Marta – Il porto sotto sequestro
Marta – “Il porto di Marta ha una singolarità rispetto a Bolsena e Capodimonte, non è per ormeggiare le barche”. Funzionari della Regione Lazio tra i testimoni di ieri del processo a sindaco, ex sindaca e dirigente comunale.
“La Regione voleva fare un porto a Marta, non un’opera idraulica contro l’insabbiamento”. Un porto vero e proprio, per 300-400 imbarcazioni da diporto, secondo il maresciallo Ettore Casaburi del nucleo navale della guardia di finanza, sentito all’ultima udienza utile del processo che era stata celebrata il 22 dicembre 2020.
Ieri il testimone è tornato in aula, alla ripresa del processo dopo quasi un anno, senza poter però aggiungere nulla alla sua precedente deposizione: “Sono in pensione – ha spiegato davanti al collegio presieduto dal giudice Eugenio Turco – ho chiesto, ma mi è stato negato l’accesso agli atti”. Nel frattempo è stata disposta anche l’integrazione del fascicolo del processo con tutta la documentazione contenuta nell’informativa consegnata alla procura in cui si farebbe esplicito riferimento alla realizzazione di un porto a Marta.
In aula ieri era presente anche il neo rieletto sindaco Maurizio Lacchini, imputato assieme all’ex sindaca Lucia Catanesi e al responsabile dell’ufficio tecnico Giacomo Scatarcia (difesi dagli avvocati Carlo Mezzetti, Roberto e Francesco Massatani e Giovanni Labate). Ai tre sono contestate alcune violazioni alla normativa ambientale. Ma l’accusa è anche di abuso d’ufficio tramite falso ideologico.
Il sindaco Maurizio Lacchini
Il 5 febbraio 2018 la guardia di finanza sequestrò il porto di Marta. Per far mettere i sigilli a quella banchina di 270 metri che, secondo gli inquirenti, era stata realizzata come opera idraulica e non come zona portuale, la procura si dovette rivolgere al tribunale del riesame di Viterbo.
L’inchiesta sul più grande porto del lago di Bolsena prese il via nel 2016, dopo i lavori di ristrutturazione e ampliamento finanziati dalla Regione Lazio con fondi europei. Inizialmente gli indagati erano otto, ma per cinque la posizione è stata archiviata.
“L’indagine ha preso spunto da un’intuizione investigativa della guardia di finanza – ha spiegato uno dei due funzionari della Regione Lazio sentiti come testimoni – con l’obiettivo di fare ordine, a livello regionale, essendo la normativa complessa e soggetta a continue modifiche. Non si capiva chi doveva fare e cosa. Sul lago di Bolsena abbiamo preso in esame i porti di Capodimonte, Bolsena e Marta. In pratica il titolo concessorio doveva essere rilasciato dalla Regione su istruttoria dei Comuni che poi dovevano pagare i canoni alla Regione”.
“Il porto di Marta ha una singolarità rispetto a quelli di Bolsena e Capodimonte – ha proseguito il teste – un braccio contro l’insabbiamento dove c’è l’incile, all’altezza delle chiuse, delle paratoie del fiume Marta. Il fiume deve mantenere sempre un minimo vitale, va sempre alimentato, anche in estate. Lo scopo del braccio è evitare l’insabbiamento e garantire l’incile”.
“Quel braccio non è destinato a nuovi ormeggi per le barche, è solo un’opera di protezione indraulica. Invece il comune ha fatto un bando per assegnare posti barca , dei quali abbiamo anche acquisito la mappa. Abbiamo riscontrato un uso improprio dello specchio d’acqua”.
“L’intenzione della Regione era fare un porto, non un’opera idraulica contro l’insabbiamento – ha più volte ribadito il militare della finanza lo scorso 22 dicembre – a Marta erano già ormeggiate 200 barche e si calcolava di portarle a 300-400. Erano previsti anelli d’acciaio per l’ancoraggio dei natanti da diporto, canali per le acque, colonnine”.
In assenza dell’autorizzazione regionale, nel 2016, quando stava per partire la stagione turistica, l’allora sindaco Catanesi fece un’ordinanza con cui la pubblica amministrazione si auto-autorizzava alla gestione del porto e allora furono fatti anche i pontili.
Silvana Cortignani
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