in regime di carcere duro, il cosiddetto 41 bis, a Cuneo, dove si trova tuttora detenuto e da dove ha partecipato all’udienza in videocollegamento, così come il fratello e il pentito Sokol Dervishi, supertestimone del pm Fabrizio Tucci della Dda di Roma.


Ismail Rebeshi

Ismail Rebeshi


Ordini dal carcere tramite mail, cellulari clandestini e colloqui 

“A Mammagialla, dove è stato condotto in seguito all’arresto per droga del 26 novembre 2018, Rebeshi aveva attivato tre canali per comunicare con l’esterno”, ha spiegato il colonnello Marcello Egidio, comandante del nucleo investigativo dei carabinieri di Viterbo, durante l’udienza del 7 ottobre davanti al collegio presieduto dal giudice Eugenio Turco.

“Aveva un account di posta elettronica attraverso il quale poter inviare mail, ma approfittava anche dei colloqui, non solo i suoi ma anche quelli di altri detenuti coi propri familiari, per dare direttive, relative sia alla gestione dell’autosalone e dei locali notturni, sia al traffico di droga”.

“Il boss, inoltre, per comunicare con l’esterno – ha proseguito l’ufficiale – utilizzava dei telefoni cellulari fatti entrare clandestinamente in carcere. Non li abbiamo sequestrati, ma li abbiamo intercettati per scoprire quale fosse il contenuto delle conversazioni”.

“Ad esempio – ha spiegato il testimone – inizialmente aveva affidato la supervisione dell’autosalone a Gabriele Laezza, passata poi alla compagna quando Laezza è stato arrestato nell’operazione Erostrato e infine al fratello David quando è uscito dai domiciliari dove si trovava per spaccio in seguito al sequestro, il 3 febbraio 2017, di 38 chili di marijuana”.

“Sempre dal carcere, ha dato disposizioni anche su chi doveva gestire il night club di via della Palazzina e occuparsi di un’altra discoteca che stava per aprire sulla Cassia Sud al posto del Perfidia… prima un uomo di sua fiducia, quindi l’ex fidanzata. Dava disposizioni anche al fratello e, finché è rimasto libero, anche a Giuseppe Trovato”. 


Il pm Fabrizio Tucci

Il pm Fabrizio Tucci della Dda di Roma


Da amici a vittime di estorsione con metodo mafioso

Il pm Tucci si è quindi concentrato sulle presunte vittime di estorsione con metodo mafioso, messa a segno in concorso col fratello e tre connazionali, di cui il boss Rebeshi sarebbe stato il mandante dal carcere.

“Il titolare della concessionaria era dentro la vicenda, è stato anche indagato con Rebeshi nell’ambito dell’operazione Ichnos e assecondava le intimidazioni con le teste mozzate o le minacce di morte al figlio del romeno che aveva preso in gestione il Theatrò. Era a lui che si appoggiava Rebeshi quando gli è stata sospesa la licenza, è nel suo casale di Tuscania che ha nascosto 64 chili di marijuana”.

Poi il commerciante è finito nel mirino del boss per lo “sgarbo” dei soldi della rottamazione. “Rebeshi era così, anche coi sodali era un attimo a farseli andare di traverso, minacciando anche eclatanti azioni punitive, ritorsioni, come nei confronti di Gabriele Laezza e Sokol Dervishi, nonostante fossero entrambi il braccio destro dei vertici del sodalizio”. 

Il locale del ristoratore in viale Trento sarebbe stato addirittura il luogo di ritrovo dei sodali. “Lui e Rebeshi si sono sentiti più volte al telefono, il 24 e il 30 maggio 2018, per parlare del fuoristrada del commercialista, è lui che glielo ha presentato come un affare e gli ha fatto conoscere il commercialista. Di lui Rebeshi si fidava”. 


Articoli: Il boss: “Io vittima di truffa” – Il concessionario: “Mi sono pisciato sotto” – Mafia viterbese, il pentito Dervishi parla per la prima volta in aula

 

 


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10 ottobre, 2021

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