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Viterbo - Intervista ai fratelli Alberto e Stefano Calevi, azienda agricola che gestisce 600 ettari fuori le mura - Il mondo rurale, il ruolo della Gdo e quello dei braccianti ai tempi della pandemia - FOTO E VIDEO

“Covid, all’inizio tutti si sono scatenati con gli acquisti… invece da novembre il mondo si è fermato”

di Daniele Camilli
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Viterbo – “All’inizio del Covid tutti si sono scatenati con gli acquisti. Dal 20 novembre a oggi si è bloccato il mondo, le vendite sono diminuite tantissimo”. Alberto e Stefano Calevi, azienda agricola fratelli Calevi. Castel d’Asso. Viterbo. Seicento ettari in tutto, 400 di proprietà e 200 in affitto. Brassiche, meloni e cavolfiori. E’ tra le aziende agricole più importanti in assoluto. Lavora con la grande distribuzione, impiega 150 operai e porta i suoi prodotti in Italia e ultimamente anche all’estero. Germania, Ungheria e Polonia.

“L’azienda agricola – spiegano poi i fratelli Calevi – oggi è qualcosa di molto più complesso da come la si potrebbe immaginare”. Non soltanto produzione e commercializzazione, ma anche logistica dei trasporti e gestione del territorio. Dove tutto deve funzionare alla perfezione. Perché il potere di negoziato nei confronti della Gdo è pressoché nullo e ciò comporta l’intensificazione o meno dei ritmi di lavoro a seconda delle esigenze della grande distribuzione. E per andare avanti, la scelta diventa spesso quella di aumentare superfici coltivate e quantitativi.

Castel d’Asso non a caso è infatti, probabilmente, il luogo più pulito di tutto il territorio comunale. L’erba è tagliata e lungo le strade non c’è un filo di monnezza. Ci pensano direttamente i proprietari terrieri.

Una trasformazione radicale e in continuo movimento. A due passi dalle mura cittadine. Il tutto nel giro di una sola generazione. “Siamo nati a Viterbo, strada Vallalta, vicino Tobia – raccontano Alberto e Stefano Calevi – e siamo figli di contadini. Avevamo un piccolo appezzamento di terreno comprato da nostro padre, Calevi Rino. Circa 10 ettari. Questa è la nostra storia”. 

Oltre al rapporto azienda-Gdo, che in questi anni ha cambiato gli assetti produttivi aziendali e, delle terre attorno, altri due passaggi chiave. La trasformazione della composizione sociale dei braccianti agricoli e la loro condizione di vita. Da un lato i lavoratori dell’est che tornano nei loro paesi di provenienza, dall’altro la crescita del numero di braccianti provenienti dall’Africa sub-sahariana che pone nuove questioni. Così come il ruolo delle cooperative che mettono a disposizione i braccianti. “Un discorso – dicono Alberto e Stefano Calevi – che non ci piace. Noi preferiamo assumere direttamente nel pieno rispetto del contratto nazionale di lavoro”.

Un lavoro, quello agricolo, che deve tener conto anche delle trasformazioni culturali in corso. “Abbiamo rifatto la mensa, gli spogliatoi e i bagni dei lavoratori – dicono Alberto e Stefano Calevi a margine dell’intervista -. A un certo punto ci siamo resi conto che tanti braccianti portavano con sé delle bottigliette di plastica piene d’acqua. Non erano per bere, ma per il lavaggio dei piedi prima della preghiera. Diversi di loro sono musulmani e appena c’è pausa li vediamo pregare. A quel punto abbiamo fatto fare l’aggancio della doccia più in basso. Per facilitarli ed evitare che si portassero appresso le bottigliette di plastica”.

