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Mafia viterbese bis - Parla il ristoratore che ha fatto arrestare Rebeshi junior - In carcere il processo al boss Ismail e al fratello David

“Mai avuto paura di Ismail. Era perbene, non ha bruciato la mia Jaguar”

di Silvana Cortignani
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Ismail Rebeshi

Il boss Ismail Rebeshi – A processo per estorsione con metodo mafioso assieme al fratello David


Viterbo – “Mai avuto paura di Ismail. Era perbene, non ha bruciato la mia Jaguar”.

Mafia viterbese bis, è entrato nel vivo ieri a Mammagialla il processo per estorsione con metodo mafioso ai fratelli albanesi Ismail e David Rebeshi, 38 e 32 anni, conosciuti nel capoluogo come Ermal e Indrit. Ermal il boss mandante dal carcere, Indrit l’esecutore materiale. La mente e il braccio. 

Si è parlato anche della Jaguar incendiata a a bagnaia a dicembre 2018. “Mai avuta paura, per me Ismail era una persona perbene”, avrebbe detto una delle presunte vittime, il ristoratore che a fine novembre di due anni fa ha fatto arrestare il fratello minore del boss di mafia viterbese e tre connazionali, già condannati a a 9 anni e 4 mesi ciascuno con l’abbreviato lo scorso 25 novembre. L’anno prima gli era stata bruciata la macchina.

La stampa non era presente all’udienza, che si è tenuta in carcere per permettere agli imputati di presenziare in videocollegamento dagli istituti di pena dove sono detenuti al procedimento davanti al collegio presieduto dal giudice Silvia Mattei.

David Rebeshi è stato arrestato in flagranza con tre connazionali il 28 novembre 2019, Ismail è dietro le sbarre dal 26 novembre 2018. A chiedere il processo è stato lo stesso pm della Dda di Roma Fabrizio Tucci, già titolare col collega Giovanni Musarò dell’inchiesta “mafia viterbese”, della quale la vicenda sarebbe il seguito. 


Il pm Fabrizio Tucci

Il pm dell’antimafia Fabrizio Tucci


Contro i Rebeshi, difesi dall’avvocato Roberto Afeltra, si è costituito parte civile il ristoratore 54enne che sarebbe stato minacciato di morte assieme alla sua famiglia nel locale che gestiva a Tuscania. Sono stati lui e la moglie le prime parti offese a testimoniare.

E nel corso dell’interrogatorio si è parlato anche dell’incendio della Jaguar nera eredita dal padre, andata a fuoco il 20 dicembre 2018, un mese prima dei tredici arresti dell’operazione Erostrato.

Il 54enne, la cui richiesta di aiuto ha fatto scattare la trappola dei carabinieri il 28 novembre 2019, avrebbe spiegato di non avere mai avuto paura di Ermal. Il 38enne è stato condannato il 7 giugno in appello a 10 anni e 11 mesi, con la conferma dell’aggravante dell’associazione di stampo mafioso, in quanto presunto boss del sodalizio criminale.

Sodalizio che, almeno per quanto riguarda la componente albanese, avrebbe continuato a imperversare a Viterbo anche dopo  il blitz, con Ismail che secondo l’accusa avrebbe continuato a dare ordini dal carcere, servendosi ad esempio del fratello per “riscuotere” soldi da destinare alla sua difesa nei numerosi procedimenti penali in cui è coinvolto.

“Non ho mai avuto paura di Ismail, lo ritengo una persona perbene, mai avuto problemi con lui, ho saputo dai giornali di cosa lo si accusava. Io personalmente non ho mai pensato che potesse esserci lui dietro l’incendio della Jaguar, sono convinto che non ci sia lui dietro”, avrebbe detto il ristoratore parlando per l’appunto dell’attentato incendiario messo a segno nella tarda serata del 20 dicembre 2018 nei pressi della sua casa di Bagnaia.

Un rogo, ha fatto notare la difesa, per il quale il boss, che era già in carcere per droga in Sardegna, non è stato mai indagato. La Jaguar del ristoratore, secondo una delle ipotesi investigative, sarebbe stata data alle fiamme solo perché il 54enne sarebbe stato vicino a un altro personaggio, detto “o pugliese”, sospettato dal gruppo criminale di avere rigato la macchina del boss Trovato. 


Roberto Afeltra

L’avvocato Roberto Afeltra


O paghi o ti ammazziamo la famiglia”. Tornando al processo, David e i tre connazionali sarebbero piombati una sera nel ristorante all’epoca gestito dalla vittima a Tuscania e, dopo cena, mentre erano ancora seduti, lo avrebbero chiamato al tavolo e, minacciando di morte lui e la sua famiglia, avrebbero preteso la “restituzione” di 4mila euro. Soldi spesi da Ismail Rebeshi, che era titolare del salone Auto Riga di Bagnaia, per l’acquisto di una macchina Fiat Freemont usata, che sarebbe stata”difettata”, da parte di un commercialista dei Cimini amico del 54enne.  

Verso l’ora di pranzo del 28 novembre 2019, nel centro storico di Tuscania, il quartetto è caduto nella trappola tesa dai carabinieri dopo la denuncia sporta il giorno precedente dalla vittima, che ha finto di essere pronta a versare un primo acconto di 300 euro. Cessione avvenuta sotto gli occhi dei militari.

Due giorni prima, il 26 novembre, sarebbe toccato a un concessionario quarantenne del capoluogo, che sarà ascoltato in carcere la prossima settimana, all’udienza del 18 giugno. Non si è costituito parte civile, per cui partecipa al processo solo come parte offesa. 

Lui, per 500 euro, sarebbe stato inseguito in auto e messo all’angolo in un’area di servizio, quindi costretto con le minacce a versare la somma richiesta.

I 500 euro sarebbero stati il debito che il quarantenne avrebbe avuto nei confronti sempre dell’Auto Riga per un una vettura rottamata nell’estate del 2019. La vittima, intercettata presso la sua attività commerciale, sarebbe stata inseguita da Rebeshi junior e gli altri tre a bordo di due distinte vetture, poi “messa all’angolo” presso la piazzola di sosta di un distributore e costretta con le minacce a versare la somma.

Silvana Cortignani


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12 giugno, 2021

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