Corso Italia 68
Viterbo – “Sono un contingentatore e non faccio salire le persone al di fuori degli appuntamenti”. Claudio Bucossi. Se vai al Corso, Viterbo, al civico 68, lo trovi sempre lì. “Ho visto chiudere negozi e aprirne qualcuno. Ho visto la desolazione del lunedì mattina, del martedì e del mercoledì. E la gente impaurita. La paura di camminare, passeggiare e stringere la mano. Ho attraversato così tutta l’emergenza Covid, dall’inizio e fino ad oggi”. Navi da combattimento in fiamme al largo di Orione, Blade Runner.
Viterbo – Claudio Bucossi
Claudio Bucossi è il contingentatore della Uil. 55 anni, di Santa Barbara. Lavoratore. Sindacalista che sta sul portone davanti a largo Cesare Battisti e che dal 4 marzo del ventiventi, da un anno e mezzo a questa parte, fa entrare uno alla volta, piazza gli appuntamenti, dà le prime spiegazioni e indicazioni. E quando capita, pure conforto. Il contingentatore, figura nuova nata col Covid, ma che di fatto ne rispolvera una dimenticata da tempo. Quella del militante sindacale che informava le persone prima che entrassero a contatto con le strutture sindacali. Anzi, quello era il primo contatto. La consapevolezza dei propri diritti. Il punto d’aggancio con i quartieri attorno. Tra via Mazzini e San Faustino.
Viterbo – Corso Italia 68
“Sono infatti molte le persone – spiega Bucossi – che vengono giù dalle vie qua attorno perché chiedere informazioni sui propri diritti. Disoccupazioni, contratti, buste paga, affitti, condizioni di vita. La vita del lavoratore, quella di chi sta in campagna e sui cantieri. In particolar modo lo straniero che poi la sera torna a vivere in appartamenti sovraffollati e senza tanti complimenti. Con muffa e umidità sui muri. Uno spaccato sociale – prosegue Bucossi – che caratterizza le vie del centro storico. Ma rispetto a qualche anno fa, la richiesta non riguarda più soltanto, ad esempio, il reddito di cittadinanza, i soldi, ma anche i contratti e altri aspetti della normativa. Adesso, la richiesta che emerge punta tutto e dritto sui diritti della persona e del lavoratore”.
Viterbo – Claudio Bucossi
“Sono un contingentatore – dice subito Bucossi -. Non faccio salire le persone al di fuori degli appuntamenti”. Scandisce bene le perone, Bucossi. “Con-tin-genta-to-re”. Perché la “professione” è nuova e all’impatto disorientante. Dopodiché, “Bi, U, cci, O, esse, esse, i”. “Bu-co-ssi”. “Non Bukowski, come il poeta”, anticipando così l’inevitabile confronto sonoro. Anche se poi pure Bucossi è schietto, spiccio e simpatico. L’accento è romano, anche se lui è viterbese di Santa Barbara, quartiere popolare con più di 12 mila abitanti a nord della città. Un pezzo d’area metropolitana a una novantina di chilometri da Roma, laboratorio urbano dove la contaminazione tra culture, lingue e suoni. Col viterbese dall’accento romano e l’immancabile “dio caro”. Una trasformazione frutto di contraddizioni sociali nuove ma presenti almeno da un paio di decenni e tipiche di un contesto urbano metropolitano. Dove fra l’altro sta venendo su una nuova classe di lavoratori, operai e braccianti, figlia e prodotto di queste contraddizioni di un meeting pot di lingue, culture e strutture ancora tutta da esplorare. Ma che sembra stare lì, pronta, ai nastri di partenza e che da qualche anno a questa parte, in nome dei diritti, e grazie anche all’enorme lavoro fatto dall’associazionismo laico e cattolico, si sta mano mano affermando all’interno delle organizzazioni sindacali.