Infine il Covid, con oltre 50 casi in azienda e 90 lavoratori su 150 fuori gioco per tutto il periodo della quarantena. Una situazione gestita assieme alla Asl nel giro di 15 giorni. “Per la Asl – hanno commentato i fratelli Calevi – il Covid tra i lavoratori era dovuto a cause legate al trasporto tra Viterbo e l’azienda e alle condizioni di vita all’interno degli appartamenti”.


Viterbo - L'azienda agricola fratelli Calevi

Viterbo – L’azienda agricola fratelli Calevi


Come nasce l’azienda agricola fratelli Calevi?
“Siamo nati a Viterbo, strada Vallalta, vicino Tobia, e siamo figli di contadini. Avevamo un piccolo appezzamento di terreno comprato da nostro padre, Calevi Rino. Circa 10 ettari. Questa è la nostra storia, come inizia. Poi nel 1981, quando Alberto ha finito di fare il militare, abbiamo messo in piedi questa attività. Tutto quello che guadagnavamo lo reinvestivamo nell’azienda, per farla crescere”. 

Adesso, invece, com’è diventata l’azienda?
“Adesso abbiamo circa 400 ettari di terreno più 200 in affitto. Con noi lavorano 150 persone. Più o meno. Tutti stagionali. In questo periodo sono in pochi a lavorare, perché si fanno solo i trapianti. A volte, in questa fase, si lavora anche una sola volta a settimana. Poi ci stanno i mesi delle raccolte, quando invece lavorano tutti. Ad esempio i meloni, dal 15 luglio a tutto agosto. Oppure i cavolfiori da novembre a marzo. Settembre e ottobre sono mesi più tranquilli”.

Quali sono i prodotti che mettete sul mercato?
“Meloni, cavolfiore, broccolo romanesco, verza, cappuccio”. 


Viterbo - Alberto Calevi

Viterbo – Alberto Calevi


La vostra azienda lavora con la grande distribuzione. Quali sono gli aspetti che, secondo voi, caratterizzano oggi il rapporto tra aziende agricole e Gdo?
“La grande distribuzione chiede soprattutto la continuità del prodotto. Infatti noi cerchiamo con i cavolfiori e le brassiche di coprire tutto il ciclo dell’anno. Piccole quantità in estate, quantità molto più grandi nel periodo successivo, che è poi quello dedicato. La Gdo fa il contratto con le aziende a inizio anno. Ma si tratta di un contratto di fornitura. Non dice di quale prodotto e in che quantità. Poi giorno per giorno arrivano gli ordini. La Gdo decide quello che gli serve e l’azienda lo deve fare. La Gdo acquista quello che vende”.

Che significa?
“Ad esempio, se per un periodo vendono tanto, chiedono tanto. Se vendono poco, chiedono poco. E l’azienda deve riuscire ad avere tanto quando le serve e poco quando non gli serve”.

Ciò vuol dire che un’azienda agricola non può programmare i quantitativi nel medio, lungo periodo…
“Esatto. Un’azienda agricola quando si rapporta alla Gdo lavora all’impronta, giorno per giorno. Molti ordini arrivano il pomeriggio alle 2 e alla sera devono partire perché di notte devono essere consegnati a Milano, Torino, Verona. A volte non c’è nemmeno spazio per la preparazione dell’ordine”.

Quindi, un via vai continuo con l’azienda che gestisce non solo la produzione, dalla coltivazione al confezionamento, ma anche la logistica della sua distribuzione verso i punti della Gdo… 
“Proprio così. L’azienda agricola oggi è qualcosa di molto più complesso da come la si potrebbe immaginare. Il grande movimento di camion che si vede per le strade di Castel d’Asso è dovuto ad esempio al fatto che il percorso che segue non sempre è lineare. Molto spesso è frastagliato. Può darsi infatti che la Gdo ti chieda due pedane per Torino, due per Milano e una per Verona. In tal caso, per ciascuna città è necessario un camion”.

