Giallo di Gradoli - Il 52enne è all'ergastolo per il duplice omicidio di moglie e figliastra - La cassazione: "Nonostante la buona condotta potrebbe essere socialmente pericoloso"
di Silvana Cortignani

Paolo Esposito e Ala Ceoban
Gradoli – Giallo di Gradoli, negato il permesso premio a Paolo Esposito, difeso dall’avvocato Marco Valerio Mazzatosta, che continua a proclamarsi innocente nonostante tre gradi di giudizio lo abbiano inchiodato alle sue responsabilità. Motivo per cui, nonostante la buona condotta dietro le sbarre, potrebbe essere socialmente pericoloso.
L’elettricista 52enne condannato all’ergastolo per il duplice omicidio e l’occultamento dei cadaveri di Tatiana e Elena Ceoban – rispettivamente moglie e figliastra, scomparse da Gradoli il 30 maggio 2009 in circostanze rimaste misteriose – nonostante la buona condotta nel carcere di Mammagialla, dove è recluso, continua a proclamarsi innocente.
Non ha mai confessato e non ha quindi mai rivelato dove siano stati nascosti i cadaveri delle due vittime, madre e figlia d’origine moldava che avevano 36 e 13 anni all’epoca del delitto. Abbastanza per non meritare di essere premiato con la possibilità di allontanarsi dalla casa circondariale.
A metterlo nero su bianco la cassazione, di cui sono appena state pubblicate le motivazioni della sentenza del 2 febbraio, quando è stato discusso davanti ai giudici della prima sezione penale presieduta da Vincenzo Siani il ricorso contro il precedente diniego del tribunale di sorveglianza di Roma del 14 luglio 2020, che a sua volta aveva respinto analogo ricorso contro il rigetto dell’istanza da parte del magistrato di sorveglianza di Viterbo il 14 agosto 2019.

Esposito con Ala a destra e Tatiana Ceoban
E’ stata nel frattempo espulsa dall’Italia e rimpatriata in Moldavia nel 2018 la cognata-amante Ala Ceoban, l’altra metà della “coppia diabolica”, oggi 36enne come la sorella al momento della scomparsa. Nel nostro paese ha scontato una condanna definitiva a otto anni per favoreggiamento, senza mai rivelare, nemmeno lei, che fine abbiano fatto i corpi della sorella e della nipote nella villetta di Cannicelle.
E’ lì – a due passi dal lago di Bolsena, dal lago di Mezzano, dai boschi popolati di cinghiali che caratterizzano l’Alta Tuscia e non lontano dalle pendici del Monte Amiata – che sarebbero state uccise da Esposito prima la figliastra al ritorno da scuola e poi la moglie al ritorno in bus via Bolsena da Viterbo. Tania, ripresa dalla videosorveglianza di un grande magazzino, quel giorno si era recata per comprare una telecamera per riprendere la recita della figlia minore in programma la settimana successiva.

Paolo Esposito con Elena (alla sua destra) e la figlia avuta da Tatiana
Secondo le conclusioni del magistrato e del tribunale di sorveglianza, Esposito “pur serbando un contegno inframurario regolare, non risultava, dalle relazioni di sintesi, avere avviato una revisione critica dei propri trascorsi criminosi e presentava irrisolte problematiche psicologiche, desumibili dal movente e dalle modalità di consumazione dei reati, sicché, non essendo stati acquisiti elementi rassicuranti in ordine alla pericolosità sociale, il detenuto non poteva essere ammesso al beneficio penitenziario richiesto”.
A riprova dell’assenza di pericolosità sociale del condannato, il ricorso della difesa evidenzia come Esposito abbia partecipato all’opera di rieducazione, secondo quanto confermato dalla relazione della psicologa del carcere che avrebbe in cura il detenuto, e da quella del direttore di Mammagialla.
Il Gruppo di osservazione e trattamento, dal canto suo, nella relazione del 26 luglio 2019 riportata dalla difesa, avrebbe ritenuto che “per Esposito sarebbe positivo a questo punto della sua detenzione una graduale sperimentazione con l’ambiente esterno”. Per il magistrato di sorveglianza, però, “Esposito partecipa passivamente a tutte le iniziative intramurali”.

Esposito intervistato da Franca Leosini nella puntata del 22 marzo 2020 di “Delitti: famiglie criminali”
“Il permesso premio – sostiene la difesa – ha una funzione premiale e non può essere negato per la mera protesta di innocenza, la quale non esonererebbe il giudice da una valutazione approfondita circa l’adesione del condannato alle iniziative trattamentali e circa l’osservanza della disciplina intramuraria”.
Dichiarando inammissibile il ricorso, gli ermellini scrivono: “Il magistrato di sorveglianza, in sede di primo giudizio, e il tribunale di sorveglianza, in occasione del successivo reclamo, hanno evidenziato come l’atteggiamento di chiusura del detenuto non abbia consentito di svolgere un approfondimento personologico e, con esso, sciogliere positivamente il nodo della pericolosità sociale del condannato, suggerito dalla considerazione dei gravissimi precedenti”.
Conclusioni: “Nel caso in esame, valutate, in maniera niente affatto illogica, le risultanze dell’osservazione della personalità e rilevata l’assenza di un processo sia pure embrionale di revisione critica nel detenuto, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto, stante l’attualità di profili di pericolosità sociale del medesimo, che non ricorressero le condizioni per l’accesso al beneficio invocato, pur apprezzando l’esistenza dell’ulteriore requisito della regolarità della condotta penitenziaria”.
Silvana Cortignani
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