Viterbo – Corso Italia 68 – Uil
“Le persone vengono al portone – continua a raccontare il suo impegno quotidiano Claudio Bucossi -, io prendo i dati e li trasmetto al sindacato. Poi la persona viene subito contattata per fissare il giorno dell’appuntamento. La giornata si svolge tutta così”. Anche se non proprio.
Perché poi “molti – aggiunge Bucossi – chiedono informazioni su come fare le cose. E qui si cerca di dargli già una prima spiegazione. Poi le indicazioni necessarie le danno i sindacalisti. Si cerca di aiutare le persone in un momento in cui c’è una grande esigenza di sopravvivere. Perché qui si parla di sopravvivenza. Ci sono famiglie ridotte all’osso, ragazzi stranieri che non sanno cosa fare e dove trovare lavoro. Molti non sanno nemmeno la lingua”. E quando arrivano al portone sono soprattutto braccianti agricoli che abitano nei quartieri a ridosso del sindacato.
Viterbo – Centro storico
“I problemi – continua Bucossi – sono soprattutto di natura contrattuale, diritti. Io li mando di sopra al terzo piano dove c’è la Uila, perché qui ci sono Awa e Abdel”. Awa è del Mali, Abdel algerino e collaborano alla segreteria tecnica della Uila diretta da Antonio Biagioli. Awa e Abdel parlano l’arabo e altre lingue nazionali. Un tempo con gli stranieri i sindacati andavano avanti a “gesti”, adesso invece ci si capisce perfettamente. Con i lavoratori stranieri, che oggi in alcuni settori economici sono la maggioranza, che portano all’interno delle strutture sindacali bisogni sempre più radicali che chiedono di essere affrontanti prendendo di petto non solo la questione salariale, ma l’intera questione lavorativa ed esistenziale, come vivono, ad esempio, nei quartieri, del lavoratore.
Viterbo – Antonio Biagioli della Uila
“Una richiesta – fa notare il segretario generale della Uila, Antonio Biagioli – che porta con sé anche l’esigenza di confrontarsi con la parte datoriale non più singolarmente, ma in modo organizzato all’interno di strutture collettive. Come appunto i sindacati e perché, così, veramente, si è più forti. Più forti i lavoratori, più forte il sindacato. Più forte il sindacato, più forti i lavoratori che all’interno delle singole realtà lavorative devono avere rappresentanze autonome, e che devono esprimere quello che è il tessuto lavorativo interno ad un’azienda. Se i lavoratori sono in maggioranza stranieri, la rappresentanza sindacale deve rispecchiare questo dato. Perché porta con sé bisogni ed esigenze nuove. Nuove condizioni di vita che devono avere voce. Rappresentanze in grado di stabilire con la parte datoriale un rapporto che sia conflittuale e al tempo stesso teso anche a stabilire fronti comuni. E per quanto riguarda l’agricoltura, possono essere ad esempio il contrasto al fotovoltaico, il rapporto con la Gdo e il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori nei contesti urbani in cui vivono. Come l’affitto che pagano e il modo in cui è ridotta la casa in cui vivono. Tanto per dirne un paio”.
Awa e Abdel stanno al sindacato di via del Corso tutti i giorni. In filo diretto con Claudio Bucossi. E il vai e vieni è continuo. Dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 e 30. Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì.
Viterbo – Corso Italia 68 – Uil
“Un lavoro che stiamo portando avanti da tempo – prosegue Biagioli – e che assieme a Flai Cgil e Fai Cisl ci ha permesso di firmare con la parte datoriale uno dei contratti provinciali per i braccianti tra i più avanzati di sempre. Riconoscimento della paternità, maternità al 100%, permessi di lavoro per le festività religiose non cattoliche e un centro antiviolenza, proposto fra l’altro dalla parte datoriale, erano diritti sconosciuti per i braccianti della Tuscia. E il segreto per arrivare a questo risultato è uno soltanto: lavorare con i braccianti, vivere con i braccianti, lottare con e per i braccianti”.