Che rapporto ha la grande distribuzione con i fornitori?
“Negli ultimi la Gdo ha pensato di mettere dentro tanti fornitori in modo che non le mancasse mai il prodotto. Il prodotto deve stare per forza sul banco e non deve mai mancare. Quindi la Gdo fa riferimento a tanti fornitori perché se uno ha un problema, allora c’è l’altro. Non solo, ma fornitori di varie zone del paese”.

E questo che conseguenze comporta?
“In questo modo è stato frazionato tutto. E tutti giriamo l’Italia per una o due pedane”.

Tutti utili e nessuno indispensabile, quindi. Indipendentemente anche dalle superfici di terra coltivate e dai quantitativi prodotti…
“Esatto”.



In passato come era?
“Vent’anni fa con un cliente stabilivi una certa quota di prodotto. Magari con un solo cliente facevamo 20 pedane solo per lui. Adesso no. Oggi magari te ne chiedono tre”.

In questo modo, girando l’Italia solo per una o due pedane, non c’è anche il rischio di finire col girare a vuoto con conseguenti costi di produzione aggiunti e non previsti per l’azienda?
“Proprio così. Con la Gdo che avrà sempre un fornitore cui far riferimento”.

Chi decide il prezzo dei prodotti?
“In agricoltura, sulle materie prime che acquistiamo ci fanno il prezzo. Quando poi andiamo a rivendere alla grande distribuzione, la Gdo fa di nuovo il prezzo. Noi stiamo nel mezzo e non possiamo dire ho speso tot e devo vendere a questo prezzo. La Gdo ci dice infatti: ‘compro solo a questo prezzo. Sopra non compro’. Quindi noi siamo costretti ad aumentare le quantità per rimanere in piedi”.

E la possibilità di negoziare il prezzo?
“Con la grande distribuzione non ce n’è”. 


Viterbo - Stefano Calevi

Viterbo – Stefano Calevi


Come è stato l’anno del Covid da punto di vista della produzione?
“Quando è iniziata l’emergenza si sono tutti scatenati con gli acquisti. E non bastava il prodotto per quante erano le richieste. Un vero e proprio boom. Anche se per noi non è cambiato niente. Il prodotto è quello che abbiamo sui campi, non di più. Anche durante l’estate del 2020 si è venduto discretamente. Dal 20 novembre a oggi si è bloccato il mondo, le vendite sono diminuite tantissimo”.

Che ripercussioni ha avuto?
“Per quanto ci riguarda, abbiamo dovuto trovare altri clienti rispetto a quelli che avevamo già. Altrimenti non riuscivamo a vender tutto il prodotto. Anche la vendita da parte della Gdo è diminuita. A occhio, un venti per cento circa”. 


Viterbo - L'azienda agricola fratelli Calevi

Viterbo – L’azienda agricola fratelli Calevi


Ci sono stati casi di Covid all’interno della vostra azienda?
“A marzo del 2020 abbiamo avuto 52 casi di Covid in azienda tra i lavoratori”. 

Come avete gestito la situazione?
“Abbiamo fatto prima due cicli di tamponi privatamente appena ci siamo resi conto. Subito è intervenuta anche la Asl facendo anch’essa i tamponi, circa 4-5 cicli, e aiutandoci molto”.

A cosa era dovuto il Covid, siete riusciti a capire le cause?
“Per la Asl il Covid tra i lavoratori era dovuto a cause legate al trasporto tra Viterbo e l’azienda e alle condizioni di vita all’interno degli appartamenti. La Asl è venuta a fare i controlli in azienda tutti i giorni. Abbiamo sempre rispettato tutte le regole previste dalla normativa anti Covid. Abbiamo anche fatto fare dei gruppi tra i lavoratori con nomi e postazioni, in modo che se veniva fuori un caso, perdevamo solo le persone di quel gruppo, mentre gli altri potevano continuare a lavorare. A mensa abbiamo segnato tutti i posti, facendo due turni per il pranzo. Nel giro di 15 giorni abbiamo risolto tutto”.

