Viterbo – “Non doveva stare a Mammagialla ma in un carcere minorile, Hassan Sharaf”, dicono gli avvocati di parte civile della mamma Aida, 48 anni, della sorella, del cugino e della ong egiziana che fin dal principio ha seguito il caso, di cui si è occupato anche il garante per i detenuti del Lazio.
E’ la prima anomalia che si registra nella triste vicenda del detenuto 21enne egiziano morto il 30 luglio 2018 dopo una settimana di agonia in seguito a un tentativo di impiccagione in una cella d’isolamento, dove poco prima sarebbe stato schiaffeggiato da un agente sbattendo la testa contro il muro.
Adesso che il fascicolo per istigazione al suicidio è passato alla procura generale si indaga anche per tortura e omicidio colposo.
La tragedia si è consumata nell’arco di due ore, tra le 12,30 del 23 luglio, quando il detenuto è stato portato in isolamento – in seguito a una sanzione disciplinare risalente a tre mesi prima- e le tre del pomeriggio, quando è stato trovato in fin di vita.
Articoli: Caso Hassan Sharaf, il fascicolo per istigazione al suicidio passa alla procura generale di Roma – Detenuto egiziano suicida in cella, duro attacco al carcere di Mammagialla
Hassan era giunto in Italia appena quindicenne nel 2012
Sharaf è nato in Egitto il 26 aprile 1997, nel villaggio di Abu Khashba, governatorato di Kafr el-Sheikh, nel nord del paese. Orfano di padre e fuggito dalla miseria una volta finite le scuole primarie, è giunto in Italia illegalmente nel 2012, quando aveva soltanto 15 anni, per guadagnare da vivere per sé e per la sua famiglia.
Nel nostro paese è stato condannato a 3 anni di carcere quando aveva 17 anni. L’ultima volta che ha contattato i parenti è stato durante il mese sacro del Ramadan, che nel 2018 si è concluso il 14 giugno. Durante la telefonata, secondo la mamma Aida El-Shahat Selim, che ha ora 48 anni, avrebbe detto di essere perseguitato in carcere.
A raccontare la tragica fine di Hassan attraverso le parole e la disperazione dei suoi familiari è un ampio servizio sul sito egiziano youm.com.
Suicida a un mese dalla scarcerazione
Hassan sarebbe tornato libero dopo poco più di un mese, a settembre. A Viterbo stava scontando una condanna per dei reati commessi quando era ancora minorenne. Secondo i legali della famiglia, Michele Andreano e Giacomo Barelli, il processo – per la sua morte, e non per le presunte percosse ricevute, ovvero uno schiaffo da due agenti della penitenziaria – dovrebbe essere celebrato davanti alla corte d’assise e gli imputati dovrebbero essere sei e non due, tutti agenti della penitenziaria, tutti coinvolti in qualche modo nella sua morte.
Hassan Ramadan Mukhaymar Sharaf
Alla sbarra per uno schiaffo due poliziotti
A suo tempo la procura aprì un’inchiesta per istigazione al suicidio contro ignoti, di cui a maggio 2019 il pm Franco Pacifici ha chiesto l’archiviazione, stralciando la posizione di due poliziotti, per i quali si è aperto ieri davanti al giudice Elisabetta Massini il processo per abuso dei mezzi di correzione in concorso. Il processo riprenderà il prossimo 10 febbraio.
Secondo i difensori di parte civile, che hanno definito Mammagialla un “lager”, nell’ultimo decennio sarebbero almeno 10-12 le morti sospette nella casa circondariale.
Hassan Ramadan Mukhaymar Sharaf in ospedale
Al via nuove indagini per fare piena luce sulla vicenda
Sempre ieri, nel frattempo, è giunta notizia che la procura generale della corte d’appello di Roma, su richiesta dei difensori dei familiari e della ong egiziana “Moltaquael Heval” pronti a costituirsi parte civile, Barelli del foro di Viterbo e Andreano del foro di Roma, ha avocato a sé il fascicolo per istigazione al suicidio e l’opposizione alla richiesta di archiviazione, revocando contestualmente la richiesta di archiviazione della procura e prospettando nuove indagini per tortura, omicidio colposo, omissione di soccorso e falso ideologico.
Nel fascicolo comparirebbero inoltre i nomi degli altri quattro agenti della penitenziaria che secondo i difensori della famiglia della vittima sarebbero coinvolti nella vicenda.
Caso Hassan Sharaf – Gli avvocati Michele Andreano e Giacomo Barelli
“In cella d’isolamento senza visita medica”
Hassan era stato trasferito a Mammagialla da Regina Coeli il 21 luglio 2017 per scontare un residuo di pena, la cui espiazione sarebbe maturata il 9 settembre dell’anno successivo. In isolamento, secondo i difensori Barelli e Andreano, sarebbe giunto senza la preliminare visita per la certificazione di idoneità. “E’ emersa inoltre una ulteriore circostanza, di rilevanza penale – spiegano i legali della famiglia – costituita dalla falsa certificazione di idoneità all’isolamento del detenuto, che il 23 luglio 2018 non è stato in realtà visitato, prodotta successivamente al ricovero in coma presso l’ospedale di Belcolle”.
Hassan Ramadan Mukhaymar Sharaf
Tortura, omicidio colposo, omissione di soccorso
“I pregressi comportamenti vessatori da parte della polizia penitenziaria- ricordano i legali – sono attestati anche da diversi esposti presentati dal garante per i detenuti”. I reati prospettati in una denuncia presentata in procura lo scorso mese di agosto e anche ieri davanti al giudice Massini sono di tortura a carico del personale di polizia penitenziaria, omicidio colposo a carico del personale medico e psichiatrico del carcere, falso ideologico per la falsa attestazione di idoneità all’isolamento, omissione di soccorso per il personale della polizia penitenziaria.
“Doveva stare in un istituto penale minorile”
“La denuncia – ha ricordato Andreani in udienza – lo scorso 8 ottobre è stata trasmessa al gip, per l’unificazione con l’opposizione alla richiesta di archiviazione del procedimento contro ignoti per istigazione al suicidio, non ritenendo la procura che venissero rappresentati nuovi reati”. “La condotta degli agenti di polizia penitenziaria non può risolversi con due imputati di abuso dei mezzi di correzione – sottolinea Barelli – trattandosi di un segmento di una condotta più ampia di maltrattamenti, anche in danno di altri detenuti”.
“Va inoltre evidenziato il mancato seguito al provvedimento emesso dal pm presso il tribunale dei minorenni, che imponeva il trasferimento del detenuto presso l’istituto penale minorile, perché all’epoca del commesso reato in corso di espiazione era infraventunenne”, viene sottolineato in conclusione dai due avvocati.
Silvana Cortignani
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