Viterbo – Corso Italia 68
“Arrivano ogni giorno – racconta Claudio Bucossi – dalle 20 alle 30 persone. Poi in coincidenza con precisi appuntamenti sindacali, tipo disoccupazioni, trasferimenti, scuola, si arriva tranquillamente pure a una sessantina di persone al giorno”.
Mentre poi aspettano di sotto al 68 di Corso Italia, le persone in attesa chiedono già informazioni. E lo chiedono a Bucossi. “Le richieste sono di tutti i tipi – spiega -. Quelle che vanno per la maggiore sono l’aumento della pensione, cosa che fra l’altro non è possibile, ma diversi lo chiedono, e il reddito di cittadinanza. La gente chiede soldi da mangiare. Mangiare e soldi”, ripete.
Un servizio, quello di Claudio Bucossi, che ha permesso al sindacato di filtrare le persone ed evitare i contagi, Bucossi sta di sotto anche con disinfettante, mascherine e misuratore della temperatura, rendendosi poi conto anche di un’altra cosa. “La riservatezza – sottolinea Bucossi -. Prima del Covid si saliva al sindacato e si riempivano i corrodoi. E tra una cosa e l’altra capitava anche di sentire il problema della persona che avevi davanti. Adesso invece si sale uno per volta e si è a tu per tu con il sindacalista, e con tutta calma. Un rapporto diretto e senza stress che non si conosceva più da anni. E questo ha permesso veramente di sburocratizzare il sindacato. Non perché il sindaco sia burocratizzato, ma perché quando hai davanti alla tua porta una trentina di persone che vogliono parlare con te, la fretta ti porta sempre, alla fine, a trascurare il lato umano che invece oggi, con questa modalità, paradossalmente viene recuperato. A causa dei distanziamenti ho però la possibilità di scambiare un confronto diretto, immediato e franco con il sindacalista che ho di fronte”.
Viterbo – Il centro storico
C’è poi il lato umano, il vero compagno di strada del lavoro sindacale. E l’impatto con la realtà che comporta. “Quando decidi di fare attività sindacale – dice Bucossi -, l’impatto è sempre forte. Perché è una realtà che non ti aspetti, per quanto poi te la possa immaginare. Nel momento in cui entri ti rendi conto che è difficilissimo. Le vicende che conosci lasciano veramente il segno. E con le persone stabilisci un rapporto di fiducia, e ti raccontano delle loro vite. Un lasciarsi andare per esorcizzare la paura del momento. Ti parlano della famiglia e della condizione economica che vivono. Spesso è toccante”.
La società prima del Covid e quella che ne sta uscendo. Claudio Bucossi, in più di un anno e mezzo, se l’è vista scorrere davanti. “E la differenza è stata notevole. Prima tra le persone il rapporto era conviviale. Durante il Covid poi ho visto arrivare il timore che adesso si sta affievolendo e lo capisci anche dalle battute che la gente fa e che prima non faceva. E la sensazione è stata questa. Più aumentava l’asticella della paura, più la gente gli stava appresso. Come una fisarmonica, che si apre e si chiude”.
Viterbo – Corso Italia 68
Infine, la solitudine. Claudio Bucossi sta a Corso Italia 68 dal marzo del 2020. Lo ha visto svuotarsi e poi di nuovo riempirsi. Una presenza, la sua, che è stata in qualche modo sentinella di vita quando in giro non c’era veramente più nessuno.
“Stare da solo al Corso è stato terribile – confida Bucossi – E’ stato terribile”, ribadisce. E poi, come il Blade Runner di Ridley Scott alla fine del film. Due punti, aperte virgolette: “Ho visto chiudere negozi e aprirne altri. Ho visto la desolazione del lunedì mattina, del martedì e del mercoledì. Ho visto la gente impaurita. L’unico aggettivo che mi viene in mente. La paura di camminare, passeggiare e stringere la mano. Ed è stato terribile. Certo – conclude – stiamo tornando alla normalità e si percepisce dappertutto. Però la crisi è palpabile, così come il fatto che quello che succederà domani… non lo sa veramente nessuno”.
Daniele Camilli
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