Di quanto si è ridotto il numero dei lavoratori in quei giorni?
“Circa una novantina di persone su 150 lavoratori. Tra una cosa e l’altra. Cioè tra persone che hanno contratto il Covid e persone costrette alla quarantena perché lavoravano insieme. Questo è stato il picco più alto. Per una settimana, due, ci siamo trovati in seria difficoltà”.

E come avete fatto?
“Fortunatamente in quel periodo ha fatto più freddo del solito e il prodotto si è maturato più lentamente. Avevamo poco prodotto e siamo riusciti a gestirlo ugualmente. Abbiamo anche tagliato qualche ordine, spiegandone i motivi. Perché con la grande distribuzione se si taglia un ordine si è fuori. Ma in questo caso non era possibile fare altrimenti e la Gdo ha accettato tranquillamente”.


Viterbo - L'azienda agricola fratelli Calevi

Viterbo – L’azienda agricola fratelli Calevi


Ci sono state perdite di fatturato in questi ultimi mesi?
“Negli ultimi mesi sì, circa un 10%. Prima no. Abbiamo comunque recuperato perché quest’anno abbiamo fatto più prodotto piantando più ettari e raggiungendo il fatturato previsto. Cercando anche clienti nuovi perché il prodotto non sarebbe stato assorbito dai clienti con cui già stavamo lavorando. Soprattutto all’estero”.

Dove?
“Germania, Ungheria, Polonia. Alla fine siamo riusciti a vendere”.


Viterbo - L'azienda agricola fratelli Calevi

Viterbo – L’azienda agricola fratelli Calevi


Negli ultimi anni sono state diverse le inchieste delle forze dell’ordine che hanno evidenziato la presenza del caporalato anche nella Tuscia. A tal proposito, quale è la situazione nelle campagne del viterbese?
“Da noi i lavoratori vengono assunti regolarmente nel rispetto del contratto previsto dalla legge. Facciamo tutto il possibile per stare dentro le regole. Contratti, disoccupazione, giornate segnate. Non assumiamo nessuno senza contratto”.

C’è stato mai qualcuno che vi ha proposto braccianti da impiegare sui campi?
“No, da queste parti non c’è nessun tipo di caporalato. Nemmeno tra le aziende della Tuscia che conosciamo. I braccianti vengono al lavoro per conto proprio. Chi in bicicletta, chi in macchina, anche più persone, chi in motorino”.

Nemmeno da parte di qualche cooperativa?
“Sì, ma non ci siamo mai avvalsi dei loro servizi. Sono cooperative regolari, ma l’assunzione di personale fatta così è un discorso che non ci piace. Preferiamo assumere i lavoratori direttamente”.

Perché non vi piace?
“Perché queste cooperative assumono la manodopera e poi la mettono a disposizione. In tal caso io dovrei pagare la cooperativa che poi paga il lavoratore. Ma io non lo so se l’operaio viene pagato e se i contributi vengono versate”.

Quante cooperative vi chiamano durante l’anno?
“Sono tante le cooperative che chiamano e propongono lavoratori. Proprio in questi giorni ci ha chiamato una cooperativa”.

E cosa vi ha detto?
“‘Intanto firmate un contratto poi quando serviranno le persone c’è già un contratto firmato'”.

E voi cosa avete risposto?
“Abbiamo detto no. Non firmiamo niente”. 

Il rapporto con i sindacati invece come è? Sono presenti in azienda?
“Sì, siamo sempre in contatto con i sindacati. Per pratiche legate al lavoro e ai permessi di soggiorno”. 

Avete mai avuto controlli in azienda da parte delle forze dell’ordine?
“Sì. Ne abbiamo almeno due ogni anno. Guardia di finanza, ma anche agenzia delle entrate, Inps, ispettorato del lavoro. E tutti i verbali sono stati regolari. Non è mai emerso niente di irregolare”.


