Viterbo – Boniface Okolia ha trent’anni e non ha né un lavoro, né cibo, né medicine. Boniface Okolia ha soltanto gli abiti che si porta addosso, uno sopra l’altro, che fanno di lui un uomo da tanti chili in più rispetto a quanti ne può pesare uno che, invece, ha fame e ha sete. In questi tempi di così poca giustizia.
Bonifice Okolia tutti i giorni sta seduto da qualche parte a Viterbo. Ultimamente tra corso Italia e via Matteotti. Dove stava l’altro giorno, col freddo che c’era e che sul volto e sulle mani lo senti eccome. Anche se sei carico di vestiti come Okolia, che poi ti piegano le gambe quando cammini e piantano a terra come il cemento quando invece ti fermi.
Viterbo – Boniface Okolia
“Non ho un lavoro, non ho da mangiare e non ho medicinali”, dice Boniface Okolia, e lo ripete a più riprese. L’Abc della sopravvivenza, in tempi di Covid. In mezzo a una strada. Seduto su un gradino a due passi dall’Inps. Alle spalle una pubblicità sulle pensioni. Di lato una valigia vuota, marrone.
Okolia sta in Italia da vent’anni. E’ arrivato con il barcone dalla Libia. E in Libia, dove è rimasto per due anni, dalla Nigeria. Da dove è partito. “Ho fatto prima il muratore – l’italiano di Okolia è stentato – poi ho lavorato in agricoltura”. Campi e cantiere, e le condizioni di lavoro che li caratterizzano.
Viterbo – Boniface Okolia
Boniface Okolia a Viterbo è conosciuto. Perché si porta addosso decine a decine di abiti. Chili e chili di cose che si trascina da un lato all’altro della città. In cerca di aiuto. Tutto il giorno. Tutti i giorni. Estate e inverno. Le stesse scarpe. A volte, si dice, prende il treno e si sposta in altri paesi della Tuscia. Per poi fare ritorno nel capoluogo e sedersi per ore in punti diversi, tra Sacrario, Corso, piazza Verdi e via Garbini.
Boniface è un ragazzo nigeriano. Come tanti altri giovani operai e braccianti a Viterbo. Molti di loro sfruttati e costretti in condizioni di vita difficili. A volte poverissime. Sotto gli occhi di tutti.
Viterbo – Boniface Okolia
A Viterbo la popolazione nigeriana rappresenta il 3,6% degli stranieri. Nel 2015 la percentuale si attestava attorno allo 0,8%. Oggi è una delle componenti immigrate più importati. 225 persone. 146 uomini e 79 donne. Molti lavorano come braccianti agricoli stagionali. Diversi, per un improvviso cambio di sorte, precipitano in povertà. Alcuni di loro in miseria. Senza nessuna tutela.
Boniface Okolia è gentile con tutti e scambia sempre due parole volentieri. E’ anche una persona cui la gente che passa, di solito schiva, gli rivolge invece uno sguardo affettuoso. E spesso, in tempi piuttosto avari, allunga pure qualche euro dentro al cappello verde che Boniface mette di solito a lato.
Okolia infine è un Ibo, uno dei più grandi gruppi etnici africani. Circa 30 milioni di persone in tutto il continente. In Nigeria rappresentano il 17% della popolazione.
“Come passo la mia giornata? La mattina esco di casa, abito con mio fratello – racconta Boniface Okolia -. Poi vado a mangiare alla Caritas. Nel pomeriggio chiedo l’elemosina e con quello che raccolgo metto insieme la cena. Alla fine torno a dormire da mio fratello”. Il giorno dopo. E il giorno dopo ancora.