Viterbo - L'azienda agricola fratelli Calevi

Viterbo – L’azienda agricola fratelli Calevi


Come si struttura la forza lavoro della sua azienda? Da dove vengono i braccianti?
“La quasi totalità sono stranieri. Su 150 braccianti soltanto 10 sono italiani. Per il resto, sono rumeni, polacchi, bulgari, continente indiano e africani. Gli africani soprattutto negli ultimi anni. Perché i lavoratori dell’est stanno quasi tutti tornando nei loro paesi. Stando in Italia sono riusciti a mettersi via dei soldi e a costruirsi casa nel paese di provenienza”. 

E i figli che fanno?
“Restano in Italia, studiano e fanno altro rispetto ai padri”.

I lavoratori dell’est sono ancora i braccianti che hanno le qualifiche più alte tra quelle previste dal contratto?
“Sì, guidano i mezzi e fanno lavori un po’ più delicati”. 

Come avete detto, aumenta il numero di braccianti provenienti dall’Africa, mentre diminuisce notevolmente quello proveniente dai paesi dell’Est. Come cambia il rapporto datore di lavoro-bracciante rispetto a prima quando a prevalere erano operai provenienti dall’Est Europa?
“Finché c’erano polacchi, bulgari e rumeni si lavorava molto meglio. Sono più veloci e si adattano a fare tutto. Con i lavoratori provenienti dall’Africa è molto più difficile. Conoscono poco il lavoro e rendono pochissimo. E non è ovviamente una questione razziale”.

E a cosa è dovuto? 
“Non vogliamo assolutamente offendere nessuno, ma rendono di meno”.

Invece, secondo voi, che tipo di rapporto hanno i braccianti con l’azienda?
“Un rapporto di collaborazione. Tant’è vero che diversi lavoratori ritornano. Anche dall’estero dove pensavano di stare molto meglio”. 


Viterbo - L'azienda agricola fratelli Calevi

Viterbo – L’azienda agricola fratelli Calevi


Dal vostro punto di vista, come è cambiato il mondo agricolo nel corso degli anni?
“Prima si faticava molto di più, adesso molto meno. Prima il prodotto lo tiravi fuori a mano e lo caricavi a mano portandolo in un piazzale per caricarlo di nuovo su un altro camion. Adesso l’operaio taglia la testa del cavolfiore e la lancia nel cassone. E’ sempre un lavoro faticoso, ma al massimo lanci due chili. Una volta tiravi su le cassette”.

Come è cambiata invece la gestione dell’azienda vostro padre a voi?
“Un tempo eravamo contadini. Oggi siamo imprenditori e bisogna affrontare anche tutta una serie di situazioni di carattere più prettamente economico. A partire dal rapporto con la grande distribuzione. Una volta bastavano 4, 5 ettari per viverci. Oggi devi avere un grosso volume di lavoro per guadagnare quanto guadagnava mio padre 40 anni fa. Sono aumentate le spese, tantissimo, mentre il prezzo, rispetto al passato, è diminuito. Anche perché produrre è più facile. Per quanto riguarda i costi, ad esempio, in passato l’imballaggio veniva riutilizzato. Adesso lo puoi utilizzare una volta sola o usare solo un certo tipo di imballaggio”.

Un’azienda agricola, per poter essere definita tale e sopravvivere, di quanti ettari di terreno ha bisogno?
“Se parliamo di ortaggi, un’azienda deve avere almeno 40-50 ettari. Sotto, non si riesce più a vivere. O fai dei prodotti di nicchia che li vendi diversamente oppure, se vuoi lavorare con la grande distribuzione devi fare i numeri”.

Daniele Camilli


Multimedia: Fotogallery: L’azienda dei fratelli Calevi – Video: Il lavoro all’interno dell’azienda

– “Non abbiamo mai accettato il caporalato e non accetteremo mai cose di questo genere”


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21 giugno, 2021

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